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martedì 24 maggio 2016

"UN MISTERO CONDIVISO" Socci, Padre Georg, i 2 Papi parole esplosive sul Vaticano

Socci e quel "mistero condiviso dai due Papi": le rivelazioni esplosive di Padre Georg su Bergoglio e Ratzinger


di Antonio Socci
www.antoniosocci.com



Il giallo continua e - nella bandiera vaticana - sta ormai sommergendo il bianco. Infatti le dichiarazioni di ieri di monsignor Georg Gaenswein, sullo status di Benedetto XVI e di Francesco, sono dirompenti (don Georg è segretario di uno e Prefetto della Casa pontificia per l’altro).  A questo punto non si capisce più cosa è accaduto in Vaticano nel febbraio 2013 e cosa sta accadendo oggi. Prima di vedere queste dichiarazioni riassumo la vicenda che ha messo la Chiesa in una situazione mai vista. 

Dopo anni di durissimi attacchi, l’11 febbraio 2013 Benedetto XVI annuncia la sua clamorosa «rinuncia», sui cui motivi reali sono lecite molte domande (aveva iniziato il suo pontificato con una frase clamorosa: «Pregate per me, perché io non fugga per paura davanti ai lupi»). Peraltro, a tre anni e mezzo di distanza, si è potuto appurare che non c’erano problemi di salute incombenti né di lucidità. La sua «rinuncia» fu formalizzata con una declaratio, in un latino un po’ sgangherato (quindi non scritto da lui) e senza richiamare - come sarebbe stato ovvio - il canone del Codice di diritto canonico che regola la stessa rinuncia al papato.

Una svista? Una scelta? Non si sa. In ogni caso, la rinuncia al papato non era una novità assoluta. Ce ne sono state altre, in duemila anni, seppure molto rare. Quello che non c’è mai stato è un «papa emerito», perché tutti quelli che hanno lasciato sono tornati al loro status precedente. Invece Benedetto, circa dieci giorni dopo la rinuncia, e prima dell’inizio della sede vacante, fece sapere - sconfessando anche il portavoce - che egli sarebbe diventato «papa emerito» e sarebbe rimasto in Vaticano.

Tale inedita scelta non è stata accompagnata da un atto che la formalizzasse e definisse il «papato emerito» dal punto di vista canonistico e teologico. E questo è molto strano. Così è rimasta indefinita una situazione delicatissima e dirompente. A meno che vi sia qualcosa di scritto che però è rimasto riservatissimo... Del resto, secondo gli addetti ai lavori, la figura del «papato emerito» non c’entra nulla con l’episcopato emerito, istituito dopo il Concilio, in quanto l’episcopato è il terzo grado del sacramento dell’ordine e - quando un vescovo a 75 anni rinuncia alla giurisdizione su una diocesi - resta sempre vescovo (la Chiesa ha precisamente codificato in un atto ufficiale tutte le prerogative dell’episcopato emerito).

Il papato, invece, non è un quarto grado dell’ordine e i canonisti hanno sempre ritenuto che rinunciandovi si potesse tornare solo vescovi (così è stato per duemila anni). Invece papa Ratzinger - uomo di raffinata dottrina - è «papa emerito» e ha conservato sia il nome Benedetto XVI che il titolo «Santo Padre» e pure le insegne pontificie nello stemma (cosa che ha stupito perché in Vaticano i simboli sono molto importanti).

Tutto questo non certo per vanità personale. Ratzinger è famoso per il contrario: ha sempre vissuto come un peso le cariche e fece di tutto per non essere eletto papa. La domanda che dunque rimbalza, da tre anni, nei palazzi vaticani, è questa: si è dimesso davvero o - per ignote ragioni - è ancora papa, sia pure in una forma inedita?

Ad alimentare il mistero c’è pure il discorso di commiato che egli fece nell’udienza del 27 febbraio 2013, nel quale - rievocando il suo «sì» all’elezione, nel 2005 - disse che era «per sempre» e spiegò: «Il “sempre” è anche un “per sempre” - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero non revoca questo».

Erano parole che avrebbero dovuto mettere tutti sul chi va là (si trattava di una rinuncia al solo «esercizio attivo» del minister petrino? Era plausibile?). Ma, in quel febbraio-marzo 2013, tutti si guardarono bene dall’andare a chiedere al papa il perché della sua rinuncia, il senso di quelle sue parole del 27 febbraio e la definizione della carica di «papa emerito».

Lo stesso papa Francesco - eletto il 13 marzo 2013 - si trovò in una situazione inedita, che poi lui contribuì a rendere ancora più enigmatica, fin dalla sera dell’elezione, perché si affacciò dalla loggia di San Pietro senza paramenti pontifici e definendosi sei volte «vescovo di Roma», ma mai papa (oltretutto non ha messo il pallio - simbolo dell’incoronazione pontificia - nello stemma). Come se non bastasse, Francesco ha continuato a chiamare Joseph Ratzinger: «Sua Santità Benedetto XVI». Insomma, c’era un papa regnante che non si definiva papa, ma vescovo, e che poi chiamava papa colui che - stando all’ufficialità - non era più papa, ma era tornato vescovo. Un groviglio incomprensibile. 

La Chiesa, per la prima volta nella storia, si trovava con due papi: a dirlo fu lo stesso Bergoglio, nel luglio 2013, sul volo che dal Brasile lo riportava in Italia. In seguito qualcuno deve avergli spiegato che - per la divina costituzione della Chiesa - non possono esserci due papi contemporaneamente e allora ha ripiegato, nelle successive occasioni, sull’analogia con l’«episcopato emerito». Ma anche lui sa che non c’è nessuna analogia, per le ragioni che ho detto sopra e perché non c’è nessun atto formale di istituzione del «papato emerito». Qualche canonista ha cercato di decifrare - dal punto di vista giuridico e teologico - la nuova, inaudita situazione.

Stefano Violi, studiando la declaratio di papa Benedetto, conclude: «(Benedetto XVI) dichiara di rinunciare al “ministerium”. Non al Papato, secondo il dettato della norma di Bonifacio VIII; non al “munus” secondo il dettato del can. 332 § 2, ma al “ministerium”, o, come specificherà nella sua ultima udienza, all’“esercizio attivo del ministero”...». Poi Violi prosegue: «Il servizio alla chiesa continua con lo stesso amore e la stessa dedizione anche al di fuori dell’esercizio del potere. Oggetto della rinuncia irrevocabile infatti è l’executio muneris mediante l’azione e la parola (agendo et loquendo) non il munus affidatogli una volta per sempre». Le conseguenze di un fatto simile però sarebbero dirompenti. Un altro canonista, Valerio Gigliotti, ha scritto che la situazione di Benedetto apre una nuova fase, che definisce «mistico-pastorale», una «nuova configurazione dell’istituto» del Papato che «è attualmente al vaglio della riflessione canonistica». Anche questo è dirompente.

Sabato poi, monsignor Gaenswein, alla presentazione di un libro su Benedetto XVI, ha spiegato che il suo pontificato va letto a partire dalla sua battaglia contro «la dittatura del relativismo». Poi ha testualmente dichiarato: «Dall’elezione del suo successore, Papa Francesco - il 13 marzo 2013 - non ci sono dunque due Papi, ma di fatto un ministero allargato con un membro attivo e uno contemplativo. Per questo, Benedetto non ha rinunciato né al suo nome né alla talare bianca. Per questo, l’appellativo corretto con il quale bisogna rivolgersi a lui è ancora “Santità”. Inoltre, egli non si è ritirato in un monastero isolato, ma all’interno del Vaticano, come se avesse fatto solo un passo di lato per fare spazio al suo Successore e a una nuova tappa della storia del Papato che egli, con quel passo, ha arricchito con la centralità della preghiera e della compassione posta nei Giardini vaticani». 

Si tratta di dichiarazioni esplosive, il cui significato è tutto da capire. Che vuol dire infatti che dal 13 marzo 2013 c'è «un ministero (petrino) allargato con un membro attivo e uno contemplativo»? E dire che Benedetto ha fatto «solo» (sottolineo quel «solo») un «passo di lato per fare spazio al Successore»? Addirittura parla di «una nuova tappa nella storia del Papato». E tutto questo - dice Gaenswein - fa capire perché Benedetto «non ha rinunciato né al suo  nome né alla talare bianca» e perché «l'appellativo corretto con il quale bisogna rivolgersi a lui è ancora “Santità”». Una cosa è certa: è una situazione anomala e misteriosa. E c'è qualcosa di importante che non viene detto.

SALVINI BUM BUM Chiamata alle armi (vere) A chi vuole dare un fucile

Matteo Salvini: "Servizio civile di 4 mesi per insegnare ai ragazzi a sparare"



Le sentenze sulla legittima difesa stanno, per fortuna, lentamente cambiando. In sempre più casi, l'accusa di eccesso di legittima difesa cade nel nulla, quando la vicenda approda davanti a un giudice. Perchè dopo tanti anni a giustificare, difendere o prendere le parti di ladri e rapinatori, oggi la tendenza è sempre più quella di tutelare la vittima.

Protagonista di questa inversione di tendenza culturale è stata sicuramente la Lega, prima con Bossi e Maroni, poi con Matteo Salvini. Il quale ora avanza una nuova proposta che farà sicuramente discutere: "Non sono a favore dell’armamento indiscriminato, il mio modello non sono gli Stati Uniti ma la Svizzera dove un cittadino su due è legittimamente armata e dove i reati sono molto meno che in Italia. Proporrei a questo proposito in Italia quattro mesi di servizio civile o militare per insegnare ai ragazzi e alle nostre ragazze a saper usare le armi. Perchè se hai l’arma ma non la sai usare sei un pericolo pubblico".

"Surreale, demenziale, peccato mortale" Così Mentana ha demolito la Boschi

Mentana, che mazzata alla Boschi: "Demenziale, surreale, peccato mortale"



Surreale, demenziale, peccato mortale. Non va leggero Enrico Mentana nel commentare la polemica sulle parole di Maria Elena Boschi. Quel suo "i veri partigiani al referendum voterebbero sì" ha esposto la ministra delle riforme al fuoco di fila della sinistra più dura e pura. Su Facebook, il direttore del TgLa7 non si schiera né con l'una né con gli altri. Semplicemente li demolisce entrambi, in un colpo solo.

Il post del direttore - "La discussione sui partigiani e il referendum costituzionale è surreale - esordisce Mentana nel suo post su Facebook -. Già dividersi tra Innovatori e Guardiani del tempio era insensato. Già cominciare lo scontro referendario più di cinque mesi prima del voto è demenziale. Ma ora è un peccato mortale della democrazia strapparsi di mano le icone sacre della sinistra e pretendere di dire come avrebbero votato quei grandi comunisti che non ci sono più, o da che parte devono stare i partigiani". Anche perché la maggior parte di quei partigiani oggi è morta. "Nei decenni ho conosciuto tante figure chiave di combattenti per la nostra libertà. Come ogni altro che lo ha fatto sono sicuro che molti di loro - se oggi fossero tra noi - direbbero no alla riforma Boschi, e non pochi altri la appoggerebbero. Ma sinceramente, 71 anni dopo quel 25 aprile che segnò la fine della guerra, che senso ha tutto questo?". "Sono gli italiani di oggi ad essere chiamati a scegliere su leggi fondamentali della loro vita comune - conclude Mentana -. La stragrande maggioranza non ha più nessun legame con l'antica sinistra italiana, le sue luci, le sue paranoie, i suoi odi insanabili. Semmai un simile virulento scontro politico-ideologico-identitario avrà l'effetto di tenerla lontana dalle urne di un referendum che ogni giorno di più (e ne mancano ancora 150) sembra allontanarsi dalla sua stessa sostanza".

Elezioni in Austria, c'è il risultato finale Che mazzata per gli anti-europeisti

Austria, alle presidenziali vince il verde Van Der Bellen




Secondo fonti dei media austriaci è il verde Van Der Bellen il vincitore delle elezioni presidenziali austriache. La notizia era attesa con grande ansia in tutta l'Unione europea, viste le dichiarazioni anti-Unione dell'avversario di Van Der Bellen, il candidato dell'ultradestra Norbert Hofer. Hofer infatti, era sostenitore di una linea di chiusura delle frontiere austriache, di respingimento degli immigrati fino all'ipotesi di una uscita del Paese dall'Unione. La notizia della vittoria di Van Der Bellen è venuta dopo il conteggio dei voti per corrispondenza, pari a circa 800mila preferenze, che è avvenuto oggi.

Hofer ha ammesso la sconfitta con un messaggio sulla sua pagina Facebook: "Ringrazio tutti per il vostro meraviglioso sostegno. Naturalmente oggi sono un pò triste. Avrei volentieri servito come presidente per voi in questo fantastico Paese". Ha concluso rivolgendosi ai suoi sostenitori: "Vi resterò fedele e contribuirò a un futuro positivo dell’Austria. Per favore non siate scoraggiati. La missione di questo voto non è perduta, bensì è un investimento nel futuro".

lunedì 23 maggio 2016

L'intervista "Basta, gli do un mese di tempo per..." Ultimatum estremo di Salvini al Cav

"Basta, gli do un mese di tempo" , ultimatum estremo di Salvini al Cav


intervista a cura di Matteo Pandini



«Non ho in programma incontri con Silvio Berlusconi. Conto di vederlo a Milano, quando chiuderemo la campagna elettorale, perché spero ci sarà un' iniziativa unitaria...».

Matteo Salvini continua il suo tour. Ieri s'è sparato comizi in provincia di Milano, poi a Varese e Como. Oggi sarà in Veneto.

Onorevole, come va col Cavaliere?

«Non lo vedo da prima di Pasqua».

Ah.

«Guardi che siamo in coalizione in molte città: Varese, Savona, Trieste, Bologna… Certo, sono perplesso per alcune sue dichiarazioni sull' Europa».

Berlusconi ha detto d' essere preoccupato dall' eventuale uscita della Gran Bretagna dall' Unione Europea. E ha attaccato la sua amica Marine Le Pen.

«Se stai con la Merkel, non puoi pensare di andare al governo con la Lega.Non ho capito perché insiste ad attaccare i populisti e la Le Pen... Ne dovremo parlare dopo le elezioni».

Resa dei conti?

«Dal 20 giugno, archiviate le elezioni amministrative, lavoreremo pancia a terra per dire no al referendum di Renzi. In più, lanceremo nuove proposte di governo. Berlusconi dovrà scegliere da che parte stare».

Farà il congresso della Lega?

«Le beghe sui congressi le lascio al Pd».

Non ha più ricevuto messaggi nemmeno da Francesca Pascale, che le ha dato del troglodita?

«No. Ma questo non mi interessa».

I sondaggi danno la Lega ferma. Non cresce più. Preoccupato?

«Be', essere stabili è motivo di orgoglio visto che c' è in atto una vergognosa campagna mediatica a favore di Renzi».

Anche i grillini sono contro Renzi. Ma loro nei sondaggi crescono. Oltre che Roma e Torino, avanzano perfino a Napoli.

«Ribadisco che il mio avversario è Renzi e non il M5S, visto che è il Pd che sta massacrando il Paese».

Però?

«Però aggiungo che condivido la posizione del Movimento 5 Stelle sull' onestà in politica».

Lei ha già detto che, tra Pd e M5S, sceglierebbe i grillini. Che fa Salvini, sta provando a costruire una nuova alleanza?

«Su islam, rom e immigrazione in genere, i grillini sono di estrema sinistra! Inoltre, mi pare abbiano problemi a Parma e Livorno, per non dimenticare Quarto o Civitavecchia. Significa che a protestare sono capaci tutti, ma quando si governa bisogna dimostrare di essere all' altezza».

La Lega lo è?

«La Lega governa bene - ormai da vent' anni - in Lombardia e Veneto. E…». E? «E poi un conto solo le elezioni comunali... Per esempio a Laives, comune vicino a Bolzano, c' è una giunta leghista che governa anche con l' ok dei 5 Stelle. Sul territorio è più facile trovare un' intesa sui problemi concreti. A livello nazionale cambia tutto».

Eppure, anche sull' Europa avete idee simili a Grillo. O no?

«Sugli immigrati, anche a Bruxelles i grillini votano più a sinistra del Partito democratico! In ogni caso ho chiesto più volte un incontro, anche in diretta streaming, per discutere di Europa, trattati europei e così via. Mi hanno sempre detto di no. Peccato».

In passato ha mai parlato direttamente con Grillo o Casaleggio?

«Mai. Ho incontrato una volta Grillo sull' aereo per Bruxelles, ma non ci siamo parlati». Se la Lega non cresce nei sondaggi, è dura immaginare di scalzare Renzi.

Non crede?

«Infatti penso che dal 20 giugno dovremo lanciare nuove idee e proposte che guardano avanti. Non anticipo nulla, ma tutti dovranno decidere da che parte stare.
Il mio avversario è Renzi, il resto è contorno».

Renzi sostiene che molti leghisti voteranno «sì» al referendum. È verosimile?

«Macché! Girerò l' Italia paese per paese per spiegare a gran voce le ragioni del no alle sciagurate riforme di questo governo. E dirò perché questa Europa è un cancro e un disastro: per questo dobbiamo stare pronti a cacciare il premier. Che infatti, a differenza del sottoscritto, non parla di amministrative perché sa già di perderle. Spero che Berlusconi decida di stare con noi».

Ercolano (Na): Rissa al Bingo Poseidon Sfiorato il peggio

Ercolano (Na): Rissa al Bingo Poseidon Sfiorato il peggio


di Angela Bechis



E' successo sabato scorso al Bingo Poseidon di Ercolano in provincia di Napoli. Una rissa tra coniugi. Il movente sempre lo stesso. Malati di gioco d'azzardo. Quando pur di continuare a sognare e sperare in una folle vincita si è disposti a fare tutto. A tutto. Neppure a pagare bollette della luce e del gas. La storia riguarda una coppia di mezza età di Ercolano, dove il lui della coppia, passa le intere giornate tra sale slot e appunto, al Bingo Poseidon di Ercolano. 20, 50, 100 euro al giorno da dividere sapientemente tra slot e cartelle al bingo, comunemente chiamata Tombola. Famiglie alienate, gente che si isola, a volte o spesso fanno la fortuna di questi imprenditori. 

E' sabato, uno come tanti, si reca al Bingo per la sua dose quotidiana (ludopatia). Da indiscrezioni non versa lo stipendio alla moglie. Cerca il botto, o più che botto, di giocare, vuole e cerca disperatamente la sua dose quotidiana. La serata però è nera, come sempre, come si può pensare di vincere in un Bingo dove solo di spese supera le 10 mila euro. Utopia. Sì, qualcuno vincerà, forse chi il giorno prima ne aveva persi il triplo. Insomma, pura illusione. 

Così, la donna si reca al Bingo Poseidon intorno le 16.00, lo trova al solito posto. Alla macchinetta a giocare. Lei lo chiama, il marito reagisce spingendola. Insomma, alla fine i due vengono allontanati dalla sala. Chissà se i gestori del Bingo Poseidon faranno rientrare la persona che alcuni giorni prima ha causato la rissa all'interno della struttura. 

L'Avvocato Risponde "I Diritti del Convivente"

L'avvocato Mario Setola risponde a Bartolomeo, 34enne di Casoria in provincia di Napoli

Avv. Mario Setola

Domanda

Egregio avvocato, mi chiamo Bartolomeo, ho 34 anni e scrivo da Casoria. Convivo con la mia compagna di 30 anni da circa 3 anni e mezzo.  Insieme abbiamo comprato casa,   ma le cose non stanno andando come dovrebbero. Non abbiamo figli ed io mi sto innamorando di un'altra persona. Il mutuo e la casa sono intestati ad entrambi ed abbiamo goduto delle agevolazioni sulla prima casa. La casa che abbiamo acquistato non è “nuova”, ma in precedenza era intestata ad altre persone. Vorrei sapere quali spese dovrei affrontare in caso di separazione. E' possibile che io mantenga la casa visto che la donna di cui mi sono innamorato ha una bimba di sei anni avuta da una precedente convivenza? Che cosa mi suggerisce?     




L'Avvocato Risponde:

Gentile Bartolomeo, la convivenza “more uxorio”(senza matrimonio) non ha alcuna rilevanza giuridica, non essendo prevista dalla legge; non ci sarà pertanto, un processo di separazione ed un giudice che assegnerà l'abitazione familiare ad un coniuge, addebitando la colpa della separazione all'altro coniuge. Non avete figli, quindi la questione non deve essere considerata attinente al diritto di famiglia. La circostanza che la tua compagna abbia avuto in precedenza una bimba, è assolutamente irrilevante, ai fini della nostra fattispecie. Focalizziamo l'attenzione sugli aspetti rilevanti della vicenda, tralasciando la questione della convivenza che, da un punto di vista giuridico, non ha nessuna importanza. Abbiamo due comproprietari al 50% di un immobile con uguali diritti; Purtroppo è irrilevante ovviamente ai fini giuridici, benché umanamente comprensibile, il fatto che fino a ieri volevate vivere insieme e che adesso non vi amiate più! I comproprietari sono ugualmente debitori, relativamente al mutuo richiesto, nei confronti dell'istituto di credito. La questione deve essere risolta, con un accordo tra i comproprietari (non esiste normativa in merito): un comproprietario deve acquistare la quota del 50% dell'immobile, dall'altro, accollandosi l'intero mutuo. Altra soluzione possibile: vendere l'immobile ad un terzo estraneo, trasmettendo a quest'ultimo il mutuo immobiliare. E' possibile inoltre, concedere in locazione l'immobile ad un terzo e dividere il canone di locazione al 50%, in attesa di venderlo (in questo caso però, perdereste i benefici della prima casa e l'Agenzia delle entrate vi chiederebbe la maggiore imposta dovuta con avviso di liquidazione). La decadenza dal beneficio “prima casa” comporta il recupero della differenza d'imposta non versata e degli interessi nonché l'applicazione di una sanzione del 30 per cento dell'imposta stessa.  Il giudice non può fare altro che farvi notare che la questione può essere risolta, soltanto dal buon senso delle parti in causa, non essendoci una legge che regola la convivenza “more uxorio”.  In ogni caso, per non perdere i benefici della prima casa, è necessario prendere in considerazione i seguenti aspetti giuridici. Il comproprietario che cederà la sua quota del 50% sull'immobile, all'altro comproprietario, dovrà entro un anno dalla vendita, acquistare una nuova abitazione con i requisiti della “prima casa”. Se l'immobile dovesse essere ceduto ad un terzo, entrambi i cedenti dovrebbero acquistare un'altra “prima casa”, entro un anno dalla vendita. Tutto ciò, per non perdere il beneficio fiscale richiesto. La normativa inoltre, prevede un credito di imposta per le persone che hanno ceduto l'abitazione, a suo tempo acquistata fruendo dei benefici previsti per la prima casa, ai fini dell'imposta di registro e dell'Iva, ed entro un anno dalla vendita, acquistano un'altra abitazione non di lusso, costituente prima casa. Per fruire del credito di imposta, è necessario che il contribuente manifesti la propria volontà, con apposita dichiarazione nell'atto di acquisto del nuovo immobile.  

Avv. Mario Setola – Esperto in Diritto di Famiglia 
Studio: Cardito (Na) Corso Cesare Battisti n. 145
Cell. 3382011387 Email: avvocato.mariosetola@libero.it