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mercoledì 4 marzo 2015

L'intervista al Pm di Trani, Michele Ruggiero Falsità, misteri, report a orologeria: "Tutta la verità sul golpe anti-Cav"

Standard & Poor's e Morgan Stanley, falsità e report a orologeria. Il pm di Trani: "Se questo non è complotto..."

Intervista a cura di Giacomo Amadori 



La vicenda del declassamento dell’Italia da parte dell’agenzia di rating Standard & poor’s (S&P) sta diventando un intrigo internazionale. Tanto da far gridare da più parti al complotto. Contro il nostro Paese e segnatamente, contro il governo di Silvio Berlusconi. Il pm della procura di Trani Michele Ruggiero è riuscito a condurre alla sbarra i vertici dell’agenzia statunitense con l’accusa di manipolazione del mercato. La prossima udienza sarà giovedì prossimo e il processo potrebbe concludersi entro fine anno. Le ultime carte depositate da Ruggiero individuano quello che potrebbe essere il movente di quei declassamenti: la clausola di rescissione anticipata di un contratto derivato che il governo italiano stipulò con la banca d’affari Usa Morgan Stanley. Un tesoretto da 2,567 miliardi di euro che il governo di Mario Monti pagò il 3 gennaio 2012, senza tentennamenti, nonostante il procedimento in corso a Trani contro S&P. 

Lo scorso 10 febbraio Maria Cannata, a capo della direzione debito pubblico del nostro ministero dell’Economia, ha depositato alla Camera una relazione in cui si legge: «Tra le situazioni critiche che si è dovuto fronteggiare nei momenti peggiori della crisi emerge in particolare la ristrutturazione, funzionale alla successiva chiusura di diverse posizioni in derivati in essere con Morgan Stanley, realizzata tra dicembre 2011 e gennaio 2012. La peculiarita? di questo complesso di operazioni risiedeva nella presenza di una clausola di estinzione anticipata unica nel suo genere, in quanto attribuita non ad una singola operazione, bensì presente nel contratto quadro in essere con la controparte e ricomprendente tutte le operazioni sottoscritte con quella banca. Il contratto quadro (…) era stato sottoscritto nel gennaio 1994 e prevedeva (…) il diritto di risoluzione anticipata dei contratti derivati in essere, al verificarsi del superamento di un limite prestabilito di esposizione della controparte nei confronti della Repubblica. Tale limite era di importo contenuto: $ 150 mln ove la Repubblica avesse un rating tripla A, $ 75 mln in caso questo si collocasse in area doppia A, $ 50 mln in caso singola A». Dunque a mettere quel cappio al collo del nostro Paese fu il governo di Carlo Azeglio Ciampi. All’epoca il ministro del Tesoro era Paolo Barucci e il direttore generale del dicastero era un certo Mario Draghi che nel 2011 sarebbe divenuto presidente della Banca centrale europea. «Nonostante tali soglie fossero state superate da anni, la banca non aveva mai dato segno di voler far valere la clausola» aggiunge Cannata. «Tuttavia, alla fine del 2011 la situazione del credito della Repubblica appariva cosi? fragile che Morgan Stanley ritenne di non poter tralasciare di avvalersi della posizione di forza che la clausola le conferiva. Ignorare il vincolo contrattuale non era possibile, perche? il danno reputazionale che ne sarebbe derivato sarebbe stato enorme, e assolutamente insostenibile, soprattutto in un contesto di mercato come quello» ha concluso Cannata. Il pm di Trani non crede a quell’ineluttabilità. 

Però dottor Ruggiero la colpa di tutto questo sembra essere di gente del calibro di Draghi, Ciampi, Barucci… 

«A me non interessa chi ha assicurato quella clausola unilaterale, ma chi se ne è avvalso. Mi interessa dimostrare che il declassamento dell’Italia da parte di S&P era illegittimo e che il ministero dell’Economia (allora guidato dal premier Monti ndr) forse poteva aspettare un po’ a pagare quei soldi a una banca che faceva parte dell’azionariato di chi ci ha declassati».  

Si riferisce alla Morgan Stanley? 

«Io so che nel semestre in cui S&P, mi lasci usare un termine non tecnico, ha bastonato l’Italia, c’è stata una banca, Morgan Stanley, che ha battuto cassa con il nostro governo grazie a una clausola legata anche al nostro declassamento. E guarda caso questa banca partecipa all’azionariato di S&P. Questo dimostra l’enorme conflitto d’interessi in capo a queste agenzie».  

Qual è il suo obiettivo? 

«Mi interessa accertare gli effetti di quella gragnuola di colpi che abbiamo preso tra il maggio 2011 e il gennaio il 2102». 

A che colpi si riferisce? 

«Ci furono 4 o 5 azioni di rating nei confronti dell’Italia, compresa una bocciatura preliminare quando era ancora ufficiosa la manovra correttiva di Giulio Tremonti (il ministro dell’Economia del governo Berlusconi, ndr). Fu un semestre assolutamente caldo per l’Italia». 

Qual è il reato ipotizzato? 

«La manipolazione di mercato nella misura in cui un immeritato declassamento rappresenta un’informazione falsa al mercato. Infatti tutte le volte in cui sono partiti quei colpi contro l’Italia, l’agenzia sapeva che non li meritavamo». 

E come fa a dirlo?  

«Lo dicono le intercettazioni telefoniche e le email intercorse tra gli analisti di S&P che abbiamo sequestrato. Il responsabile italiano aveva avvertito i colleghi che quello che stavano scrivendo dell’Italia non corrispondeva a verità e per questo li pregava di togliere il nostro dai Paesi destinatari del rating negativo. Se questo lo mettevano nero su bianco loro stessi, è chiaro che quel declassamento è un’informazione falsa ai mercati». 

Ha altri elementi per sostenere che non meritassimo quei giudizi negativi? 

«All’attuale ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan, allora autorevole capo economista dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), chiesi se fosse d’accordo con quella retrocessione. Rispose che non lo era assolutamente perché i dati economici fondamentali dell’Italia dicevano altro. Durante le indagini abbiamo raccolto un coro unanime di pareri simili. Tutti, dico tutti, da Monti a Tremonti a Draghi, hanno assicurato che l’Italia non doveva essere declassata». 

Perché il ministero dell’Economia non si è costituito parte civile nel vostro processo? 

«Se è per questo, neanche la Presidenza del consiglio lo ha fatto». 

Lei ha dichiarato in aula di essersi «sorpreso» per questo… 

«Confermo l’aggettivo, ma non aggiungo altri commenti per non beccarmi un’azione disciplinare. E la prego di non insistere perché ho famiglia anche io (ride). Comunque ce la farò da solo a sostenere l’accusa in giudizio, senza bisogno del ministero, anche se penso che la sua costituzione sarebbe stata nell’interesse della comunità». 

Perché si è «sorpreso»? 

«Perché la manipolazione di mercato offende e danneggia dal punto di vista economico un Paese. I nostri titoli divennero investimenti non più graditi».  

Per quale motivo il nostro governo sembra non voler chiedere un risarcimento per quelle bocciature immeritate? Forse perché sono "ingombranti" i nomi di coloro che stipularono quei contratti derivati? 

«Questo lo domandi al governo».  

Draghi lo avete sentito? 

«Lo abbiamo ascoltato in un procedimento parallelo. E verrà citato come testimone in questo processo».  

C’è stato un complotto nei confronti dell’Italia e del governo Berlusconi? 

«Ho le mie idee sul punto, ma non posso esprimerle. In aula ho raccontato al giudice che nelle intercettazioni tra gli operatori di S&P emergeva che già nel giugno 2011 c’era interesse per alcuni movimenti». 

Quali movimenti? 

«Per esempio in una telefonata un indagato diceva: “Aspetta che Berlusconi sta andando al Quirinale” (a rassegnare le dimissioni da premier ndr). Le intercettazioni, che sono note, mandano segnali ben precisi». 

Quegli analisti sembravano contenti per le dimissioni del Cavaliere? 

«C’è un regolamento europeo che stabilisce che quando un’agenzia di rating ha maturato un report o altri atti di questo tipo, non può tenerli nel cassetto, deve subito riferirli al mercato, questi signori invece indugiavano, pilotavano la tempistica e questo significa influire anche sulla politica. Un progetto che qualcuno può chiamare anche complotto».  

Queste scelte hanno sfavorito il governo Berlusconi? 

«Non hanno favorito l’Italia e ovviamente ha pagato in particolar modo chi stava in quel momento al governo». 

Lei si aspetta che l’attuale esecutivo si costituisca parte civile? 

«Posso solo dire che lo spero». 

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