Luciano Moggi racconta Calciopoli: "Ho vinto io. Mi ha salvato Padre Pio"
di Luciano Moggi
Era la vigilia di una partita a Palermo, non ricordo se nel 2004 o 2005, avevo ricevuto da tempo una lettera da una signora di quella città in cui era scritto che mi avrebbe voluto incontrare per raccontarmi una cosa strana ma bella capitata a lei, preavvisandomi che non mi avrebbe chiesto nessun favore. Preso dalla curiosità l’ho fatta venire nell’albergo dove eravamo in ritiro e mi sono trovato di fronte una signora anziana alla quale le figlie avevano spiegato chi io fossi. Questo il racconto: «Signor Moggi, ho sognato di essere in compagnia di Padre Pio, davanti a noi un gregge di pecore con vicino un pastore. Padre Pio mi disse: “Vedi quel pastore? È Luciano Moggi, io gli voglio tanto bene”». Rimasi impietrito e quasi incredulo, mi congedai dalla signora e quella domenica pensai più al sogno che alla partita.
Nel 2006, al sorgere di Calciopoli, preso dalla disperazione di passare per quello che non sono mai stato, pregai tanto Padre Pio e in una notte di quel terribile mese di maggio ebbi in sogno una visione, era Padre Pio che diceva: «Lotta con tutte le tue forze, dimostrerai la tua innocenza e salverai tante vittime innocenti, non aver paura io sarò sempre con te, Dio ti ha voluto sottoporre a questa grande prova». Queste parole mi incendiarono l’anima e mi dettero il coraggio di affrontare il grande imbroglio. Il resto è di questi giorni.
Alle 1.40 di lunedì, dopo sei ore di Camera di Consiglio la Cassazione ha emesso il verdetto; alle 2 andando con alcuni amici verso l’auto dopo le interviste di rito, ho trovato l’ex arbitro Bertini, con il suo avvocato Messeri, seduto su una panchina di piazza Cavour che piangeva: non si era ancora ripreso, era incredulo, stava ripensando alle torture a cui, incolpevole, ha dovuto sottoporsi per 9 lunghi anni. Alle 2.38 mi ha inviato questo sms: «La gioia per la mia assoluzione si stempera al pensiero che alcuni amici, che hanno condiviso con me questo calvario, non hanno avuto la stessa fortuna. Ti mando un abbraccio grande».
Su queste parole devono riflettere in tanti, in primis la Gazzetta dello sport che anche ieri ha avuto il coraggio di titolare «Calciopoli finisce in prescrizione, ma c’erano associazione e frodi» e anche il Corriere della sera. Senza vergogna, votati, come sono sempre stati, a sostenere la tesi dell’accusa nonostante siano di fronte a evidenze incontrovertibili.
A questi signori, e a chiunque altro si nasconda dietro una penna, do la mia disponibilità ad incontrarli in un dibattito pubblico affinché la gente sappia le verità su questa farsa. Ma nessuno avrà il coraggio di presentarsi e tutti voi, amici lettori, potrete cosi capirne il perché. Non basta che siano state distrutte famiglie intere, capifamiglia che hanno perduto il lavoro perché indagati, il povero Dattilo che addirittura era stato condannato senza aver mai arbitrato la Juve, solo perché facendo Udinese-Brescia che precedeva Udinese-Juve aveva ammonito tre giocatori friulani, cosa che Auricchio e Narducci pensarono di trasformare in capo d’accusa: per loro quelle erano ammonizioni «mirate», sostenendo che i predetti calciatori non avrebbero giocato contro la Juve: al contrario, giocarono tutti. Nell’occasione fu espulso Jankulovski per aver dato un pugno ad un avversario ma Camerota, l’assistente di linea che collaborava con Dattilo in quel match, convocato come teste sotto giuramento, disse che il giocatore fu segnalato da lui all’arbitro che non aveva visto il fallo. Questo per quanto riguarda Dattilo «assolto», gli altri sono Auricchio e Narducci.
La Cassazione ci ha assolti da due capi d’accusa “non prescritti”, sono stati assolti tutti gli arbitri del rito abbreviato e del rito ordinario è rimasto soltanto il povero De Santis che aveva rinunciato alla prescrizione e per un capo d’accusa in cui non c’entra affatto la Juve, la gara Fiorentina-Bologna. Così De Santis è rimasto nostro sodale, pur avendoci quell’anno arbitrato 5 partite di cui 4 perse e una pareggiata. Addirittura, in una di queste, ko in casa con l’Inter, siamo stati raggiunti in vetta dal Milan. Se a De Santis si fosse aggiunto un altro sodale come lui avremmo anche potuto perdere il campionato.
Per quanto concerne la prescrizione, non siamo stati noi a volerla raggiungere ma chi evidentemente sapeva che il processo avrebbe preso direzioni diverse da quelle agognate da Narducci, Auricchio e altri sparsi nel territorio (come sono soliti scrivere nei loro 415). Basterebbe citare le due ricusazioni alla dottoressa Casoria nel primo processo ordinario, fatte da Narducci e i due giudici a latere, per ipotizzare 7 mesi di black-out, mentre noi per rendere più scorrevole il processo, proprio per evitare la prescrizione, dei 150 testi a difesa ne abbiamo fatti escutere solo 24 risparmiando alla corte un anno abbondante di tempo. La prescrizione quindi è servita solo a quanti si erano inventati un processo e non a noi.
Il processo era iniziato con una fantomatica associazione a delinquere che doveva portare la Juve a vincere i campionati per mezzo di una trentina tra arbitri e guardalinee, tutti assolti meno De Santis. Difficile perciò parlare di associazione con gli arbitri. Allora è stata intrapresa una nuova strada, quella degli interessi personali del sottoscritto in correlazione con la Gea.
Non ci è mai stato dato però di sapere di quali interessi si parlasse, visto che la Gea è stata assolta da ogni onere penale. Di me si può solo dire che in 12 anni di gestione, con Giraudo e Bettega: l’azionista non ha mai fatto aumenti di capitale; la Juve è stata l’unica società a rinunciare allo spalmadebiti; abbiamo portato la Signora a vincere ovunque fino a diventare campione del mondo di club; abbiamo contribuito con i nostri ragazzi al Mondiale 2006. Sarebbe interessante sapere quali interessi potrebbero essere ipotizzabili. In quasi 10 anni di indagini sono riusciti a capire che il campionato era regolare, il sorteggio era regolare, le comunicazioni esclusive con i designatori non esistevano. E questo, cari lettori, è il vero motivo delle prescrizioni.
Un caro pensiero a quanti ci sono stati vicini, meno ovviamente all’avvocato Zaccone difensore a quel tempo della Juve: se dovesse rileggere quelle carte che disse di aver letto in una settimana e dovesse per caso guardarsi allo specchio, chissà quali reazioni potrebbe avere. Le nostre già le conosce.
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