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martedì 3 gennaio 2017

L'INTERVISTA - Poliziotti eroi, parla l'esperto "Li conosco, cosa succederà ora"

Poliziotti eroi, Corrado Ziglio: "Li conosco, cosa succederà ora"


intervista a cura di Lucia Esposito



Due poliziotti italiani uccidono Amis Amri, il terrorista di Berlino. Durante un controllo di documenti si imbattono nel tunisino che, dopo aver vagato tra la Germania, l'Olanda e la Francia era arrivato davanti alla stazione di Sesto San Giovanni. Ha urlato: "Bastardi" e poi ha sparato. Ha ferito il poliziotto Cristian Movio, 36 anni ma l'agente in prova Luca Scatà, ha sparato e lo ha ucciso. C'è chi dice: Sono degli eroi e chi minimizza: Hanno fatto solo il loro dovere. L'Italia si divide e scoppia la polemica sull'opportunità di diffondere i loro nomi e sul rischio ritorsioni. Il professor Corrado Ziglio dell'Università di Bologna è un antropologo delle professioni, ha vissuto per mesi come un poliziotto, è salito sulle volanti, è entrato nei commissariati da Bolzano a Siracusa, ha passato intere giornate negli uffici immigrazione e in quelli dell'anticrimine. Da ventidue anni si occupa di formazione dei poliziotti e, dice scherzando, "con loro ho mangiato quintali di pizza e bevuto ettolitri di birra". Dopo aver visto da dentro il mondo della polizia, ha scritto due libri sulle attività operative degli agenti e per sei anni ha insegnato alla Scuola Superiore di Roma dove si formano i funzionari. Insegna anche alla Scuola per il controllo del territorio di Pescara: da qui passano tutti gli uomini e le donne delle volanti, delle sale operative, dei reparti prevenzione crimini. Ha l'approccio scientifico dello studioso ma il linguaggio chiaro e semplice di chi tutto quello che teorizza l'ha vissuto e lo vive ancora.

Professore, ma i due poliziotti che hanno ucciso il terrorista sono eroi o hanno fatto solo il loro dovere?

"Tutti i poliziotti hanno un fortissimo senso del dovere e quando dicono che hanno solo fatto il loro lavoro, lo pensano veramente".

Ma era il caso di far conoscere i loro nomi?

"Ho qualche dubbio. Forse c'è stata un po' di imprudenza dettata dalla dimensione dell'orgoglio per l'operazione che era stata portata a termine".

Al di là delle minacce di ritorsioni che sono arrivate, da un punto di vista professionale che cosa succederà? 

"Dipende dai loro superiori, da come li gestiranno".

Che cosa potrebbe accadere?

"Potrebbero montarsi la testa, cambiare il loro modo di pensare. Potrebbero diventare dei giustizieri".

In che senso dei giustizieri?

"Potrebbero sviluppare atteggiamenti sopra le righe rispetto al protocollo che ogni poliziotto deve osservare. Ed è per questo che dico che molto dipende da come saranno gestiti dai loro superiori".

I due agenti sono stati attaccati anche perché sui loro social sono state trovare frasi razziste e foto col saluto romano.

"Di questo non so nulla, me lo dice lei".

Come lo spiega?

"In tutti gli ambienti ci sono persone di diverse ideologie, ma non cambia molto".

Come mai da professore di Scienze della Formazione è entrato in contatto con il mondo della polizia?

"È stato l'allora questore di Bologna che, dopo i fatti drammatici della Uno Bianca decise di risollevare l'immagine della Polizia con una grande intuizione: capì che bisognava partire dalla formazione. Mi chiese di tenere dei corsi. Ma io prima di strutturare il progetto chiesi di vivere la vita dei poliziotti e così ho trascorso diversi mesi con loro".

Su cosa lavora?

"Soprattutto sui processi di deterioramento professionale".

E quali sono?

"I poliziotti si trovano tutti i giorni davanti alle brutture della vita. Per loro è importantissima la formazione intesa non solo come l'insieme delle competenze professionali e dei protocolli da applicare, ma bisogna lavorare sulla loro emotività".

Quali rischi corrono?

"L'interiorizzazione di un processo subdolo che è il cinismo". 

Sì, ma il poliziotto deve essere un duro. Almeno nell'immaginario collettivo lo è.

"Esiste quello che chiamo il cinismo buono e che hanno anche i medici. È necessario per svolgere una determinata professione. Se il chirurgo sviene quando vede il sangue, non può operare. È quel giusto distacco necessario per non farsi travolgere dalle emozioni. Ma poi c' è un cinismo cattivo che è quello che atrofizza i sentimenti anche negli altri ambiti".

La vita professionale che condiziona quella privata.

"Esatto. Quella dei poliziotti è la categoria più colpita da divorzi e separazioni. Questo è un dato sociologico. Conosco molte mogli, compagne e fidanzate di agenti e spesso mi riferiscono di quanto sia diventato scortese, insensibile, freddo il proprio uomo".

Che cosa lamentano i poliziotti che ha conosciuto?

"La solitudine. Nel senso che se anche accadono cose pesanti, non ne possono parlare. Ho raccolto centinaia di testimonianze. È vero ci sono gli psicologi, ma se li metti al corrente di un tuo problema rischi che ti ritirino l'arma e il tesserino e vieni sospeso dal servizio".

Soffrono per il nostro sistema giudiziario che spesso rimette in libertà soggetti che hanno faticato a prendere?

"Sono molto equilibrati. Capiscono la differenza dei ruoli. Molti si lamentano perché non sono sufficientemente gratificati. Non solo da un punto di vista economico perché hanno stipendi oggettivamente bassi, ma anche sul piano della soddisfazione personale. I propri superiori tendono a non gratificare e così gli agenti traggono la loro soddisfazione nell'aiutare gli altri".

Durante i corsi di formazione che consigli dà ai poliziotti? 

Non dispenso consigli. Pongo delle questioni e sollecito una riflessione. "Cito per esempio il quadrato dello psicanalista Bion e spiego che ogni contesto professionale è pieno di sostanze tossiche come le invidie e le gelosie dei colleghi, ma anche quelle che ciascuno di noi porta con il proprio carattere. Se non si riconoscono queste tossicità si trovano delle vie di fuga".

Quali?

"La prima porta a non assumersi le proprie responsabilità A questo ci penserà qualcun altro, la seconda che spinge a trovare un capo espiatorio Non è colpa mia, la terza che spinge a valorizzare solo se stessi e l'altro collega con cui si lavora, e la quarta che induce all'attesa del Messia. Si aspetta che arrivi qualcosa dall'alto che cambi tutto. Ma in questo modo si rischia di consumare tutta la vita professionale facendo il giro dei quattro cantoni. Non ci si schioda Si passa da una via di fuga all'altra Non indico soluzioni, ma voglio solo che acquisiscano consapevolezza".

Poi cos'altro spiega?

"Ho creato l'immagine della farfalla".

Perché?

"Spiego che per volare alto professionalmente abbiamo bisogno di quattro ali come una farfalla. L'ala delle competenze, quella della comunicazione perché bisogna saper gestire anche verbalmente la propria professionalità e quella della consapevolezza del ruolo. Spesso i poliziotti, come gli insegnanti e i medici, dimenticano la loro funzione sociale. Nella formazione iniziale non sono sufficienti le nozioni di deontologia, ci deve essere consapevolezza dell' enorme ruolo sociale che svolgono".

La quarta ala?

"È quella del carattere".

Ma quello mica si può cambiare?

"Certo che sì. Bisogna solo avere consapevolezza del proprio carattere. E ci sono autorevoli studi che dimostrano come, a condizionare la vita professionale, sia proprio l'aspetto caratteriale".

Quale tratto caratteriale permette di avere successo?

"Se lavori in squadra o dirigi una squadra non puoi avere un caratteraccio. Maltrattare i tuoi collaboratori o umiliarli davanti a tutti, per esempio, non puoi farlo perché rovini le professionalità degli altri".

Lei che da studioso ha vissuto come un poliziotto qual è stata l'emozione più forte che ha provato?

"Le ho provate tutte. Loro vivono tutti i sentimenti. Anche lo stupore per le cose che fanno".

Ha mai avuto paura?

"Mi sono trovato in situazioni pericolose. Come entrare in una gioielleria dopo un furto senza sapere se dentro c'erano ancora i ladri oppure no".

Cosa la colpisce?

"La creatività e l'umanità. E il fatto che nonostante la distanza geografica usino le stesse espressioni, come una vera tribù. Fare il poliziotto a Bolzano non è come farlo a Napoli, eppure in Trentino come in Campania, i poliziotti usano frasi come il pesce puzza dalla testa. E poi ci sono tradizioni che vanno avanti da anni".

Per esempio?

"A Napoli e a Siracusa a Natale i poliziotti vanno nelle case dove c'è povertà, portano giochi e cibo. Così controllano il territorio attraverso la costruzione del consenso".

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