Un "virus" da eliminare, Nicola Porro "cancellato": la durissima accusa a Renzi
di Enrico Paoli
Quando si dice l’ironia della sorte. La puntata di stasera di Virus, il programma di Rai Due condotto da Nicola Porro che l’azienda sembra fortemente intenzionata a chiudere tanto da aver sollevato un’ondata d’indignazione generale, s’intitola «Siamo un Paese insicuro». In effetti lo siamo, dato che nessuno ha la sicurezza di poter continuare a fare quel che fa, anche se lo fa bene. Il merito, insomma, non è di questa Italia. Figuriamoci dentro la Rai di Antonio Campo Dall’Orto, dove l’unico disegno seguito è quello di non disturbare il «manovratore», ovvero il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che stasera sarà ospite di Bruno Vespa a Porta a Porta, altro conduttore nel vortice delle polemiche per l’intervista al figlio di Riina, il capo dei capi di Cosa nostra. Ma questa è un’altra storia.
A mettere in piazza la storia di Virus epurato dal palinsesto Rai e di Porro parcheggiato nel limbro dei «vedremo» è il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri. «La trasmissione Virus non andrà più in onda», afferma il vice presidente del Senato, «quella di Porro è una presenza che aggiungeva un pizzico di pluralismo in una Rai appiattita sulle posizioni della sinistra e del governo. Né si venga a dire che l’azienda ha fatto proposte alternative a Porro perché si tratta di ipotesi risibili. Si tratta di un’epurazione a tutti gli effetti». E di «epurazione» parla la deputata azzurra Daniela Santanché. «Anche il governo Renzi, come i migliori regimi sovietici, toglie di mezzo l’informazione che ritiene scomoda», afferma l’esponente azzurra, «siamo al redde rationem: stanno venendo al pettine tutti i nodi e le storture delle nuove norme che lasciano troppo potere al governo e al direttore generale della Rai e niente al Consiglio di amministrazione». Preoccupati della scelta indicata da Campo Dall’Orto anche gli esponenti del Nuovo Centrodestra e di Scelta Civica. In ballo c’è il pluralismo dell’informazione. Un tema, quello della pluralità delle voci, che all’amministratore delegato non deve stare particolarmente a cuore, nonostante i richiami che arrivano anche dal Pd.
Nei giorni scorsi Michele Anzaldi, deputato dem e membro della commissione di Vigilanza, aveva sollevato proprio la questione dell’informazione. «Il grande assente del nuovo piano industriale della Rai è l’informazione, che rappresenta il cuore e la vera legittimazione del servizio pubblico», afferma il deputato del Partito democratico, «eppure è proprio l’informazione il campo su cui il servizio pubblico può e deve differenziarsi dalla concorrenza privata». Più chiaro di così. La Rai non deve togliere, semmai aggiungere, essendo Servizio pubblico. Il problema è che la logica dominante, sposata dall’amministratore delegato dell’azienda, è che la Rai deve essere al servizio del governo e non del cittadino. Porro ha saputo reggere il confronto quando doveva confrontarsi con Michele Santoro, in onda su La7, e si è sempre difeso bene nel match televisivo con Corrado Formigli, conduttore di Piazzapulita, altalenante fra la prima serata del lunedì e quella del giovedì. Ma tutto questo in Rai, in questa Rai non conta affatto.
Sarà pure un caso ma un altro conduttore poco allineato, tanto per usare un simpatico eufemismo, è destinato a ritrovarsi senza un programma da condurre nella prossima stagione. Certo, c’entra anche il fatto che la concorrenza lo ha definitivamente superato, martedì sera c’è stata un’altra netta vittoria per Giovanni Floris con il suo DiMartedì in onda su La7 che ha battuto Ballarò sia in share che in ascolto medio, ma non è la sola ragione per la quale Ballarò, il programma di punta di Rai Tre, nella prossima stagione non sarà condotto da Massimo Giannini. L’ex vice direttore di Repubblica, parlando a Dogliani ha detto che «questa non è la Rai, questa è l’Eiar (l’ente monopolista delle radiodiffusioni durante il periodo fascista, ndr)», dice il giornalista, «è un’altra cosa. Lo dico con assoluta trasparenza e serenità, non c'è un discorso ideologico in quello che sto dicendo, né un atteggiamento contro il governo o Renzi». No, non è solo una questione di share.
Il punto, ora, è che l’amministratore delegato della Rai, ad un anno dal suo insediamento, dovrà pur iniziare a spiegare cosa deve essere realmente la tv pubblica e se al posto dei talk show devono esserci solo spazi in cui il premier si auto intervista. Perché questa sembra essere la deriva.
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