Pansa demolisce Fabio Fazio: "Non fidatevi dell'Abatino, resta un sultano della Rai"
di Giampaolo Pansa
Confesso che Fabio Fazio mi sta sui corbelli. Il motivo è in parte banale: non mi ha mai invitato nella sua trasmissione televisiva, «Che tempo che fa», sulla Rete Tre della Rai, a presentare uno dei libri che vado pubblicando. Nelle case editrici italiane circola da sempre una giaculatoria. Dice: Fazio non si limita a presentare un libro, lo promuove. Se ne parla e ne discute con l’autore, puoi stare sicuro che quel libro, qualunque sia, anche il più inutile e il più becero, partirà a razzo con grande soddisfazione dell’autore, dell’editore e dei librai.
Negli ultimi anni ho lavorato per due editori importanti, la Sperling & Kupfer e la Rizzoli. E ho domandato a entrambe le case: «Ma è possibile che non riusciate a mandarmi alla trasmissione di Fazio? Sarebbe anche nel vostro interesse!». La risposta era sempre la stessa, melanconica e rinunciataria: «È impossibile. Fazio si comporta come un dittatore. Decide soltanto lui chi invitare. E tu non gli piaci per niente. Sei colpevole di revisionismo sulla guerra civile. Ti considera un anti-antifascista. Non ti chiamerà mai. Mettiti il cuore in pace».
Era fatale che non piacessi a Fazio. È un signore di sinistra integrale, dalla testa ai piedi. Uno dei suoi autori-consiglieri è ancora più rosso di lui: Michele Serra. Anche la Rete Tre è un feudo dei compagni. Tutti connotati che azzerano l’obbligo di essere imparziali, come dovrebbe comportarsi un qualsiasi programma della Rai, pagato con il canone da tanti signori nessuno. Su Fazio influiva molto il sinistrismo di Serra, rimasto il vecchio satirico rosso di un tempo. Intendo l’epoca del vecchio Pci, quando il nemico da distruggere era la Balena bianca democristiana.
Scomparsa la Dc, Serra si inventò un altro nemico: Silvio Berlusconi. Non perdeva nessuna occasione di maledirlo. Per citare un esempio solo, nel settembre del 2010, intervistato da Luca Telese per il Fatto quotidiano, spiegò che Berlusconi e il berlusconismo erano «una forma estrema di individualismo amorale, di spregio per le regole, di superficialità puerile. Anche se Berlusconi finisse, l’humus che lo ha fatto prosperare rimarrebbe».
Ma ben più interessante di Serra, risultava il personaggio di Fazio. Il suo sinistrismo era fondamentalista. Nonostante questo, amava interpretare il ruolo opposto al televisionaro settario. Era quello dell’abatino estraneo a qualsiasi parrocchia, amico di tutti e nemico di nessuno. Con l’aria dimessa, l’espressione sempre stupita, il vestito strafugnato del ragazzo di provincia capitato per caso in un posto e in una funzione che non ritiene di meritare.
In realtà Fazio era, ed è, uno dei sultani della Rai. E immagino che lo resterà anche nell’era della presidente Maggioni e del nuovo direttore generale Campo Dall’Orto. La riforma, una specie di araba fenice, non incrinerà il suo potere. E lui rimarrà uno dei pochissimi a fare come cavolo gli pare e piace.
Se il passato può ammaestrarci sul futuro, vedremo cose turche. Come accadde la sera che presentò un libro del direttore dei giornali radio Rai unificati, Antonio Caprarica, già redattore dell’Unità e poi condirettore di Paese sera, un quotidiano filo Pci destinato a sparire. Era il maggio 2007, sotto il governo di Romano Prodi. Quella sera gli utenti della Rai ebbero sott’occhio un’ammucchiata tutta rossa: rete di sinistra, autore di sinistra, conduttore di sinistra, consigliere di sinistra. Un conflitto d’interessi sfacciato, fra compagnucci che si strizzavano l’occhio a vicenda. Felici di averci preso per i fondelli ancora una volta.
In altri casi, lo spettacolo si rivelò penoso. Fazio aveva invitato Pietro Ingrao a presentare l’autobiografia, Volevo la luna, pubblicata da Einaudi. In preda a un vuoto di memoria, il vecchio capo comunista sostenne che il Pci aveva preso aspre distanze dall’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956. Non era vero, anzi era vero l’opposto. Ma Fazio e il pubblico si guardarono bene dall’obiettare. Nemmeno un mormorio, un colpo di tosse, un’occhiata di imbarazzo.
Il perché lo spiegò sull’Espresso Edmondo Berselli, un’intellettuale libero, oggi purtroppo scomparso: «In quel momento si stava celebrando l’apoteosi senescente, ma non senile, di un comunismo impossibile, l’utopia, il grande sogno, l’assalto al cielo. Quindi tanto peggio per i fatti, se i fatti interrompono le emozioni». Adesso si scopre che Fazio ha pagato ben 24 mila euro a un ex politico greco, Yanis Varoufakis, un sinistro al cubo, già ministro dell’Economia, espulso dal governo di Atene dai suoi stessi compagni. E i soldi versati dalla Rai sono assai di più. Si parla di cinquanta mila euro lordi, più l’hotel e il viaggio in aereo di andata e ritorno dalla Grecia, in business class.
Vediamo come si comporterà la nuova Rai. Dove tutti parlano di risparmi. Nel frattempo mi sorge un dubbio. Forse non sono mai riuscito a entrare nel salotto di Fazio perché i miei editori non hanno pensato di fare un presente al signore del tempo che fa. L’ex ministro greco ha incassato, noi potevamo sborsare mille euro al minuto.
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