BREVE
STORIA DI UNA VOCAZIONE
Paramedico,
lavoravo in ospedale.
Arrivò
che era ancora vivo. Avrà avuto non più di 20 anni. In officina era
stato colpito da una scossa elettrica. Facemmo di tutto per
strapparlo alla morte. Alla fine volò via. Non era per me la prima
volta che un giovane mi morisse tra le mani. Stavolta, non so perché,
fu diverso. Rimasi a guardare quel ragazzo morto come intontito: dove
era andato? Continuava a vivere? Era tutto finito? Credo che debbo
anche a lui e al lavoro in ospedale se la mia riflessione sul senso
della vita e della morte sia approdata verso il sacerdozio. Nato in
una famiglia cattolica, frequentavo, allora, una Chiesa Evangelica.
Dopo i primi anni di entusiasmo, cominciavo ad avvertire che qualcosa
mancava in quella Chiesa che pure amavo. Mancava l’Eucarestia e il
Papa; la Madonna e la gioia di pregare per i morti. Un giorno, a
Napoli, mi fermai a dare un passaggio ad un frate francescano:
quell’incontro mi cambiò la vita. Il ritorno alla Chiesa Cattolica
e il desiderio di essere completamente del mio Signore fu tutt’uno.
I dubbi, però, erano tanti. Fra Riccardo vegliava su di me, ma né
lui spingeva troppo, né io ero disposto a rischiare. Il tempo
passava. Che fare? Andai a Lourdes con l’intenzione di chiedere
alla Madonna un po’ di luce. Se il Signore mi voleva sacerdote ero
pronto, ma che me lo facesse capire.
A
Lourdes passavo il tempo tra gli ammalati e la preghiera alla Grotta,
da dove giungeva una forza magnetica che mi inchiodava per ore con la
corona in mano. Un giorno, solo, pregavo nella Basilica del
Rosario.Ricordo che indossavo la mia vecchia camicia militare e un
paio di Jeans. La barba alla Fidel Castro, i capelli lunghi e la
fronte tra le mani a chiedere luce.
Venne
a sedersi accanto a me, nonostante la chiesa fosse semideserta.
Gabriele – lo chiamerò così - , cominciò ad aprirmi il cuore.
Disposto ad ascoltarlo, gli consigliai, però, di rivolgersi a
qualche sacerdote per una confessione. Non volle. Passammo insieme la
giornata. Si confidò. Mi raccontò la vita. Poi ripartì.
Rimasi
ancora solo. I giorni del pellegrinaggio volgevano al termine. Alla
Grotta ancora una volta, rivolsi lo sguardo alla Madre buona: “Non
lasciarmi nel dubbio. Sono disposto subito ad abbandonare quel poco
che ho costruito, ma dimmi se è ciò che il Tuo Figliolo vuole.”
Un dolce rimprovero sembrò che mi giungesse: “ Ancora non hai
compreso? Ancora gemi?”.
Tornato
a casa mi iscrissi alla facoltà di Teologia. Fu un anno duro e
bello. La mattina in facoltà, pomeriggio e notte in ospedale. L’anno
dopo lasciavo il lavoro per iniziare l’avventura più bella che
avessi mai potuto immaginare di vivere. Correva l’anno 1984 ed io
avevo 29 anni.
Gli
anni del seminario sono stati un tempo di Grazia straordinario. Ho
avuto la gioia di avere tra i miei maestri sacerdoti dotti e santi.
Rettore era allora Mons. Agostino Vallini, attuale Vicario del Papa
per la diocesi di Roma. Padre Spirituale Mons. Armando Dini,
Arcivescovo emerito di Campobasso. Tra gli insegnanti, spiccava Mons.
Bruno Forte, attuale Vescovo di Chieti – Vasto.
Il
nome del giovane che spirò tra le mie braccia non lo ricordo più.
Gabriele
non l’ho più rivisto, ma ho sempre considerato la chiacchierata di
quel giorno la prima confessione non sacramentale del mio sacerdozio.
Fra
Riccardo, in Africa, sempre di più innamorato di Cristo e della
Chiesa, è diventato più povero dei suoi poveri.
Io
sono rimasto in Campania ancora incapace di comprendere e smaltire,
dopo più di 20 anni, lo stupore che mi abita dal giorno della mia
ordinazione. La mia sorte è caduta su magnifici e deliziosi luoghi.
La mia riconoscenza è eterna.
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