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mercoledì 4 marzo 2015

Così l'Europa ci frega un'altra volta: ci rispedisce i profughi sbarcati qua

Immigrazione, la beffa: l'Europa ci rispedisce i profughi sbarcati in Italia

di Brunella Bolloli 



Entrano, vanno, poi ritornano. Ce li rimanda l’Europa. Sono circa 15mila i profughi che, ogni anno, vengono rispediti qui dagli altri Paesi dell’Ue. Italia terra di frontiera e di prima accoglienza e, solo per alcuni, luogo dove fermarsi, mentre per molti altri dovrebbe essere solo un approdo sicuro prima di stabilirsi altrove. Dovrebbe se non comandasse in Europa il Trattato di Dublino, che impone e vincola il primo Stato di accoglienza ad assumersi ogni responsabilità nei confronti dei richiedenti asilo. Siamo noi, in virtù della nostra posizione geografica, la salvezza per chi fugge da guerre e persecuzioni in patria: somali, libici, eritrei, siriani, afghani e tanti altri. E siamo sempre noi, quindi, a prenderci cura di chi viene rispedito indietro da Francia, Germania, Svizzera e nord Europa o da quei Paesi dell’Unione diversi da quello in cui sono entrati. In pratica, un’assenza di libertà. 

Il fenomeno dei «profughi di ritorno» è in costante crescita. Loro sono i dubliners, ossia i casi Dublino, come li chiamano le associazioni umanitarie: migranti soggetti ai regolamenti seguiti alla prima Convenzione di Dublino del ’90, poi rivista nel 2003. In base a questi accordi lo Stato europeo competente per la decisione su una domanda d’asilo è quello in cui il richiedente è sbarcato per primo. Una norma che penalizza l’Italia più che altri, visto che non ci vuole un genio a capire che è sul nostro suolo che tanti migranti mettono piede per primo. Qui, dopo i soccorsi, si procede con l’identificazione tramite fotosegnalazione e impronte digitali, si cominciano le pratiche per lo status di rifugiato richiedente asilo e qui si deve restare, dice la regola europea. Molti cercano di scansare questa operazione che li condanna a un legame con l’Italia: il loro obiettivo è raggiungere parenti o amici in Olanda, Svezia, Francia, Germania dove c’è più lavoro e si può pensare di ricominciare una vita. Puntano a lasciare Roma senza lasciare tracce, come dei fantasmi fuori controllo. Ma è il trattato di Dublino, o meglio la rete Eurodac che poi li ricaccia in Italia. Eurodac è la banca dati delle impronte digitali: se è in Italia che si è stati «schedati» allora torneranno qui tutti coloro che il principio del non-refoulement (non respingimento) stabilito dalla Convenzione di Ginevra del 1951 tutela. In base a questo criterio, chiunque sia fuori dal proprio Paese per timore di essere perseguitati per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un gruppo sociale o per le sue idee politiche, ha diritto a essere protetto e non respinto. Non può essere certo ricondotto in patria, per cui viene accompagnato nel primo Paese d’accoglienza. E dove se non in Italia com’è avvenuto per i profughi rimandati con il Dublin transfer? La richiesta di «riammissione passiva», nei primi 11 mesi del 2014, è stata stimata per 15.760. Di questi, ha scritto Avvenire, ne sono stati accolti 13.300. La Francia è stata la più “generosa”: ci ha rimandato 8mila migranti, l’Austria 4.800, la Svizzera ce ne ha rispediti 1.282. Dalla Germania della Merkel, invece, solo 6 richieste: sorprendente se pensiamo che a giugno il premier Matteo Renzi era tornato da Bruxelles sconfitto in tema di immigrazione. Renzi era andato convinto di spuntarla con il documento del «mutuo riconoscimento» delle decisioni sul diritto d’asilo (cioè lo status di rifugiato spendibile in tutta l’Ue e non solo in Italia), invece la Cancelliera lo aveva gelato. E con lei i governi del nord. Morale: Italia obbligata dall’Ue a tenersi i profughi. Grane in più per il ministro dell’Interno, Angelino Alfano e per i coordinamenti territoriali delle varie prefetture chiamati a gestire i centri per i «dublinanti».

Un sistema, quello del trattato di Dublino, definito «inefficace e inumano» perfino dal Cir, Consiglio italiano per i Rifugiati. «È evidente che l’attuale sistema europeo d’asilo non funziona», ha dichiarato il direttore Christopher Hein. «Un rifugiato riconosciuto dall’Italia deve esserlo anche per la Germania: deve avere diritto come ogni cittadino europeo di muoversi liberamente». Lo status di rifugiato dovrebbe cioè essere valido in tutta l’Unione senza legare le persone che hanno bisogno di protezione a un singolo Paese, l’Italia il più delle volte. Basta guardare le tabelle Eurostat sui trasferimenti con il sistema Dublino nel 2013: noi abbiamo «esportato» 5 profughi, l’Ue ce ne ha rimandati 3.460. Zero alla Norvegia, zero alla Svezia, 834 in Francia, 751 in Svizzera. E nel 2014 le presenze si sono moltiplicate. 

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