Strage Heysel, Stefano Tacconi: "Negli spogliatoi un generale ci ordinò di festeggiare sotto la curva"
Sono passati 30 anni da una delle pagine più buie nella storia del calcio. Sono trascorsi tre decenni dalla strage dell'Heysel, quando morirono schiacciati dalla folla 39 italiani prima della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Di quella notte non si ricorda affatto la vittoria dei bianconeri. Si ricorda l'orrore. Si ricordano le polemiche: perché quella partita è stata ugualmente giocata? Perché i giocatori della Juventus, dopo aver vinto, hanno esultato sotto alla curva dei tifosi? Ora, dopo molto tempo, a rompere il silenzio è Stefano Tacconi, che in quella disgraziata serata difendeva la porta della Juve. "Non bisogna chiudere gli occhi, ma tenerli ben aperti per ricordare - premette -. Penso soprattutto al grande sogno di 22 giocatori infranto da certi ultrà. Le finali si dovrebbero sempre giocare con entusiasmo e gioia". Ma l'ex portierone, poi, va più nel profondo e spiega che cosa sapevano (o non sapevano) i giocatori: "Le notizie erano frammentarie, non si capiva se era morto un tifoso oppure un centinaio. La Uefa ci aveva impedito di scendere in campo, ma per fortuna un generale grande e grosso, con un po' più di sale in zucca, ci ha ordinato di giocare per evitare problemi più grandi: la curva juventina avrebbe voluto vendicarsi". Infine l'accusa, forse quella più grave. Si parla dei festeggiamenti, contestatissimi, fonte di eterna polemica: "Sento sempre ripetere le stesse cose - si sfoga Tacconi -. La nostra festa era stata decisa dallo stesso generale alto due metri: ci ha obbligati a uscire dallo spogliatoio e andare sotto la curva bianconera, perché dovevamo tenere i nostri tifosi all'interno dello stadio".
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