Local Tax, il governo Renzi toglie il tetto alle aliquote: i Comuni ci potranno massacrare di tasse
di Fausto Carioti
Con l’annuncio della «local tax», la tassa unica comunale sugli immobili che ha promesso per il 2015, il governo di Matteo Renzi ha compiuto un doppio capolavoro di illusionismo. Primo. È stato rivenduto agli elettori come taglio della spesa pubblica centrale quello che si rivelerà un aumento della pressione fiscale locale. Secondo. Dietro un’apparente operazione di moralizzazione, rivestita dal nobile principio per cui i sindaci saranno - finalmente - i soli responsabili delle tasse cittadine, c’è una verità che di etico e responsabilizzante non ha proprio nulla: la piena libertà per gli amministratori comunali di fissare le aliquote che preferiscono. Senza che lo Stato ponga alcun limite. Della local tax si sa che, come ha detto Renzi, entrerà in vigore il prossimo anno e a partire dal 2016 dovrebbe arrivare nelle nostre case precompilata. Si sa anche che accorperà tributi locali attualmente esistenti, e dunque rappresenterà una meritoria opera di semplificazione.
L’ufficio studi della Cgia di Mestre ha fatto il conto: se dovesse sostituire Imu e Tasi (valore 18,8 miliardi di euro), la tassa sull’asporto rifiuti (Tari, valore 7,3 miliardi), l’addizionale Irpef (4,3 miliardi), l’imposta sulla pubblicità (426 milioni), la tassa sull’occupazione di spazi e aree pubbliche (218 milioni), l’imposta di soggiorno (105 milioni) e quella di scopo (14 milioni), questa maxi gabella unica avrebbe un peso di oltre 31 miliardi. Non tutti questi prelievi, però, confluiranno nella nuova tassa: la Tari, ad esempio, essendo basata sui metri quadrati e i componenti familiari anziché sulle rendite catastali, con ogni probabilità resterà fuori.
Oggi una famiglia con reddito da lavoro di 22.000 euro per coniuge e un figlio a carico, in una casa accatastata come A2 (abitazione di tipo civile), di dimensioni medie, nel capoluogo di regione più caro, Bologna, paga 867 euro di Tasi, 308 euro di addizionale comunale Irpef e 435 euro di Tari, per un totale di 1.610 euro. A Milano le stesse voci, sommate, arrivano a 1.379 euro, a Roma a 1.294, a Napoli a 1.289. Ma la local tax non si limiterà ad accorpare queste imposte: sarà qualcosa di nuovo e di diverso. «Una grandissima rivoluzione», promette Graziano Delrio, sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
La novità è infiocchettata da belle parole come «autonomia» e «federalismo». All’assemblea dell’Anci che si lamentava per i tagli ai trasferimenti decisi dal governo, Renzi ha illustrato la sua ricetta: «Noi vi diamo degli obiettivi e voi fate come vi pare, è evidente che poi ne risponderete di fronte ai cittadini». Pochi giorni prima aveva annunciato agli industriali bresciani l’arrivo di «un’unica tassa che faccia funzionare i servizi e sia affidata al sindaco, senza che lo Stato ci metta bocca. Federalismo è dare al sindaco la possibilità di decidere».
Concetti ribaditi venerdì da Delrio: «La cosa importante», ha detto ai sindaci, è che ci sia «autonomia fiscale dei Comuni completa». Cosa che oggi non avviene, perché le città hanno pezzi di Irpef e lo Stato ha un pezzo dell’Imu. Il governo, ha spiegato il sottosegretario, vuole invece restituire la categoria D dell’Imu ai Comuni e l’Irpef allo Stato, così «ognuno saprà a chi dare la colpa se le tasse sono troppo alte». I tempi per varare la local tax, ha avvisato, saranno gli stessi della legge di stabilità: poche settimane, in teoria.
La bellezza della mossa di Renzi è tutta qui: il governo, semplicemente, si limita a strizzare l’occhio ai sindaci e a togliere loro il guinzaglio, rendendoli liberi di tassare le case come vogliono («autonomia fiscale completa» questo vuol dire). Oggi, invece, un freno alla voracità degli amministratori locali è previsto, sebbene ancora per poco. La legge di stabilità votata lo scorso anno prevede infatti per la Tasi che grava sull’abitazione principale un limite pari al 2,5 per mille, che può salire di un altro 0,8 a patto che sia compensato da detrazioni. Questo tetto è comunque valido solo per il 2014; dal 2015 l’aliquota Tasi sull’abitazione principale potrebbe salire fino al 6 per mille. Non solo, dunque, il governo Renzi non intende rimettere il «calmiere» alla Tasi, ma promette di assorbirla in una nuova imposta gestita dai Comuni in totale libertà.
Si spiega così, con la promessa di una tassa «no-limits», il rinnovato clima d’intesa tra sindaci e governo. Piero Fassino, presidente dell’Anci, ieri ha detto di ritenere «positive» le risposte date del premier, perché sul tema della local tax e dell’autonomia degli enti locali «corrispondono a quello che chiediamo». Chi non ha alcun motivo per dirsi soddisfatto è il contribuente, vittima immolata sull’altare dell’accordo. Quanto alla possibilità di sapere «di chi è la colpa se le tasse sono troppo altre», che bontà sua Delrio concede ai soliti spennati, sai che soddisfazione. Perché un’idea chiara su chi siano i colpevoli ormai l’hanno tutti. Perché la possibilità di vendicarsi nelle urne ha senso solo se il sindaco è al primo mandato e si ricandida per il secondo, e comunque nulla ti garantisce che l’alternativa non sia peggiore. E poi perché il ragionamento per cui gli elettori sono liberi di reagire a certe vessazioni fiscali «votando con i piedi», cioè spostandosi in un Comune meno esoso, funziona solo nelle favole. Trasferirsi ha un costo (pure dal punto di vista fiscale) e la casa schiacciata da imposte troppo alte, inevitabilmente, perde valore di mercato.
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