Perché questi due ci hanno scocciato. Boldrini e Grasso? Ci faranno invadere
di Marco Gorra
La cosa strepitosa è che sono riusciti a far rimpiangere predecessori di cui mai nessuno si sarebbe sognato di provare anche solo la più blanda nostalgia.
Ad appena tre anni dall’insediamento al vertice delle rispettive assemblee, i presidenti di Senato e Camera Pietro Grasso e Laura Boldrini risultano infatti non solo avere dissipato il non poco credito di cui godevano all’elezione (erano pur sempre i campioni della società civile, che diamine) ma addirittura essere finiti sul gozzo di un numero sempre crescente di cittadini ed elettori. In altre parole: dei Cip e Ciop del civismo prestati alla politica, della loro spocchia, della loro banalità e del loro ditino perennemente alzato non se ne può più.
L’ultimo exploit è ancora fresco. Commemorazioni di Marcinelle, consueto cerimoniale di mandarini officianti e retorica sulle valigie di cartone e il sogno dell’Europa. Non bastassero, i nostri provvedono ad operare il salto di qualità: tra gli italiani in miniera degli anni ’50 e gli immigrati in barcone di oggi, dicono, gran differenza non c’è. Più esplicita la Boldrini, che l’altro giorno ha deviato dal discorso sui minatori per ricordare che è nostro dovere accogliere «i migranti, i rifugiati» i quali «sono costretti ad andare via». Più sottile Grasso: «Ripensare a come eravamo e vivevamo», ha buttato lì ieri, «rafforza la nostra determinazione ad accogliere con spirito di solidarietà chi oggi è costretto a migrare».
PIETÀ DI NOI
Di buono c’è che l’accostamento tra i nostri paisà di allora andati a spaccarsi la schiena sotto la terra e ad essere cittadini irreprensibili sopra e gli immigrati di oggi venuti qui ad approfittare dell’Europa nell’ipotesi migliore o a farne saltare per aria un pezzo nella peggiore è talmente lunare che non necessita di essere approfondito. Lasciando così maggiore spazio alla panoramica delle gesta dei nostri.
I quali agiscono in curiosa simbiosi: pur differendo quanto a cavalli di battaglia, aree di riferimento, mire personali ed altre quisquilie, i due colpiscono sempre uniti. Quale che sia la questione che finisce loro a tiro, si può stare sicuri che la loro risposta sarà sempre quella più politicamente corretta, quella più conformista, quella più lisciapelo dell’opinione pubblica, quella più ipocrita.
Prendiamo Grasso. Che da ex magistrato predilige il campo della giustizia. E che non perde occasione di strizzare l’occhio ai settori più manettari del Parlamento (e relative propaggini mediatiche) facendo sfoggio di giacobinismo. Per dire, la settimana scorsa è arrivato ad invertire d’autorità l’odg dei lavori per anticipare le votazioni sull’arresto del senatore Antonio Caridi, onde evitare la possibilità che il tutto slittasse a dopo le ferie con relative polemiche sulla Casta che salva gli inquisiti. Giammai: agenda ribaltata, Caridi a Rebibbia e ddl sull’editoria (evidentemente meno importante) rinviato a settembre.
Delle forzature procedurali, d’altronde, il nostro è virtuoso: si tratti della decadenza di Silvio Berlusconi o degli emendamenti al salva-Roma, della cacciata di Augusto Minzolini o della discussione sulle unioni civili, l’unica certezza è che Grasso farà il possibile per piegare l’Aula alla propria convenienza. Cioè il risultare sempre come il più intransigente, il più puro, il più inflessibile.
Ed è naturale: prevedendo per se stesso una luminosa carriera nel firmamento delle istituzioni (Colle o Palazzo Chigi), Grasso non perde occasione per cementarsi il consenso: ed essendo parimenti malvisto da centrodestra e Pd renziano, non potrà che bussare da sinistra e grillini, cui non par vero di aprire la porta a tanto alleato. In questa continua, sfiancante opera di auto-accreditamento il nostro ha trascorso - si mormora anche sobillato dalla signora Maria Fedele, di cui narrano un’ambizione pari solo all’influenza esercitata sul consorte - l’intera legislatura, e non c’è motivo di credere che da qui al termine si cambierà registro.
Discorso simile per Laura Boldrini. Che arriva al vertice di Montecitorio da paladina delle minoranze e non cessa di atteggiarsi a tale. Tra una seduta e l'altra, infatti, è tutto un sensibilizzare, un rampognare, un lanciare moniti.
Leggendarie le sue battaglie sulle questioni di genere: fondamentali campagne sulla necessità di dire “sindaca” e “presidenta” perché altrimenti il patriarcato trionfa; decisivi bracci di ferro con l’amministrazione della Camera onde sanare lo sconcio della prevalenza di busti e dipinti maschili su quelli dedicati al gentil sesso; risolutive campagne contro le tv che insistono a mandare in video le ragazze troppo scollacciate. Una specie di commissaria dell’Udi fuori tempo massimo, teoria da mullah e pratica da beghina.
UNO VALE ONU
Ma è sul comparto immigrazione che la presidenta dà il meglio di sé. Tutta compresa nel proprio ruolo di coscienza unica della nazione, la nostra non perde occasione per spandere quel misto di pietismo, volemose bene e senso di colpa che della sua visione del mondo è l’architrave: ecco che gli immigrati sono «una risorsa», che accoglierli indiscriminatamente «è un dovere morale», che chi la pensa diversamente è ovviamente propalatore di «odio e razzismo», che deve diventare migratoriamente corretto anche il linguaggio con «la parola clandestino che andrebbe cancellata dal vocabolario perché carica di pregiudizio e negatività».
Anche nel suo caso, non è estraneo il calcolo personale. Alla signora lo scranno di Montecitorio inizia ad andare stretto, e non è mistero che immagini per sé approdi più prestigiosi, siano essi il Palazzo di Vetro dell’Onu o addirittura il Quirinale. Profili il cui raggiungimento passa necessariamente attraverso la costruzione di un personaggio ad hoc: sempre perbene, sempre serioso, sempre rigido, sempre dalla parte giusta e sempre ostentante il fardello di avere da drizzare a mani nude i torti del mondo. Un personaggio tanto perfetto da spingere chi di dovere - Camere riunite o Assemblea generale dell’Onu sarà uguale - ad eleggerlo perché terrorizzati di passare per villanzoni in caso contrario.
Eccoli, Grasso e Boldrini. Seconda e terza carica dello Stato da tre anni e destinati a restare tali fino alla fine della legislatura. Poi dice che uno tifa per le elezioni anticipate.
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