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sabato 20 dicembre 2014

Classifica dei lavori che fanno ingrassare (e quelli che fanno dimagrire)

La classifica americana: ecco quali sono i mestieri con il più alto rischio di obesità




L'American journal of preventive medicine ha pubblicato, nei giorni scorsi, la classifica del rischio obesità in base all'occupazione. Come riportato dal Corriere della Sera, sono dati molto importanti negli Usa, dal momento che lavoratori in buona forma fisica significano, per il datore di lavoro, un risparmio medio del 9% in spese sanitarie e assenze per malattia.

I dati - Il tasso di obesità, cioè la probabilità di diventare sovrappeso, supera il 40% per poliziotti, pompieri e guardie giurate: sono questi i mestieri più a rischio, seguiti (35,6%) dai lavoratori del sociale e dagli uomini di chiesa. Dopo i primi, i mestieri più colpiti sono infermieri, terapisti, architetti, ingegneri, autisti e camionisti. I più virtuosi, invece, sono gli economisti, gli scienziati e gli psicologi, con un tasso di obesità del 14% circa: poco sopra stanno artisti, attori e reporter, poi cuochi e baristi.

Vuoi vedere dal vivo la finale a Sanremo? Ecco quanto devi pagare per una poltrona

Festival di Sanremo, seguire la finalissima all'Ariston costerà 660 euro




In un modo o nell'altro seguire il Festival della Canzone Italiana, in onda dal 10 al 14 febbraio  ha il suo bel costo, e se i 113,50 euro del canone Rai vi sembrano troppi per un anno di tv, date un'occhiata ai prezzi delle serate del teatro ligure. Per presenziare all'Ariston e seguire Sanremo comodamente seduti in teatro, i prezzi vanno dal centinaio ai 660 euro. Precisamente vi costerà 100 euro la galleria nelle prime 4 serate, 320 nella finalissima, i prezzi del biglietto aumentano per la platea dove costerà 180 euro per sera fatta esclusione per la finalissima dove si arriva a 660 euro. Optando per l'abbonamento, disponibile per la sola galleria il costo rsta quello degli ultimi 5 anni, ovvero 672 euro.  A chi si domanda la ragione, semplice perché Sanremo è Sanremo...

Anche i francescani sono in rosso: buco milionario nei conti, rischio crac

Francescani in rosso: buco milionario, rischio crac




Investimenti sbagliati, controlli insufficienti operazioni finanziarie dubbie e i frati francescani rischiano il crac. In una lettera pubblicata sul sito dei frati e ripresa dal Messaggero, il ministro generale, padre Michael Perry scrive: "La Curia generale si trova in una situazione di grave, sottolineo grave, difficoltà finanziaria, con un cospicuo ammontare di debiti". Da un'indagine interna avviata a settembre sulle attività finanziarie dell'economato degli stessi francescani, è emerso che "i sistemi di vigilanza e di controllo finanziario della gestione del patrimonio dell'Ordine erano o troppo deboli oppure compromessi, con l'inevitabile conseguenza della loro mancanza di efficacia rispetto alla salvaguardia di una gestione responsabile e trasparente". Inoltre "sembrano esserci state un certo numero di dubbie operazioni finanziarie, condotte da frati cui era stata affidata la cura del patrimonio dell'Ordine, senza la piena conoscenza e il consenso né del precedente né dell'attuale Definitorio generale".

Secondo il superiore generale dei francescani "la portata e la rilevanza di queste operazioni hanno messo in grave pericolo la stabilità finanziaria della Curia generale. Queste dubbie operazioni vedono coinvolte persone che non sono francescane ma che sembra abbiano avuto un ruolo centrale nella vicenda". Per questo si è anche deciso di chiedere l'intervento delle autorità civili. Intanto Perry ha chiesto a "tutti i Ministri provinciali e Custodi la loro comprensione e un contributo finanziario per aiutarci a far fronte all'attuale situazione, che implica anche il pagamento di cospicue somme di interessi passivi".

Infine padre Michael, consapevole dell'impatto che questa vicenda avrà su tutti, ha richiamato tutti all'esempio di "Papa Francesco nel suo appello alla verità e alla trasparenza nelle attività finanziarie sia nella Chiesa che nelle società umane".

Le auto blu e la bufala sui tagli: dovevano restarne 93, ce ne sono mille

Auto blu, bufala sui tagli: dovevano restarne 93, ce ne sono ancora mille. Marianna Madia: "Colpa dei rinvii"




Non avranno dimezzato il numero dei parlamentari o i loro stipendi ma almeno hanno iniziato a tagliare le auto blu che secondo il Codacons ci costano un miliardo di euro l'anno. Questa era la speranza della scorsa primavera quando il governo Renzi aveva annunciato che le auto dovevano essere massimo 5 per ogni ministero, per un totale di 93, compresa quella del premier. Speranza che si è tramutata nell'ennesima beffa, dato che a fine 2014 ad oltre sei mesi dal decreto, come segnala Il Messaggero sono ancora più di mille: ben 1.163. Ma il ministro della pubblica amministrazione Marianna Madia, annuncia un'accelerazione, affermando che finalmente è arrivato il decreto attuativo e quindi dovranno mettersi in regola entro i prossimi due mesi, gli enti che attualmente hanno a disposizione fino a cinquanta auto, entro giugno quelli fino a cento macchine ed entro fine 2015 quelli con oltre un centinaio di vetture. I risparmi 2015 ammonteranno così a 43 milioni. Conferma inoltre la distribuzione delle auto in questione: le amministrazioni con meno di cinquanta dipendenti potranno avere a disposizione solo un'auto, quelle con un numero di addetti tra i cinquantuno e i duecento potranno contare su una coppia, quelle con più di duecento ma sotto i quattrocento tre auto fino a un massimo di cinque veicoli per quelle con oltre seicento lavoratori. Le cause della "solita" lentezza burocratica vengono additate al fatto che gran parte delle auto blu ministeriali non possono essere vendute, così come proposto da Matteo Renzi, perché sono affittate con contratti in leasing che se dovessero essere interrotti prima della scadenza porterebbero al pagamento di grosse penali.

Cornuti sì, ma quanto guadagnano Ecco gli incassi degli arbitri italiani

Arbitri, ecco quanto guadagnano quelli italiani

di Francesco Paolo Giordano 


I più bravi se lo possono permettere: girano in Ferrari, vestono abiti firmati e ogni domenica scendono in campo per il campionato. Ma preferiscono la discrezione: non sono calciatori ma arbitri, non devono (ma qui il condizionale è preferibile) essere al centro dell’attenzione, ma limitarsi a far rispettare le regole. I direttori di gara della nostra Serie A potrebbero essere habitué del jet set, visto il lauto stipendio che spetta a quelli più in carriera: c’è chi, in un anno, riesce a raggiungere la somma di 200.000 euro lordi, solamente grazie al loro lavoro di fischietti. Che si accompagna alla professione autonoma, slegata dal mondo del calcio, esercitata da ogni giacchetta nera.

Bisogna ricordare che non tutti gli arbitri riescono a guadagnare una cifra del genere: dipende dall’esperienza accumulata. È in base alle gare dirette in carriera che cambia l’indennità fissa stagionale. Gli internazionali guadagnano 80mila euro, gli arbitri che hanno fischiato in almeno 70 gare di A percepiscono 70mila euro, 45mila euro per chi ha all’attivo almeno 25 gare di A e 3mila euro per i debuttanti nel massimo campionato. Infine, agli assistenti vanno 23mila euro annui. A queste somme, vanno aggiunti i compensi per ogni singola partita di campionato. Un arbitro guadagna 3.800 euro a gara, cifra che si riduce a 1.080 per gli assistenti e a 800 per il quarto uomo. Per la Coppa Italia, il tariffario varia a seconda dell’importanza della partita: dai mille euro dei primi turni si arriva ai 3.800 della finale, quanto una gara di Serie A. È la Federcalcio a versare i contributi agli arbitri, in quanto l’Aia, l’Associazione Italiana Arbitri, è la settima componente della Figc. In più, gli internazionali hanno la possibilità di arbitrare match gestiti dall’Uefa, dove il tariffario è ancora più remunerativo: 4.800 per ogni gara fischiata, 5.800 se la partita riguarda la fase finale di una manifestazione. 

La questione dei compensi per gli arbitri ritorna dopo l’ultimo Consiglio Federale: è stato approvato il budget 2015 della Figc (ma gli arbitri, insieme ad allenatori e calciatori, si sono astenuti dalla votazione), ma è stato previsto un passivo di 10 milioni di euro. «Ampiamente coperto dalle nostre risorse interne», si è affrettato a dire il presidente Tavecchio. Il segno meno è dovuto alla decurtazione dei contributi Coni decisa ad ottobre: si è passati dai 62,5 milioni di euro del 2014 agli attuali 40,1. Per questo, il numero uno della Federcalcio ha prontamente annunciato: «Ci sarà una riduzione dell’8% della spesa arbitrale, che su circa 50 milioni a disposizione equivale a 4 milioni di euro». La cura non è ancora definita, ma il paziente è già disteso sul lettino. Però, in fin dei conti, buona parte della spesa per gli arbitri viene destinata alle categorie minori: in Italia, ogni anno, si disputano 700.000 partite. Una stagione di Serie A, dal punto di vista del pagamento degli associati Aia, costa circa quattro milioni di euro, cinque se si considerano anche Coppa Italia e Supercoppa. 

Nello stesso Consiglio, è stato deciso di costituire un gruppo di lavoro che valuti l’introduzione della goal-line technology, il sistema per evitare i gol fantasma, già adottato nei Mondiali brasiliani. In Inghilterra lo usano già, in Germania arriverà a breve. Il presidente dell’Uefa Michel Platini è sfavorevole all’utilizzo della tecnologia sui campi di calcio, ma il fronte a favore sta raccogliendo sempre più consensi. Tra cui lo stesso Tavecchio, convinto anche da alcuni suoi sponsor, come Galliani, furioso per la mancata concessione del gol fantasma di Rami in Milan-Udinese dello scorso 30 novembre. Se si dovesse continuare su questa strada, la Figc potrebbe decidere di abolire gli arbitri di porta, che fin qui non hanno mai convinto fino in fondo. Il loro impiego costa alla Federcalcio, ogni anno, 1,6 milioni di euro. L’installazione della goal-line technology invece, come ha ribadito Carlo Tavecchio, sarebbe esclusivamente a carico delle società, e costerebbe tra i 200.000 e i 250.000 euro a stadio.

venerdì 19 dicembre 2014

Beffa sulle pensioni: via più tardi Ecco quando potrete lasciare il lavoro

Pensioni, dal 2016 si lascerà il lavoro 4 mesi più tardi




Dal 2016 si andrà in pensione quattro mesi più tardi. Età anagrafica per la pensione di vecchiaia e anni di contribuzione per quella anticipata saranno aumentati di quattro mesi. E' - come ricorda Il Giorno l'effetto del collegamento, previsto dalla riforma, tra incremento dell'aspettativa di vita e requisiti pensionistici. Per il 2015 saranno confermati i requisiti già validi: l'età pensionabile delle donne lavoratrici private e quelle autonome (commercianti, artigiane) rimane fissata rispettivamente a 63 anni e 9 mesi e a 64 anni e 9 mesi. L'età delle dipendenti pubbliche e quella degli uomini, rimarrano quelle del 2013 fissate a 66 anni e tre mesi. Restano invariati i requisiti della pensione anticipata che ha sostituito la vecchia pensione di anzianità: 42 anni e 6 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e sei mesi per le donne.

Il quadro - Ma come  dicevamo, il 2016 sarà un anno di stretta previdenziale. L'obiettivo della riforma Fornero è quello di fissare una soglia di età uguale per tutti, ma a questo traguardo arriveremo nel 2018, quando la soglia minima uniforme sarà almeno di 66 anni. Oggi lo è per i dipendenti pubblici di entrambi i sessi: nel 2016 è fissato un nuovo scalino. Il principio ispiratore è quello secondo cui a mano a mano che si vivrà più a lungo si dovrà lavorare di più e si alzerà quindi l'età pensionabile. Il primo adeguamento c'è stato nel 2013 ed è stato di 3 mesi. Il secondo partirà dal 2016: i quattro mesi in più di lavoro sono stati certificati dal decreto che - come scrive iIl Giorno - attende la pubblicazione. Ecco quindi il quadro per il 2016: le lavoratrici private passeranno da 63 anni e 9 mesi a 65 anni e 7 mesi; 64 anni e 9 mesi a 66 anni e anni e un mese per quelle autonome. 

Arriva la multa sul termosifone, cosa cambia: le sanzioni

La multa del termosifone: le sanzioni per chi non installa valvole termostatiche




Entro il 31 dicembre 2016, così come previsto dal decreto di recepimento della direttiva 2012/27/Ue sull’efficienza energetica, scatterà l’obbligo, per tutti gli italiani che risiedono in condomini con riscaldamento centralizzato, di installare su ciascun termosifone del proprio appartamento le valvole termostatiche con i contabilizzatori di calore. Che permetteranno di risparmiare, ma avranno anche costi d'installazione piuttosto alti e sanzioni altrettanto pesanti. Le valvole di fatto sono meccanismi di termoregolazione che permettono una suddivisione del calore nelle diverse stanze dell'appartamento, consentendo di escludere automaticamente il termosifone una volta che la camera ha raggiunto la temperatura desiderata in base al livello impostato, da 0 a 5. I contabilizzatori o ripartitori di calore sono, invece, apparecchiature che quantificano il calore effettivamente consumato. Grazie a questo intervento di risparmio energetico, si prevede di consentire un risparmio medio annuale tra il 10% e il 30% del totale del combustibile utilizzato da ogni condominio.

Costi e sanzioni -  Secondo una simulazione fatta dal Sole 24 Ore, per un appartamento di 80 mq dotato di 6 caloriferi servono 1.055 euro di spesa per installare le valvole termostatiche (in media si tratta di un'operazione che costa 120 euro a calorifero), compresi i costi per adeguare le pompe di circolazione dell'impianto condominiale da portata fissa a variabile. I condomini che non osserveranno la legge saranno soggetti ad una sanzione amministrativa compresa tra i 500 e i 2500 euro, a seconda delle disposizioni adottate dalle singole Regioni.

L'intervista/La ricetta anti-terrorismo di Dambruso per fermare gli infiltrati tra gli immigrati

Stefano Dambruso: "Ecco come possiamo battere il terrorismo"

Intervista a cura di Francesco Borgonovo 



Stefano Dambruoso, deputato di Scelta civica e questore della Camera, è uno dei maggiori esperti al mondo di terrorismo. Nel 2003, Time lo inserì nella lista degli «eroi moderni» per il suo impegno contro al-Qaeda. Nei suoi libri ha raccontato - e previsto - casi come quello australiano. 

Lei spesso nei suoi libri ha parlato dei cosiddetti "lupi solitari". 

"Stiamo sempre parlando di persone che appartengono a un’area di musulmani radicali di seconda o terza generazione. E si tratta di soggetti solitari, che non sono inseriti in una cellula associativa con una strategia preordinata, diversamente dal fenomeno che abbiamo conosciuto durante il ventennio di al-Qaeda. Sono soggetti che agiscono grazie a un impulso personale, che trovano confermato in tutta la prateria web del radicalismo islamico. Un impulso che sfogano nella loro pericolosa jihad individuale. Stiamo parlando di percentuali minime, che non appartengono all'intera area musulmana e che oggi possono trovare sul web ragioni di autoreclutamento. Sul web trovano tutte le conferme alle ragioni che li hanno spinti a cercare quel tipo di stimolo, di impulso". 

E' quello che lei ha definito terrorismo "homegrown". Perché questi soggetti si radicalizzano?

"Da noi è più diffusa la seconda generazione di musulmani. In altri Paesi siamo già alla terza generazione. Si tratta di persone che sono arrivate in Europa, in Italia, Inghilterra o Francia e che hanno mandato i loro figli nelle scuole di questi Paesi. Uno su mille avverte il disagio della mancata integrazione. E questa percentuale minima non può essere la testimonianza del fatto che ci siano cattive politiche di integrazione. Certo, queste politiche possono essere migliorate, ma le percentuali di individui radicalizzati sono troppo basse per poterle associare a cattive politiche di accoglienza".

Lei ha scritto che l'immigrazione irregolare può rappresentare un pericolo per via delle "incontrollate infiltrazioni estremistiche". 

"L'immigrazione irregolare presenta due fenomeni. Da un lato costituisce un parziale finanziamento al terrorismo da parte dei gruppi che la organizzano ad esempio in Nord Africa e in Egitto. Ci sono trafficanti di esseri umani che pagano il pizzo agli islamisti locali. Le associazioni terroristiche non sono in grado di organizzare l'immigrazione, come quella che vediamo per esempio a Lampedusa. Ma sono presenti sul territorio in cui operano i trafficanti di esseri umani. Poi c'è il fatto che, con decine e centinaia di migliaia di immigrati irregolari, può aumentare il rischio che qualcuno viva il disagio della cattiva accoglienza. E a quel punto possa decidere di passare all'auto immolazione facendosi saltare da qualche parte. Ma anche in questo caso il problema è legato ai singoli e non a gruppi criminali". 

C'è chi vive il disagio della cattiva accoglienza. Ma c'è anche il caso di Mohammed Game, che nel 2009 fece esplodere una bomba artigianale a Milano davanti a una caserma. Lui era, o sembrava, integrato. 

"Era integrato. Ma poi viene licenziato. E a quel punto non ha appigli o comunque strutture a cui rivolgersi in una fase di difficoltà personale. Come molti, è andato in moschea, sperando di trovare maggior aiuto nella preghiera. Ma ha trovato anche un imam, o comunque un predicatore, che lo ha indotto a compiere un sacrificio personale. Si è trovato in una situazione di fragilità e non ha trovato altro aiuto se non nella pratica terroristica. Fortunatamente è un caso su migliaia di persone che vivono in una situazione di disagio". 

Le percentuali sono basse, però lei ha parlato anche di rischi per l'Italia, in particolare per città come Milano, Napoli e Roma, dove è maggiore la concentrazione di musulmani. Dove può verificarsi una situazione come quella vista in Australia? 

"Obiettivamente può accadere davvero ovunque, appunto perché non stiamo parlando di organizzazioni con una base specifica. Questo non ci deve allarmare, ma dobbiamo sapere che abbiamo di fronte un fenomeno che esiste. E che va fronteggiato con misure diverse rispetto alla prevenzione classica, che continua a funzionare contro piccoli gruppi. I quali esistono ancora ma non sono strutturati come lo fu al-Qaeda per un ventennio". 

Proprio dagli stessi qaedisti - lei ha citato l’ideologo Abu Musab al-Suri e il portavoce Azzam al-Amriki - sono venuti appelli al terrorismo fai da te, dopo la morte di Bin Laden. 

“Proprio perché il fenomeno si diffonde grazie alla forte presenza sul web di retoriche jihadiste, qualche leader ha cercato di impadronirsene in termini assolutamente propagandistici, giusto per attribuire alla sua chiamata qualunque episodio sul modello di quello avvenuto in Australia”.

Anche l’Is, qualche mese fa, ha invitato i musulmani a uccidere gli infedeli ovunque e con ogni mezzo. 

“Questo appello ha avuto un peso in episodi che sono occorsi uno dietro l’altro in Canada. Prima un estremista ha investito due soldati uccidendone uno. Poi un altro ha dato l’assalto al parlamento uccidendo un militare. Ma ormai l’Isis non è più una organizzazione, è appunto uno Stato. Ha occupato uno spazio più grande di intere regioni italiane. Stiamo parlando di territori che posseggono strutture proprie come banche, amministrazioni locali e risorse naturali come il petrolio che sono nella disponibilità dei nuovi gestori della cosa pubblica. Che in questo caso sono gli uomini dello Stato islamico”.

Pensa che la comparsa sulla scena dello Stato islamico e tutta l’attenzione che ha ottenuto sui media possano stimolare l’azione di altri “lone fighters”?

“Assolutamente sì. Ci sono persone che si legano allo Stato islamico non solo perché vivono un disagio personale in una società a cui non sentono di appartenere, nonostante gli abbia dato i natali e delle possibilità di crescita. C’è anche un aspetto che definirei romantico, che spinge molti ventenni ad andare a immolarsi per una giusta causa. Come i nostri nonni andavano negli anni Venti in Spagna a combattere per un ideale che sentivano proprio”.

Come si fa a combattere questo tipo nuovo di terrorismo? 

"Sono aumentati gli strumenti di monitoraggio. Il controllo sul web si è molto perfezionato rispetto al passato. A livello europeo, nel semestre di presidenza italiana, nel gruppo dell'antiterrorismo si è discusso dell'introduzione di nuove norme. Per esempio quella che punisce l'autoreclutamento. E quella che punisce come attività terroristica il solo fatto di essere andati a combattere in una organizzazione come l'Isis - chiaramente terroristica - in un territorio diverso da quello europeo. Si tratta di due estensioni della penalizzazione. Nel caso dell'autoreclutamento, stiamo parlando di gente che viaggia solo sul web, e magari non fa alcuna attività organizzativa concreta. Mentre il fatto di partecipare a una guerra con una organizzazione criminale, ma all'estero, è estensiva del concetto di terrorismo internazionale. Normalmente, per punire qualcuno si richiede un minimo di collegamento con il territorio in cui poi verrà processato. La settimana scorsa, in Germania, abbiamo avuto il primo esempio di un cittadino tedesco processato per aver combattuto in Siria con lo Stato islamico. Il terzo elemento su cui si è riflettuto a livello europeo è l’introduzione, come misura di prevenzione, del ritiro del passaporto ai soggetti in procinto di partire per la Siria. In questo caso però ci si è trovati a riflettere su un dato che ha sollevato qualche perplessità. In Canada è stato ritirato il passaporto al soggetto che poi è andato ad attaccare il Parlamento. Ci si è chiesto se sia utile mantenere sul territorio persone che hanno un profilo di aggressività. Poi, parallelamente ai nuovi strumenti legislativi da introdurre per punire queste forme di condotta fino ad oggi non punibili con i nostri codici, ci sono altre iniziative”. 

Quali? 

“Iniziative e programmi di recupero sociale dei cittadini europei che hanno deciso di andare a combattere in Siria. Che puntano a far scoprire loro i valori di una società -
quella occidentale - in cui non si riconoscono. E’ uno degli obiettivi di questa campagna di deradicalizzazione che è stata promossa durante la presidenza italiana del semestre europeo. E’ un obiettivo difficile, certo, ma già la Germania, la Francia e la Danimarca hanno esempi avanzati di questo tipo di progetti”.

Abbiamo parlato dell’Europa. Ma per l’Italia, concretamente, che cosa si può fare?

“Si può finalmente creare l’ufficio di coordinamento nazionale delle Procure che si occupano di antiterrorismo, così come esiste la Direzione nazionale antimafia. Questa esigenza si avverte da anni, ma per ragioni prevalentemente politiche questo coordinamento non è mai stato creato. Anche se, dopo l’11 settembre, siamo arrivati ad affrontare il terrorismo islamista che ha natura transnazionale e impone un coordinamento fra l’azione sulle cellule presenti in Italia e quelle presenti all’estero. In oltre dieci anni, però, i suggerimenti degli esperti non sono mai stati ascoltati dal legislatore. Oggi abbiamo una rara possibilità: quella di portare a termine la creazione di un ufficio unico di coordinamento. C’è una proposta di legge pendente presso la commissione Giustizia che prevede l’estensione al terrorismo delle prerogative della Direzione nazionale antimafia, nella consapevolezza della diversità dei due fenomeni, ma anche tenendo presente la vicinanza riscontrata fra questi. Specie nei rapporti internazionali. Speriamo che sia la volta buona”.

Beppe Grillo all'assalto di Napolitano: "Dimissioni? Re Giorgio deve costituirsi"

Beppe Grillo all'assalto di Napolitano: "Dimissioni? Lui deve costituirsi"




"Le dimissioni di Napolitano? Lu non deve dimettersi, deve costituirsi": sono dure le parole di Beppe Grillo sul presidente della Repubblica, che oggi ha definito "imminente" la conclusione del proprio mandato. Nel corso di una conferenza alla stampa estera, il leader del Movimento Cinque Stelle ha aggiunto: "Stiamo dentro una struttura dei partiti dove ci hanno messo in un angolo, si sono alleati grazie al Presidente della Repubblica. Dovevamo governare noi che avevamo preso il 25%, perché non ci hanno dato l’incarico?". E ancora: "E' una persona che ha gravissime responsabilità. Ha firmato qualsiasi cosa, si è chiuso nell'ombra e si è inventato le larghe intese per allungarsi la carriera".

Il prossimo presidente... - Beppe Grillo ha tracciato l'identikit del prossimo presidente della Repubblica ideale: "Deve essere una persona che non firmi qualsiasi cosa, una persona di buon senso, normale e al di fuori degli schieramenti politici". Secondo Grillo, le condizioni dell'Italia sono pessime: "Questo paese ogni giorno che passa peggiora, mentre i partiti parlano di cose che non hanno più senso: parlano del presidente o della Corte Costituzionale o della Legge elettorale. E intanto stiamo peggiorando in tutti i campi". Grillo ha ribadito che, a suo parere, "l'Italia deve uscire dall'euro il prima possibile", e ha rivendicato il ruolo del suo movimento: "Noi stiamo proteggendo la democrazia. In Germania, in Francia, in Grecia stanno venendo su delle destre che non fanno i banchetti, vanno con i bastoni: noi non siamo razzisti, la destra ha lucrato sugli immigrati. Noi andiamo in mezzo alla gente, noi siamo la gente". Poi l'affondo su Romano Prodi: "Basta, non se ne può più. Sceglieremo un nostro candidato con le Quirinarie". 

Marò, l'erroraccio di Matteo Renzi che mette nei guai Latorre e Girone

Marò, l'erroraccio di Renzi che mette nei guai Latorre e Girone




Ancora un "erroraccio" nella complicata vicenda marò. Se Salvatore Latorre e Massimiliano Girone sono ancora oggi ostaggi della giustizia di Nuova Delhi la colpa questa volta è di Matteo Renzi. Dagospia che riporta infatti un retroscena su quello che accadde il 15 novembre scorso, quando il premier e il presidente indiano Narendra Modi si sono appartati per discutere appunto sulla questione marò. Al termine dell'incontro il presidente del Consiglio italiano sottolineò con i giornalisti che era importante evitare le polemiche sui marò per non mettere a repentaglio i molti rapporti con l’India. Quello che Renzi non disse è che Modi lo incoraggiò a seguire la strada delle trattative informali, quelle che vengono condotte attraverso i servizi segreti. Cosa che l’Italia ha puntualmente fatto, con l’impegno costante del sottosegretario Marco Minniti e del capo dell’Aise, Alberto Manenti. Un "erroraccio" secondo Dagospia. Renzi si sarebbe infatti fatto fregare perché la giustizia indiana però è indipendente dal governo e i due marò restano nei guai. In pratica il presidente del Consiglio Renzi è caduto in una mezza trappola e si è perso tempo prezioso per sollevare invece un arbitrato internazionale su tutta la vicenda, strada che ovviamente è incompatibile con quella dei negoziati riservati.

Nomi azzurri per la corsa al Colle: "No alla Severino, ecco chi vogliamo"

Forza Italia, Giovanni Toti: "La Severino non va bene per il Quirinale"




Dopo l'annuncio delle "imminenti dimissioni" di Giorgio Napolitano, Giovanni Toti parla del prossimo presidente della Repubblica. L'eurodeputato di Fi e consigliere di Berlusconi ne ha parlato oggi a Un Giorno da Pecora, il programma di Rai Radio2 condotto da Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro. C'è anche il patto per il Colle in quello del Nazareno? “Il Patto del Nazareno è una cosa seria. E non comprende l'elezione del Presidente della Repubblica”. 

I nomi - Accettereste Romano Prodi come nome per il Quirinale? “Lo escludo assolutamente, per noi no”. Berlusconi ha detto che voleva Amato. “Lui è un moderato che ha un curriculum di tutto rispetto. Il Presidente non ha fatto il suo nome per bruciarlo”. E la Severino? “Ritengo che la Severino abbia fatto parte di un governo che abbia fatto danni a questo paese, non mi pare possa esser una candidata”. E Casini? “Un centrista che viene dalla nostra area politica”.

Condizioni di Salvini al Sud "Ecco cosa voglio da chi mi seguirà"

Matteo Salvini presenta "Con Salvini", il movimento per il Sud




Si chiamerà "Con Salvinì" il movimento a trazione leghista per il centrosud che Matteo Salvini lancerà ufficialmente domani in una conferenza stampa alla Camera. Lo ha detto lo stesso leader del Carroccio al Tg2. Per Salvini "al sud non vogliono vecchi simboli, vogliono che si rompa con il passato". Così il leader del Carroccio vuole porre dei paletti per costruire una struttura solida al sud. Salvini punta al coinvolgimento diretto di giovani, professionisti, imprese. 

Porte chiuse ai riciclati - Insomma, sembrerebbe essere la società civile prima ancora che qualunque gruppo organizzato, il motore di questo nuovo progetto a cui il segretario ha lavorato quasi in completa autonomia, con l’aiuto solo di un pugno di fedelissimi. Salvini vuole chiudere le porte a quelli che lui stesso ha definito gli infiltratì o i riciclati. Blindare il nuovo soggetto rispetto ai tanti che ambirebbero a salire sul carro del Salvini vincitore è stato il lavoro principale del leader leghista, il cui timore parrebbe essere più quello di "mischiarsì con situazioni che considera già bruciate piuttosto che non quello di raccogliere abbastanza consensi". 

Le condizioni - Anche perché il nuovo soggetto con Salvinì si configurerà, almeno secondo quanto trapelato finora, come una struttura snella che non avrà bisogno necessariamente di appoggiarsi su apparati già esistenti. Giù dal carro, quindi, almeno per il momento, tutti gli ex e i vari movimenti, partiti e partitini che puntano sulla nuova Lega: intanto il segretario porta avanti il suo movimento, tempo per le alleanze fino alle elezioni poi ce n’è sempre. Una cosa è certa, guardando i sondaggi se la Lega dovesse sfondare al Sud potrebbe davvero pensare di prendersi la leadership del centrodestra. 

giovedì 18 dicembre 2014

Sì al commercio di ovuli non fecondati: dall'Europa la svolta / Siete d'accordo?

Via libera dall'Europa alla commercializzazione degli ovuli non fecondati




Un ovulo umano manipolato ma non fecondato può essere brevettato a fini industriali o commerciali. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea, secondo cui "un organismo non in grado di svilupparsi in essere umano non costituisce un embrione umano ai sensi della direttiva sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche. Pertanto -afferma la Corte in una nota- le utilizzazioni di un organismo del genere a fini industriali o commerciali possono essere, in linea di principio, oggetto di brevetto".

Il caso Brustle - La decisione di oggi in parte ribalta quanto stabilito dalla Corte nel 2011, quando con la sentenza nel caso Brustle la Corte aveva stabilito che "la nozione di embrione umano comprendeva gli ovuli umani non fecondati" dal momento che "tali ovuli erano tali da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano". Questo quindi li rendeva non brevettabili. Chiamata però dall’Alta Corte di giustizia del Regno Unito a stabilire se tutti gli ovuli siano in grado di dare adito a un processo di sviluppo di essere umano, la Corte Ue ha oggi chiarito che questo non necessariamente avviene in tutti i casi.

Non è un embrione - "Il solo fatto che un ovulo umano attivato per partenogenesi inizi un processo di sviluppo non è sufficiente per considerarlo un embrione umano", sostengono i giudici della Corte. Di conseguenza, quando si può dimostrare che da un ovulo non potrà derivare un essere umano, allora l’uso di tale ovulo è brevettabile a fini industriali o commerciali, conclude la Corte. Il caso era partito da un ricorso della multinazionale biotech International Stem Cell Corporation, che ritiene appunto che gli ovuli da essa usati nei suoi processi industriali non siano in grado di svilupparsi in esseri umani.

Fondi pensione, Irap, sgravi e autonomi Tutte le mosse del governo: cosa cambia

Fondi pensione, Irap e sgravi agli autonomi, cosa cambia




I fondi pensione e le casse di previdenza potranno beneficiare di un credito d’imposta per gli investimenti; lo sconto potrà portare alla sterilizzazione dell'incremento delle aliquote sui rendimenti. La commissione Bilancio del Senato ha approvato l’emendamento alla legge di stabilità, presentato dal relatore, Giorgio Santini. Con la manovra (stamattina si scioglieranno gli ultimi nodi) l'imposizione è passata dal 20% al 26% per le casse di previdenza e dall'11% al 20% per i fondi pensione. Con le modifiche sarà possibile avere uno sconto pari all’aumento, per gli investimenti, a partire dall’anno d’imposta 2015. Il taglio ai patronati viene ridotto a 35 milioni di euro, dai 150 milioni previsti.

Autonomi - Le imprese senza dipendenti potranno usufruire di un credito di imposta del 10% a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014. La misura riguarda 1,4 milioni di automi che, non avendo dipendenti, non possono dedurre dall’Irap il costo del lavoro e sarebbero dunque penalizzati dall’aumento dell’aliquota Irap dal 3,5% al 3,9% previsto dalla legge di stabilità. Considerato che il credito d’imposta è fruibile l’anno successivo a quello di maturazione, la misura determina un effetto finanziario negativo di 163 milioni di euro per il 2015 e altrettanti per il 2016 e il 2017. 

Partecipate - Novità anche per le partecipate locali: vanno chiuse o accorpate le società partecipate che hanno meno di 10 dipendenti o più amministratori che dipendenti e quelle con fatturato sotto i 100mila euro. Sanzioni in caso di mancato taglio sia all'amministrazione sia ai dirigenti.

Quella voce che gira a sinistra: nuovo patto Renzi-Berlusconi

Patto del Nazareno, accordo tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi: Italicum in vigore dall'1 settembre 2016


di Claudio Brigliadori 


C'è una voce che gira a sinistra: congelare la legislatura per tutto il 2016 e andare al voto nella primavera del 2017, tra due anni abbondanti. Sarebbe questo il contenuto del "nuovo" Patto del Nazareno tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, uniti da obiettivi comuni: neutralizzare, o far rientrare, i frondisti di Pd e Forza Italia, tranquillizzare chi teme le urne anticipate e raffreddare il clima di guerra latente intorno al nome del nuovo presidente della Repubblica. Il timing in Parlamento è rischiosissimo: entro il 20 gennaio dovrà arrivare il via libera alla legge elettorale in Senato e quasi contemporaneamente potrebbe scattare l'iter per l'elezione del successore del dimissionario (sì, ma quando?) Giorgio Napolitano. Già tra Montecitorio, Palazzo Madama e social network girano parole chiave del tipo #melina, #ricatti e #minaccia, giusto per capire il clima poco sereno che regna tra dem e azzurri. Forza Italia, per bocca di Renato Brunetta, vorrebbe legare i due temi, Italicum e toto-Colle. Il Pd, spiega il capogruppo alla Camera Roberto Speranza, non ci sta affatto. Ma a placare i bollenti spiriti potrebbe arrivare, ora, la nuova intesa tra i due leader. 

Il Nazareno reloaded - Secondo Repubblica, la stretta di mano sarebbe arrivata un paio di sere fa, in gran segreto. Denis Verdini, lo sherpa del Cavaliere, avrebbe incontrato nuovamente Renzi e il suo braccio destro Luca Lotti a Palazzo Chigi. Accordo sui contenuti del "Nazareno reloaded": sì all'Italicum e poi sul Colle. Il problema, come detto, erano i tempi. Passata la legge elettorale, molti temono che Renzi voglia forzare la mano, eleggere un presidente della Repubblica disposto a sciogliere subito le camere (magari Romano Prodi?) e consegnare la vittoria al segretario del Pd. Per questo molti forzisti vorrebbero bloccare tutto, col rischio di ripetere grosso modo quanto accaduto nel 2013, con l'ingorgo tra Palazzo Chigi e Quirinale: allora c'era in ballo la scelta del premier, oggi le elezioni, ma poco cambia. E dunque, ecco l'incontro a metà strada posticipando l'entrata in vigore effettivo dell'Italicum. Renzi la voleva far scattare l'1 giugno 2016, Berlusconi il 31 dicembre dello stesso anno. Ha vinto il compromesso: 1 settembre 2016, che considerando i tempi tecnici rende impossibile tornare alle urne prima del 2017. Se il premier, incassata la riforma della legge elettorale e la scelta del nuovo presidente, vorrà poi sparigliare e far cadere il suo governo, dovrà accettare il rischio di farsi votare dagli italiani con il Consultellum, la legge elettorale uscita dalla bocciatura del Porcellum da parte della Corte Costituzionale. Un rischio per lui, ma anche per tutti gli altri (compresi quelli nel Pd).

Clamorosa telefonata a Benigni dopo "I dieci comandamenti": "Ciao Roberto, sono il Papa". Ecco cosa si sono detti

Papa Francesco telefona a Benigni, ecco cosa gli dice




Papa Francesco ha chiamato Roberto Benigni dopo il successo televisivo - quasi un miracolo con oltre dieci milioni di spettatori - dei Dieci Comandamenti. Pare che il pontefice, come scrive il Giornale, abbia telefonato al comico per ringraziarlo, per aver portato sul grande schermo un tema così importante. Monsignor Vincenzo Paglia, che lo ha sentito, racconta: "Roberto era molto commosso al telefono, mi ha detto che anche per lui si tratta di un miracolo di ascolto da parte della gente". 

Ma forse Benigni era commosso anche per la telefonata di Bergoglio. Un alto prelato ben informato dice: "E' molto molto probabile che Francesco lo abbia chiamato". E alcune persone vicine al regista confermano la conversazione "affettuosa" tra i due. Di sicuro lo show è piaciuto moltissimo in Vaticano: "Un grande spettacolo", commentano i cardinali, "lui è bravissimo ed è stata un'ottima scelta occuparsi di un tema così bello vicino a Natale". 

MULTE, LA SENTENZA CHOC Sì al super vigile 24 ore su 24: ecco perché può cambiare tutto

Multe, la sentenza choc a Parma: "I vigili possono farle anche fuori servizio" 




I vigili potranno fare multe 24 ore su 24. Anche fuori dall'orario di lavoro, sette giorni su sette. Un cittadino di Parma che, nel lontano agosto 2009, era stato multato da un agente della polizia municipale fuori dall'orario di servizio. La "vittima" aveva presentato ricorso e nei giorni scorsi, dopo tre anni di sentenze il giudice civile del Tribunale di Parma ha scritto la parola fine, confermando la contravvenzione. E stabilendo che gli agenti possono accertare le infrazioni stradali anche quando sono fuori servizio, quindi ventiquattro ore su ventiquattro. La decisione del tribunale parmense, che evidentemente apre scenari "preoccupanti" per gli automobilisti, è stata accolta con sorpresa anche dallo stesso comune di Parma, che con un comunicato lo scorso fine settimana ha informato i propri cittadini.

La sentenza choc - "L'esito era tutt’altro che scontato - si legge nella nota - e la sentenza è stata accolta non senza sorpresa. Probabilmente sarà una di quelle cause che fanno giurisprudenza, tanto che ha attirato l’attenzione anche di qualche giornale nazionale. Il Tribunale di Parma, con sentenza n. 892/2014, ha decretato che gli agenti della Polizia Municipale possono accertare le infrazioni stradali anche quando sono fuori servizio, quindi 24 ore su 24, purché ciò avvenga sul territorio di loro competenza".

Il caso e le conseguenze - La storia, che potrebbe cambiare per sempre il "mondo delle multe", risale, come racconta Today, addirittura all’agosto 2009, quando un agente della polizia municipale di Parma, fuori dall’orario di servizio, aveva assistito a una grave infrazione e aveva annotato il numero di targa di un auto che aveva commesso un'infrazione su una carreggiata. Da lì è arrivata la sanzione. Ora dopo anni di cause legali è arrivato il verdetto: la sanzione è valida anche se registrata fuori dall'orario di lavoro. La sentenza rischia di essere una "slavina" per milioni di automobilisti.   

Caso Marò, da Monti, Letta e Renzi: solo parole. Ne è rimasta una: vergogna

Caso Marò, da Monti, Letta e Renzi: solo parole. Ne è rimasta una: vergogna


di Maurizio Belpietro 



«Il premier indiano Manmohan Singh mi ha assicurato che si occuperà personalmente dell’obiettivo di trovare una soluzione amichevole del caso dei due marò». (26 marzo 2012, il presidente del Consiglio Mario Monti a margine del summit nucleare a Seul). «Il nostro team legale sta proseguendo la sua azione, segno che vi sono delle questioni procedurali che sono valutate molto attentamente. È comunque importante l’incontro tra il premier Monti e l’indiano Singh perché conferma la volontà di collaborazione delle autorità indiane alla soluzione di questo caso». (27 marzo 2012, il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata sul trasferimento del processo all’Alta Corte del Kerala). «L’Italia intende agire secondo le norme del diritto internazionale e in nome del rispetto di queste regole continuerà ad esigere con fermezza e determinazione che l’India si uniformi ad esse. È la linea che perseguiamo, mossi non da prudenza né da audacia, ma dalla certezza di essere dalla parte della ragione e dall’obiettivo di riportare a casa i nostri due ragazzi». (14 agosto 2012, il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata rispondendo a un’interrogazione parlamentare).

«I marò torneranno a casa. È un impegno del governo, del Parlamento e di coloro che positivamente, costantemente, offrono il loro contributo di lavoro, di sostegno, e di coesione nazionale. L’attenzione è costante e non c’è tregua, né bisogno di mettere foto sulla scrivania, perché l’attenzione dello stato è quotidiana». (2 settembre 2012, il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata rispondendo a una lettera dell’assessore regionale veneto Elena Donazzan). «Confidiamo che la Corte riconoscerà le ragioni del diritto. In caso contrario intraprenderemo tutte le opportune iniziative, sia sul piano bilaterale che europeo e multilaterale» (7 dicembre 2012, il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata in un’intervista al sito online Linkiesta). «I nostri marò sono tornati a casa. Grande emozione nel riabbracciare Massimiliano e Salvatore, valorosi servitori dello Stato». (22 dicembre 2012, il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata accogliendo i due militari in Italia ma con l’impegno di ritornare in India).

«Mi dimetto perché per 40 anni ho ritenuto e ritengo oggi in maniera ancora più forte che vada salvaguardata l’onorabilità del Paese, delle forze armate e della diplomazia italiana. Mi dimetto perché solidale con i nostri due marò e con le loro famiglie. Ero contrario al loro ritorno in India, ma la mia voce è stata inascoltata. Ho aspettato a presentare le mie dimissioni qui in Parlamento per esprimere pubblicamente la mia posizione: non posso più far parte di questo governo». (26 marzo 2013, il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata alla Camera dopo che il governo Monti aveva preso la decisione di rispedire in India i due marò). «Massimiliano e Salvatore mi hanno chiesto “non abbandonateci”. Sarebbe facile ora lasciare, ma per rispetto delle istituzioni e delle scelte fatte non abbandonerò la nave in difficoltà fino all’ultimo giorno di governo. Ho sempre agito solo per il bene dei due fucilieri e dell’Italia. Se non ci sono riuscito me ne scuso con tutti e prima con loro due». (26 marzo 2013, il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, rispondendo alla Camera alle dimissioni del ministro degli Esteri). «Una strategia di contrapposizione frontale non avrebbe portato a risultati diversi perché i due fucilieri si trovavano in India, il governo ha avviato un dialogo difficile e costante con l’esecutivo indiano, ma sul caso dei due marò il mio impegno e quello del governo sono stati assoluti». (27 marzo 2013, il presidente del Consiglio Mario Monti, rispondendo alla Camera dopo le dimissioni del ministro degli Esteri).

«Il presidente del Consiglio Mario Monti ha oggi avuto una lunga conversazione con il primo ministro indiano Manmohan Singh sul caso dei Fucilieri di Marina Latorre e Girone. Il primo ministro Singh ha apprezzato la decisione presa dal governo italiano e dai due Marò - dopo le assicurazioni fornite dalle autorità indiane - di rispettare l’impegno al rientro in India al termine della licenza per le elezioni. Nel colloquio telefonico si è quindi convenuto, al più alto livello politico, che tale responsabile decisione da parte italiana contribuirà a rendere più sollecita una positiva soluzione del caso». (9 aprile 2013, comunicato di Palazzo Chigi). «Lavoreremo per trovare una soluzione equa e rapida alla dolorosa vicenda dei due fucilieri di Marina trattenuti in India, che ne consenta il legittimo rientro in Italia nel più breve tempo possibile». (29 aprile 2013, Enrico Letta, presentando il suo governo alla Camera). «L’ho detto nel discorso programmatico, il rientro in patria è un impegno del nostro governo. Ho formato subito un comitato di ministri, in cui abbiamo nominato Staffan De Mistura inviato della presidenza del Consiglio in India. De Mistura si è recato in India tre volte in 70 giorni. Il nostro obiettivo resta risolvere la questione in modo equo». (10 luglio 2013, Enrico Letta, rispondendo a Giorgia Meloni durante un question time alla Camera).

«Sono molto fiduciosa che i due marò trattenuti in India possano tornare in Italia entro Natale». (18 luglio 2013, il ministro degli Esteri Emma Bonino). «In attesa di sviluppi, chiederemo alla Corte Suprema indiana di far rientrare in Italia i due fucilieri. Per difendere i due marò siamo pronti a bloccare gli accordi tra Ue e India». (17 gennaio 2014, il ministro degli Esteri Emma Bonino). «Il capo dello Stato proseguirà e intensificherà i contatti già stabiliti sul tema con i capi di Stato di Paesi amici, presso i quali ha già incontrato attenzione e comprensione per questo caso doloroso». (31 gennaio 2014, nota del Quirinale diffusa al termine dell’incontro tra Giorgio Napolitano e la delegazione parlamentare ritornata da una missione in India). «Tornerete con onore» (Giorgio Napolitano ai due marò in una telefonata del 31 gennaio 2014). «La ministro Emma Bonino a Davos dove partecipa al “World Economic Forum”, dopo colloqui con i ministri delle Finanze e del Commercio indiani, ha detto che hanno assicurato l’impegno a far sì che il loro governo decida sui marò il 3 febbraio». (24 gennaio 2014, comunicato del ministero degli Esteri italiano). «Dopo la pronuncia di oggi della Corte Suprema indiana che ha stabilito un termine perentorio di sette giorni per la formulazione da parte del giudice di una posizione definitiva nei confronti dei Fucilieri di Marina Latorre e Girone, il governo proseguirà il suo impegno caparbio in tutte le sedi europee e internazionali per una soluzione più favorevole rapida del caso». (3 febbraio 2014, il ministro degli Esteri Emma Bonino). «La mia visita a Nuova Delhi è un monito per ricordare che il governo italiano reputa inaccettabile, illogico e fortemente contraddittorio, fare ricorso a una legislazione antiterrorismo e antipirateria per inserire in un quadro di giudizio due persone che si battevano contro il terrorismo e la pirateria». (10 febbraio 2014, il ministro della Difesa Mario Mauro dopo che la Procura generale indiana ha deciso di accusare i due marò di pirateria).

«Oggi voglio ribadire i miei sentimenti di vicinanza a Salvatore Girone e Massimiliano Latorre e alle loro famiglie. Sono certo che l’impegno delle istituzioni italiane e dell’Italia intera continuerà con determinazione fino alla soluzione della vicenda». (10 febbraio 2014, Enrico Letta al termine di una riunione interministeriale sul caso dei due marò). «Nel loro primo giorno da ministri degli Esteri e della Difesa, l’on. Federica Mogherini e la sen. Roberta Pinotti hanno telefonato ai due fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. “Siete il mio primo pensiero e il primo del nuovo governo”, ha dichiarato con parole affettuose il ministro Pinotti». (22 febbraio 2014, Ansa). «Ieri ho scelto di fare alcune telefonate simboliche ma non solo simboliche, ho chiamato i marò in India, coinvolti in un’assurda e allucinante vicenda per la quale garantisco un assoluto impegno del governo». (24 febbraio 2014, Matteo Renzi nel corso del suo intervento in aula al Senato, dove sarà votata la fiducia al nuovo esecutivo). «Con l’invio dell’ultima nota verbale a Nuova Delhi, il 18 aprile scorso è stato avviato un percorso di procedura internazionale e si apre una fase nuova, che esaurisce quella avviata dall’inviato Staffan De Mistura». (4 luglio 2014, il ministro degli Esteri Federica Mogherini al Parlamento).

«Credo che rispetto al passato ci sia stato un significativo cambio di passo e che entrambi i Paesi vogliano risolvere rapidamente il caso nell’ambito del profondo rapporto di amicizia che li lega». (1 novembre 2014, il ministro degli esteri Paolo Gentiloni nel corso dell’audizione alle Commissioni esteri di Camera e Senato). «Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, fortemente contrariato dalle notizie giunte da Nuova Delhi circa gli ultimi negativi sviluppi della vicenda dei marò, resterà in stretto contatto con il governo e seguirà con attenzione gli orientamenti che si determineranno in Parlamento». (16 dicembre 2014, comunicato del Quirinale dopo che la Corte Suprema indiana ha respinto le istanze dei due fucilieri di Marina). Un capo dello Stato, tre presidenti del Consiglio, quattro ministri degli Esteri e tre ministri della Difesa per lasciarli a marcire laggiù. Non ci sono parole, solo vergogna. 

mercoledì 17 dicembre 2014

Ecco tutti i "miti" di Mafia Capitale Er Monnezza, Belen e pure Bombolo...

I miti di Mafia Capitale? Er Monnezza, Belen e Bombolo

di Franco Bechis 


Massimo Carminati, il Nero (o il Cècato) di Mafia Capitale veniva preso in giro dai suoi amici per il fare un po’ troppo intellettuale. Si svegliava al mattino alle 6 e subito- dice lui in una intercettazione- “scarico dall’Ipad il Corriere della Sera”. L’amico tuttofare Riccardo Brugia replica: “Ma tu mai il Corriere dello Sport?”. Nel giro infatti erano altre le letture, come quelle che allo stesso Brugia consiglia il commerciante d’auto Luigi Seccaroni: “Ma comprate Novella 2000! Fai uscì qualcuno… vattelo a comprà”. Il povero Brugia si preoccupa che sia uscito qualche scoop su Carminati: “eh… c’è stà l’amico nostro?”. Ma è fuori bersaglio. “Tu non ti preoccupà”, replica Seccaroni, “và a vedè… c’è ‘na sorca… c’è Belen con…’na fregna…”. Sospiro di sollievo del braccio destro di Carminati: “sei un grande, Luì… non c’è niente da fà”. E l’altro, continuando lo spot per Novella 2000: “che fregna Belen, ahò… tutta nu… mezza nuda, che sorca…”. Sempre Brugia viene intercettato con un altro amico della congrega di Carminati, Roberto Lacopo. Ed è l’occasione per un po’ di critica cinematografica. Roberto: “Ieri me sò visto il film con Bombolo…” Riccardo: “pure io, quello con Tomas Milan, pure io…”. Grandi risate fra i due. Riccardo: “pure io Er Monnezza, li stanno a rifà e li stò a vedè pure io…”. “Che belli, che belli!”, “Che grande che è…”

"Maiale". "Taci sei un comunista di..." La Russa sbrocca col grillino: ecco perché

Rissa alla Camera tra La Russa e il grillino Zaccagnini




Rissa sfiorata in Transatlantico alla Camera tra i deputati di Fratelli d’Italia Ignazio La Russa e Fabio Rampelli e il deputato di Sel Adriano Zaccagnini. A far scoppiare la scintilla è stata la tesi dell’ex ministro della Difesa, che ha sostenuto come Tommaso Curro’, che oggi ha annunciato l’addio ai 5 stelle, debba dimettersi da deputato. Zaccagnini, che al movimento di Beppe Grillo con cui è stato eletto ha detto addio più di un anno fa, ha apostrofato La Russa con un sonoro “maiale”, “come i maiali della Fattoria degli animali di George Orwell”. Rampelli è intervenuto a difesa del collega di partito, osservando in romanesco che “come i maiali ce magni te co’ ‘e cooperative rosse”. “Te - è stata la replica di Zaccagnini - stavi in piazza co’ quella gente per far cadere Marino che con Buzzi non c’entra niente”. E La Russa: “Lascialo stare poverino è di Sel”. Intorno ai due, oltre a un capannello di giornalisti, si sono posizionati anche diversi commessi per evitare che la situazione degenerasse. Alla stampa La Russa ha ricordato di aver presentato un ddl per modificare l’articolo 67 della Costituzione e impedire cambi di casacca. “La Russa – ha commentato prontamente Zaccagnini - non riconosce la liberta’ dei parlamentari. C’è una saldatura tra Fratelli d’Italia e M5S, un partito padronale. Praticamente i fascio-grillini”

Notav, le toghe assolvono gli antagonisti Il verdetto: "Non sono dei terroristi"

Notav, cade l'accusa di terrorismo. Chiara, Claudio, Niccolò, Mattia condannati a 3 anni per danneggiamento




La corte d’assise di Torino ha assolto dall’accusa di aver agito con finalità di terrorismo i quattro attivisti No Tav di area anarchica a processo per l’assalto al cantiere della Torino-Lione del maggio 2013. Claudio Alberto, Niccolò Blasi, Mattia Zanotti e Chiara Zenobi, sono invece stati condannati a tre anni e mezzo di carcere ciascuno per danneggiamento e incendio di un compressore e per violenza a pubblico ufficiale. La corte ha ritenuto di assolvere i quattro imputati dall’accusa di aver agito con finalità terroristiche con la formula "perché il fatto non sussiste". Disposta anche una multa di cinquemila euro ciascuno e l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Urla "libertà libertà" hanno accolto dal pubblico nell’aula bunker del carcere di Torino la lettura del dispositivo. I compagni hanno anche scandito altri cori come "buffoni", "buffoni".  I pm Rinaudo e Padalino avevano chiesto 9 anni e mezzo di reclusione. Abbracci tra il pubblico e anche tra gli imputati in carcere dal 9 dicembre 2013. Alle 17.30 è previsto un presidio in Val di Susa.

I fatti - I fatti risalgono alla notte tra il 13 e il 14 maggio 2013, quando una trentina di persona, divisi in gruppi, attacca il cantiere dell’alta velocità con un fitto lancio di bottiglie incendiarie, bombe carte e petardi, provocando il danneggiamento di un compressore. Il 9 dicembre dello stesso anno, la Digos arresta i quattro militanti, tutti di area anarchica, e la Procura di Torino ipotizza per loro il reato di "attentato con finalità terroristiche". Un’accusa pesante, che solleva grandi proteste nel movimento No Tav, sfociate in alcune manifestazioni pubbliche. Nel maggio 2014 gli avvocati della difesa ricorrono in Cassazione contro la custodia cautelare dei quattro arrestati e i giudici della Corte suprema, pur confermando la detenzione, sollevano perplessità sull’applicazione del reato di terrorismo, escludendo di fatto il grave danno allo Stato. Poco dopo ha inizio il processo nell’aula bunker del carcere di Torino e nell’udienza di settembre gli imputati ammettono di aver partecipato all’assalto, escludendo però finalità terroristiche. A novembre, i pm Rinaudo e Padalino chiedono 9 anni e mezzo di reclusione, confermando la matrice terroristica dell’assalto.Si arriva così alla sentenza di stamattina, che se da un lato conferma i reati di danneggiamento, fabbricazione, trasporto di armi e resistenza a pubblico ufficiale, dall’altro esclude l’attentato terroristico. A fine pronunciamento fra il pubblico presente in aula si alzano urla di gioia, mentre gli imputati, confinati nella stessa gabbia, si abbracciano e salutano amici e parenti.

Ricatto della Merkel a Draghi: vuole 150 mld per aiutare l'Italia

Bce, così Angela Merkel può farsi dare 150 miliardi di euro da Mario Draghi: il "ricatto" al governatore




All'ordine del giorno nella prossima riunione del board della Bce, il 22 gennaio, potrebbe esserci il cosiddetto quantitative easing, l'immissione di liquidità in un'Eurozona stagnante, che in buona sostanza si tradurrebbe nell'acquisto dei titoli di Stato dei Paesi in difficoltà da parte dell'istituto presieduto da Mario Draghi. Un'ipotesi, quella dell'acquisto di bond, che fa storcere il naso alla Germania, che per voce di Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, ha seccamente annunciato il "no" di Berlino, e curiosamente lo ha fatto in un'intervista a Repubblica, uno dei quoitidiani che più sostiene l'operato del governatore Draghi.

Il piano - Quello a cui mira la Bce - o meglio, la parte della Bce che segue Draghi - è imitare il modello della Fed americana, nel dettaglio con mille miliardi di euro da destinare all'acquisto di titoli di Stato dei 18 Paesi di Eurolandia. Un'operazione che, però, rischia di non incidere. Questo almeno è quanto sostiene Wolfgang Munchau sul Financial Times, secondo il quale il quantitative easing di Draghi è una debole imitazione di quello a stelle e strisce (nel 2008 la Fed pompò negli States la bellezza di 2mila miliardi di dollari, e i risultati, oggi, si vedono). Ma non è tutto, perché i 1.000 miliardi ipotizzati dalla Bce esistono soltanto in linea teorica: l'ipotesi più concreta, infatti, è quella di un aiuto pari a 500 miliardi, ossia il 5,5% del debito pubblico totale dell'Eurozona (per farsi un'idea basti pensare che, sempre la Fed, acquisto una fetta pari al 15% dei titoli di Stato).

Il duello - Da un lato Draghi, dunque, favorevole all'iniezione di liquidità, e dall'altra Weidmann, che da buon soldatino del rigore agli ordini del generale Angela Merkel si oppone un netto "nein". Eppure, ricorda Italia Oggi, c'è chi sostiene che la querelle tra governatori sia soltanto di facciata, e destinata a risolversi con un cedimento (già deciso, da tempo) della Germania. E perché mai Berlino dovrebbe cedere? Semplice, otterrebbe un'altra - roboante - vittoria (economica). Infatti, ad oggi, si considerano due possibili strade su come ripartire i 500 miliardi di euro di acquisti. La prima prevede acquisti "a piacimento", plausibilmente concentrati sui Paesi più in difficoltà. La seconda, invece, prevede che gli acquisti rispettino un rigido criterio, ossia che siano modulati in base all'andamento del Pil dei 18 paesi di Eurolandia.

Il bivio - Il criterio che sembra riscuotere maggiori consensi (in particolare nel - potente - fronte rigorista e in una certa cerchia di potere) sarebbe quello legato al Pil (tra le ipotesi anche quella di legare l'aiuto alla quota di bilancio detenuta dai Paesi all'interno della Bce). Ancorando l'operazione al Pil, però, l'operazione di Draghi si risolverebbe in un generosissimo prestito proprio alla Germania, che ha un Pil pari al 29% di quello dell'Eurozona, 12 punti sopra all'Italia. Con questo criterio, dunque, 150 dei 500 miliardi finirebbero proprio nelle casse di Berlino, 85 all'Italia (una cifra irrisoria rispetto alla quota stratosferica raggiunta dal nostro debito) e soltanto spicci, per esempio, alla "malatissima" Grecia. Dunque - sostiene un analista finanziario dell'istituto Bruegel - più che in un rilancio dell'economia il quantitative easing si risolverebbe in un salvataggio delle banche tedesche, che al contrario di quanto si possa pensare risultano piuttosto esposte, soprattutto nei confronti della Grecia e di altri Paesi della periferia dell'area euro.

Il rischio - Inondando con miliardi di euro le casse degli istituti tedeschi, questi avrebbero liquidità sufficiente per evitare l'acquisto di bond dei loro Paesi. Ma non solo: con i soldi incassati per esempio dagli istituti di Italia e Grecia, questi ultimi potrebbero garantire con certezza il rimborso dei prestiti ottenuti proprio dalle banche tedesche. Si tratterebbe, insomma, di una forma di solidarietà a senso unico, il senso che conduce dritti dritti in Germania. Una circostanza che Draghi dovrebbe tenere in considerazione prima di avallare una forma di finanziamento che non risolverebbe i cornici problemi del Vecchio Continente ma, anzi, finirebbe col renderebbe ancor più potente quella Germania che, in Europa, già si muove come un player egemone.

Maria Elena Boschi in versione Madonna: cosa ha combinato da Vespa... / Foto

Maria Elena Boschi in versione Madonna: Bruno Vespa la infila nel presepe




Sorpresa nella puntata di lunedì sera di Porta a Porta, la trasmissione condotta da Bruno Vespa, che ha visto come ospite in studio il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi. Durante la trasmissione, Vespa ha mostrato un presepe prodotto da Ferrigno, leader dei maestri del presepe di Napoli, in cui sono presenti diversi personaggi dell'attualità, da Berlusconi a Renzi. E la Madonna era impersonata proprio da Maria Elena Boschi: sui social si sono scatenati gli utenti, in commenti sarcastici contro la presenza dell'affascinante ministro per le Riforme nel simbolo per eccellenza del Natale.

Lilli Gruber parla della sua malattia (e dà un consiglio a tutte le donne...)

La Gruber parla per la prima volta della malattia che l'ha tenuta lontana dal video e dà un consiglio a tutte le donne




Lilli Gruber parla per la prima volta della sua malattia, che tante congetture ha alimentato, con il settimanale Oggi in edicola. "Per la mia educazione, sono abituata ad andare avanti con la forza di volontà e ad essere molto disciplinata. Il mio lavoro mi appassiona tanto e capita che esageri. Questa volta mi ha portato qualche giorno in ospedale e poi... a casa. La casa della mia famiglia in Sudtirolo, in mezzo ai vigneti, su una collina".

Il consiglio di Lilli - E ancora: "In famiglia mi hanno coccolato e mia sorella Micki un po' mi ha sgridato: "Lo sai che non devi esagerare". Non avevo fatto vacanze per scrivere il libro Tempesta, poi è ricominciato Otto e mezzo e alla fine....  Lilli confessa che le è servito da lezione e ora ha imparato ad ascoltare i segnali del proprio corpo: "Lo dico a tutte le donne che fanno il triplo, quadruplo lavoro: ascoltatevi e delegate un po' di più, soprattutto ai vostri uomini. Noi abbiamo un dovere nei confronti del nostro corpo, dobbiamo rispettarlo e non pensare che possiamo abusare della nostra forza fisica senza conseguenze". 

Furto dell'auto e schianto contro il muro Momento nero: che è successo a De Rossi

Daniele De Rossi, momento nero: gli rubano l'auto e si vanno a schiantare




Un periodo davvero negativo per Daniele De Rossi: dopo l'arresto dell'ex moglie Tamara Pisnoli, le intercettazioni che lo vedono coinvolto nel caso Mafia Capitale e l'espulsione nella partita di campionato contro il Sassuolo, nella notte il centrocampista della Roma è stato vittima di un furto. Un 43enne ha infatti rubato la Smart del giocatore, parcheggiata in strada in Corso Vittorio Emanuele, in pieno centro, a pochi passi dalla casa dove "capitan futuro" vive con la compagna Sarah Felberbaum e le figlie.

L'epilogo - Il ladro, poco dopo, si è schiantato contro un muro di contenimento dell'arteria stradale che collega il Lungotevere alla zona di Termini, del Nomentano e della Tiburtina, lungo via del Muro Torto. Il 43enne romano ha provato a fuggire a piedi, ma è stato arrestato dai carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia Trionfale, che stavano perlustrando la zona proprio per le segnalazioni sui furti.

Così ci spiano al supermercato: tutti i dati che raccolgono su di noi

Supermercato, così ci spiano: cosa vogliono scoprire (non chi ruba...)




Gli Stati Uniti, si sa, anticipano l'Europa. Ciò che accade al di là dell'Oceano Atlantico, giusto la pazienza di far passare qualche anno, poi si verifica puntualmente anche da noi, nel Vecchio Continente. E nell'epoca dell'umanità in rete, nel tempo in cui tutti (o quasi) sanno tutto (o quasi) di tutti, al tempo del web insomma, l'ultimo controllo esercitato negli Stati Uniti è quello al supermercato, o al museo. Si parla di telecamere e sensori, che raccolgono una miriade di dati sul comportamento dei visitatori: obiettivo, decifrarne gli interessi e offrire un prodotto sempre più appetibile e remunerativo. Telecamere e sensori che presto arriveranno anche da noi.

Al museo - Come spiega il Corriere della Sera, il paradigma, oggi si applica anche ai musei. Qualche esempio: se una scultura attira più attenzione delle altre, si può decidere di trasferirla in uno spazio più ampio. E ancora alcune strutture (come la Fine Arts di Boston e la Nelson Atkins di Kansas City) non si limitano alla telecamera, ma offrono ai visitatori smartphone e tablet tramite quali chiedere pareri e opinioni in tempo reale (in cambio, magari, del parcheggio gratuito e di uno sconto sul prossimo biglietto). Chi difende la privacy storce il naso: si pensava che almeno davanti all'arte la privacy fosse sacra, ma così non è più.

Al supermarket - Dove, invece, la privacy viene sistematicamente violata è al supermercato, un luogo dove tutti, con pochissime eccezioni, prima o poi capitano nel corso della loro settimana. Non si tratta soltanto dell'occhio vigile di una telecamera pronto a sorprendere i taccheggiatori, ma di un occhio vigile che ha precise strategie di marketing. Negli Usa, infatti, le grandi catene della distribuzione commerciale, con telecamere e sensori piazzati davanti agli scaffali, cercano di comprendere la abitudini dei clienti: cosa comprano e perché. E non è tutto: dalle immagini si studia anche il volto degli acquirenti per comprenderne lo stato d'animo: se un prodotto non è stato comprato, non è stato comprato perché costa troppo o perché non piace?

"Osservati speciali" - Tecnologie di questo tipo sono già utilizzate da tutti i "big" del settore, da Macy's e fino a Wal-Mart. Lo stesso "occhio" che ti spia nei negozi, nelle banche, negli stadi e negli ascensori, ora ti spia anche in un supermercato e in un museo. Una "spiata" che però a ben poco a che spartire con ragioni di sicurezza: veniamo spiati per puro business. Nell'era digitale, insomma, siamo tutti "osservati speciali". Basti pensare a un dato, snocciolato sempre dal Corsera e relativo al celebre Moma di New York: ogni anno riceve in media 6 milioni di visitatori, e ogni anno, dunque, vengono vivisezionate le abitudini di 6 milioni di persone a una mostra (e questo soltanto in quel museo).