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mercoledì 30 novembre 2016

Bechis: ecco come finirà domenica Le informazioni privilegiate sul voto

Referendum, Franco Bechis: attento fronte del No, Matteo Renzi ha azzeccato il finale di campagna


di Franco Bechis
@FrancoBechis



Per settimane è stato rinfacciato a Matteo Renzi quello che da quasi tutti veniva ritenuto un errore di comunicazione: la personalizzazione del referendum costituzionale. Avendo detto subito che lui di fronte alla vittoria del No si sarebbe dimesso, ha polarizzato sulla sua persona la discussione della campagna elettorale. E fin dalle prime settimane i sondaggi gli hanno dato torto.

I presidenti del Consiglio in Italia come nel resto del mondo sono popolari soltanto durante la luna di miele che segue al loro successo. Poi diventano invisi ai più. Renzi aveva un peccato originale in più: la sua luna di miele è sempre stata mediatica, ma non poggiava su un bagno di folla elettorale. L’unico è stato quello alle europee del 2014, un po’ fasullo perché lì lui non era nemmeno candidato. La sua luna di miele poggiando su basi fragili è durata assai poco.

Ben presto l’indice di polarità è sceso, e lo ha fatto assai rapidamente rispetto a quel che era accaduto con i suoi predecessori. L’unico caso simile in cui si è bruciata perfino più rapidamente la popolarità iniziale è stato quello di Mario Monti, non a caso anche lui premier non scelto dagli elettori.

Quell’errore è stato fin dall’inizio confermato da ogni tipo di sondaggio: gli elettori motivati e decisi fin dall’inizio sulle proprie scelte sono assai meno della metà del totale. Davanti a quel referendum personalizzato è apparso evidente che gli anti-Renzi sono largamente più numerosi dei sostenitori del premier in carica. Chi aveva intenzione di fare sloggiare Renzi da palazzo Chigi immaginava di farlo alle prossime elezioni, ma avendo una occasione d’oro davanti a sé per farlo prima, non la buttava via.

Tutti hanno detto al capo del governo di smetterla, e lui sulle prime è sembrato abbozzare: “Va bene, non parlo più di me, non dico più cosa farò, discutiamo solo di contenuti”. È durata lo spazio di un mattino. Perché comunque il premier che non voleva il referendum su di sé si è esposto come unica bandiera del fronte del sì, non mancando un appuntamento televisivo come ospite e monopolizzando con la sua presenza ogni spazio possibile, al momento con la sola eccezione delle previsioni del tempo.

Da una decina di giorni a questa parte Renzi è tornato a rimettere al centro del dibattito le sue dimissioni da premier nel caso di vittoria del No. E ha aggiunto un tema in più: “Se perdo il referendum io mi dimetto, e dopo di me non ci sarà un altro governo politico, ma uno tecnico, come quello che guidò Mario Monti”.

Grazie a quelle paroline magiche “governo tecnico” e “Mario Monti” improvvisamente Renzi ha trasformato in arma a proprio vantaggio quella che era sembrata la sua grande debolezza. Perché è accaduto un fatto che nessuno aveva messo in conto: anche chi da tempo non crede più a Renzi, su una cosa gli crede: che voglia andarsene in caso di sconfitta. Crede alle sue dimissioni. E non crede a chi dice: “Ma no, è solo scena, non accadrà nulla”.

Credendo alle sue dimissioni, ha paura di quel che può accadere dopo. E in questo momento questa paura - non c’è bisogno di sondaggi, basta parlare con la gente in un bar, su un bus, a un mercato - è quella che sta spingendo più indecisi verso le urne referendarie. Tutti verso un sì che non ha nulla a che vedere con i contenuti del referendum, ma tantissimo con il terrore di trovarsi il giorno dopo in braccio al nuovo Monti o alla Elsa Fornero di turno. Uno choc - il cui peso specifico per legge non vi possiamo raccontare perché è vietato divulgare sondaggi in questo periodo - però un argomento pesante sulle urne di domenica prossima. E siccome questa paura che spinge al sì si accompagna a una scarsa informazione dell’elettorato anti-Renzi sugli effetti dell’astensione (molti sono convinti che sia un modo per mandare a casa il premier, e non hanno capito che questo tipo di referendum non ha quorum), la partita referendaria è davvero apertissima. E si giocherà alla conta dell’ultimo voto.

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