Albenga, il giudice punito per stalking ha liberato lo stalker assassino
di Mario Giordano
Ma che razza di storia è questa? Proviamo a raccontarvela dall’inizio. Ad Albenga c’era una donna che si chiamava Loredana. Aveva sposato un marocchino, con lui aveva pure avuto una figlia, oggi 14enne. Poi ha deciso di lasciarlo. E quello, come purtroppo accade spesso, è diventato uno stalker. Ha cominciato a importunarla. A minacciarla. Ad aggredirla. Loredana si è rivolta allo Stato. Ha chiesto aiuto, ha chiesto protezione. Lo dicono tutti, no? Donne, dovete denunciare. Telefoni Rosa, campagne di sensibilizzazione, spot alla Tv: lo ripetono in continuazione. Loredana l’ha fatto: l’ha denunciato. Allora hanno ordinato all’uomo di non avvicinarsi più a lei. Ma lui, per tutta risposta, non solo s’è avvicinato: ha pure tentato di strangolarla. Loredana si è salvata per miracolo, l’ex marito è stato arrestato. Solo che dopo poche settimane è andato davanti al giudice, ha patteggiato la pena, solo 2 anni, condizionale e libertà immediata. E sapete che cosa ha fatto per prima cosa, appena uscito di cella? Ecco, avete indovinato: è tornato da Loredana e l’ha ammazzata senza pietà, sotto gli occhi della figlia di 14 anni. Poi si è ucciso.
L’altro giorno sotto casa, c’era la mamma di Loredana, una signora dignitosissima seppur distrutta dal dolore. Si chiedeva: «A che serve denunciare le violenze se poi nessuno ti protegge?». Ce l’aveva in particolare con il giudice che aveva liberato l’assassino. «Perché l’ha fatto?». In effetti: il medesimo assassino aveva dato ampie dimostrazioni delle sue intenzioni. Aveva violato gli ordini. Aveva aggredito la donna che non doveva avvicinare. Diceva quella mamma, piena di amarezza: «Il magistrato diceva che per tenerlo in carcere voleva più prove. Ecco: ora la prova l’ha avuta». La prova sarebbe il cadavere di sua figlia. Che strano Paese questo: bisogna farsi ammazzare per dare la prova che si è in pericolo. Lo Stato non dà protezione ai vivi perbene: al massimo benedice le loro casse da morto.
Ma questo è solo l’inizio di questa storia assurda. Il bello arriva ora. Perché dobbiamo dirvi due cose sul giudice che ha preso quella sfortunata decisione di lasciare libero l’assassino. Il giudice, infatti, si chiama Filippo Maffeo, ha 65 anni, lavora al tribunale di Savona ed è piuttosto noto alle cronache locali perché in passato era stato sanzionato dal Csm, l’organo di autogoverno dei magistrati. E sapete qual era il reato che gli veniva imputato? Stalking. Proprio così. Aveva molestato una collega. L’aveva molestata a tal punto che era stato ordinato il suo trasferimento dalla sede di allora (Imperia) a Firenze. È stato allontanato dalla Liguria qualche anno. Purtroppo ci è tornato il 23 marzo 2015. Il 28 aprile 2015 ha tenuto l’udienza in cui ha liberato l’assassino.
Forse è solo sfortuna, si capisce. L’applicazione della legge sarà stata sicuramente puntuale e rigorosa, come sostiene il medesimo Maffeo in un’intervista a La Stampa che sa tanto di excusatio non petita. Ma non ci si può fare a meno di chiedere quanto possa essere sereno nel giudicare un caso di stalking un giudice che è stato accusato di stalking. Quel che è certo è l’effetto di questa decisione: devastante. C’è una ragazzina di 14 anni che non ha più la mamma: l’ha visto uccidere a coltellate, sotto i suoi occhi. Se fosse stato un altro giudice avrebbe agito nello stesso modo? Magari sì, non possiamo escluderlo. Ma, ecco, noi ci sentiremmo più tranquilli se un molestatore di donne fosse giudicato da qualcuno che non è mai stato bollato (dal Csm) come molestatore di donne. E non possiamo fare a meno di sentire risuonare nelle nostre orecchie la voce di quella mamma: «Quel magistrato voleva più prove...».
Perché voleva più prove? Perché quelle che aveva non bastavano? O perché non voleva infierire con uomo definito stalker proprio come era stato definito lui? Non ci permettiamo di mettere in relazione i due casi, ovviamente. Però è un fatto che nell’intervista a La Stampa, il medesimo Maffeo si dica piuttosto scettico sul funzionamento della giustizia: «La giustizia mi ha maltrattato...», dice. Ora: può amministrare con serenità la giustizia nei confronti di uomo accusato di stalking colui che pensa che la giustizia maltratti gli uomini accusati di stalking? Fa male vedere una toga che si arrampica sui vetri: «Il giudice dell’udienza preliminare si trova ad affrontare un caso di cui sa i dettagli quella mattina», dice per esempio. E ancora: «Una pena di due anni con il patteggiamento è una pena alta». Fino alla conclusione: «Ho fatto quello che un giudice poteva fare».
Affermazioni da considerare attentamente. Dire che «il gup sa i dettagli del caso soltanto la mattina dell’udienza», che significa? È una specie di giustificazione? Un’ammissione? In altre parole sta dicendo: «Non sapevo»? «Non avevo letto fino in fondo»? «Ho deciso ma senza aver approfondito bene la questione»? Questo pensa Maffeo? Davvero? E davvero ritiene che due anni con la condizionale e la libertà immediata siano una «pena alta» per uno che ha tentato di strangolare una donna, e che potrebbe rifarlo subito dopo? Forse un giudice dovrebbe avere un po’ più di attenzione quando parla davanti ai cadaveri provocati dalle sue decisioni. Realmente ritiene di aver «fatto tutto quello che un giudice poteva fare»? Ci pensi bene, perché se è così smettiamola di dire alle donne che devono denunciare i loro molestatori. Perché lo Stato, di fatto, ammette di non saperle proteggere.
«Non sono Frate Indovino», ripete ancora il magistrato. Nessuno, in effetti, chiede ai magistrati di essere Frati Indovini. Ma, ecco, magari si chiede loro di non liberare uno che ha appena tentato di strangolare la ex moglie. Poi si chiede loro anche di non importunare le colleghe in ufficio. Poi si chiede loro, quando sono chiamati a giudicare qualcuno, di essere equilibrati. Soprattutto si chiede loro di essere equilibrati a tal punto di non pensare di essere stati maltrattati dalla giustizia. E si chiede loro di non rilasciare interviste sgradevoli, in cui si cerca affannosamente di difendersi, dimostrando di avere una coda di paglia grande come un tribunale. Infine si chiede loro di non offendere le persone che, in seguito alla loro sentenza, hanno perso la vita, o la mamma, o la figlia. «Diciamo la verità», sostiene il magistrato, «nemmeno ora si conosce con esattezza cos’è accaduto in quella casa». Qualcuno glielo spieghi, per favore: una donna è morta, una figlia di 14 anni l’ha vista uccidere. Forse lei non se n’è ancora accorto, caro giudice, ma in quella casa c’è stata una tragedia. Colpa di uno stalker. Anzi, di due.
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