Studi odontoiatrici privati requisiti minimi da rifare
Delle due l’una: o l’intesa raggiunta nei giorni scorsi in Conferenza stato-regioni per definire i requisiti minimi per l’autorizzazione all’apertura ed all’esercizio delle strutture odontoiatriche non vale per gli studi odontoiatrici privati, o sarà spazzata via dai tribunali amministrativi o nella peggiore delle ipotesi dalla Consulta perché è illegittima. Lo afferma Stefano Colasanto segretario Associazione Italiana Odontoiatri di Roma, tra i principali artefici della normativa che nel Lazio dopo anni di carte bollate e procedimenti giudiziari verso i dentisti disciplina la materia in modo da sollevare i professionisti da indebiti adempimenti. «Ideate - così pare - per rendere più uniformi le norme regionali in materia, le nuove regole richiedono complessi requisiti strutturali generali, impiantistici ed organizzativi per lo studio odontoiatrico. Requisiti che regione per regione la faticosa trattativa dei sindacati con gli assessori stava per eliminare, nel segno della semplificazione perseguita da questo governo», spiega Colasanto. E in effetti, oltre ai requisiti anzidetti, molto dettagliati, per ottenere dalla Regione la possibilità di continuare ad esercitare l’odontoiatra - secondo la lettura data da voci del tavolo interregionale - dovrebbe poi produrre un faldone di dodici documenti tra cui: dichiarazione del titolare dello studio, planimetria scala 1:100, documento attestante il possesso dell’immobile, certificato di agibilità rilasciato dal Comune, relazione conformità messa a terra, piano di sicurezza per tipologia di struttura ed anche il certificato antimafia per le società. Un disastro. Colasanto peraltro non è del tutto convinto che la normativa sia applicabile. «In realtà il lavoro delle regioni com’è chiaramente scritto nelle premesse dell’atto mirava a definire i requisiti tecnologici strutturali ed organizzativi minimi per l’esercizio dell’attività odontoiatrica. In altre parole, questi requisiti minimi non parlavano di accreditamento. Già, perché una cosa è l’idoneità di uno studio privato di un professionista odontoiatra a produrre prestazioni odontoiatriche e un’altra è l’autorizzazione degli studi. Quest’ultima per la quale si fa esplicito riferimento agli articoli 8 bis e 8 ter della legge 502 novellati dalla riforma Bindi, attiene solo a strutture dove si fa chirurgia ambulatoriale o diagnostica invasiva, cioè attività ‘a rischio’ per il paziente. Attività quale appunto non è quella dell’odontoiatra. Tanto vero è quanto affermiamo che in altre parti dell’intesa si parla di autorizzazione-accreditamento, nel senso che la prima è propedeutica al riconoscimento di una struttura come presidio da convenzionare con il Servizio Sanitario Regionale. E tanto vero è tale assunto che l’autorizzazione è rilasciata dalla Regione!
Ci sono poi errori formali. «Almeno due, gravi. Il primo sta nella volontà di stravolgere con un atto regolamentare la legge Bindi, approvata dal Parlamento, che esenta le strutture odontoiatriche private dagli obblighi autorizzativi, secondo una visione riconosciuta dalle sentenze dei Tar, e dalle norme regionali che si sono succedute in queste anni (segnatamente Toscana e ora Lazio) che vanno nel senso della semplificazione. Il secondo sta nella richiesta di requisiti autorizzativi (antisismici, agibilità): dodici tipologie di documento che in genere l’odontoiatra ha già prodotto e che la Pubblica Amministrazione non può chiedergli due volte, lo dicono i Tar. Infine suona ben strano che siano colpiti solo gli odontoiatri e mai i medici». L’Associazione Italiana Odontoiatri fin dal 2011 ha chiesto al Ministero della Salute di entrare a far parte del tavolo dell’Intesa e di dare un suo parere perché non si facessero pasticci e non si vincolasse la professione burocraticamente. «La nostra associazione ha lottato in tutte le regioni per la semplificazione nel vincoli istituzionali del dentista e per la semplicità del suo rapporto fiduciario con i pazienti e ha ottenuto importanti vittorie nel senso della de burocratizzazione nel Lazio. Nel 2013 AIO nazionale chiesto alla Fnomceo e alla Commissione Albo Odontoiatri di poter dire la sua, di poter spiegare i rischi che si correvano a voler riscrivere le regole senza prima leggere i testi, esponendo alla burocrazia solo i dentisti che si intendevano preservare da chissà quale caos normativo (ora che il pericolo era passato grazie alle loro associazioni di categoria). Da ultimo, lo scorso aprile abbiamo presentato un parere legale dove l'avvocato cassazionista Maria Maddalena Giungato ribadiva come le nuove complesse regole italiane intralcino anche la libertà di stabilimento di odontoiatri stranieri nel nostro paese e come la giurisprudenza dei Tar sconsigli un intervento ‘regolatorio’ che riporterebbe le lancette dell’orologio indietro agli anni Novanta. Dobbiamo purtroppo constatare che in nessuna fase la professione nelle sue componenti associative è stata interpellata sulla elaborazione del testo: per contro con strana urgenza è stato velocizzato negli ultime mesi l’iter di approvazione del documento, ‘passato’ con un blitz. E siamo a un documento che sembra andare nella direzione opposta rispetto all’obiettivo iniziale, apre una serie infinita di aspetti interpretativi che si tradurranno in ulteriori diversi comportamenti nelle varie regioni e confusione per i professionisti e gli organismi di controllo, sempre che gli esiti del referendum di ottobre non spazzino via tutto. In ogni caso - conclude Colasanto - AIO è pronta ad agire in tutte le sedi per rappresentare il diritto degli odontoiatri italiani a non essere penalizzati rispetto ad altri professionisti sanitari e rispetto ai loro colleghi stranieri. Perché non vinca l’Italia dei mille intralci e delle carte inutili su quanto di buono aveva fatto la professione per avvicinare un po’ di più le cure ai pazienti».
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