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lunedì 2 febbraio 2015

Silvio Berlusconi ritorna libero dall'otto marzo Mediaset, il giudice: "Si è comportato bene..."

Silvio Berlusconi, concesso lo sconto di 45 giorni





Il giudice del Tribunale di Sorveglianza di Milano Beatrice Crosti ha concesso la liberazione anticipata, di 45 giorni, a Silvio Berlusconi nell’ambito dell’affidamento in prova ai servizi sociali di un anno che sta scontando per la condanna definitiva per il caso Mediaset. Nei giorni scorsi, la Procura aveva espresso parere contrario alla liberazione anticipata. L'ex premier, quindi, terminerà l'affidamento in prova ai servizi sociali che sta svolgendo presso la struttura "Sacra Famiglia" di Cesano Boscone, l’8 marzo prossimo. Lo riferiscono fonti legali. Berlusconi chiude così il capitolo giudiziario relativo al processo Mediaset che si era concluso con una condanna definitiva per frode fiscale a 4 anni di carcere, di cui 3 indultati.  Una decisione che arriva il giorno dopo la telefonata che il nuovo capo dello Stato Sergio Mattarella ha fatto a Silvio Berlusconi e che molti commentatori hanno letto come un modo per ricominciare a ricostruire quel Patto del Nazareno che la scelta per il Colle aveva fatto traballare. Certo è che domani Berlusconi sarà al Colle per il giuramento del nuovo Presidente della Repubblica. 

La motivazione -  Silvio Berlusconi si è comportato in modo corretto dopo le dichiarazioni contro i giudici pronunciate al processo napoletano in cui è imputato Valter Lavitola. È questa in sostanza la motivazione alla base del provvedimento firmato dal giudice di Sorveglianza Beatrice Crosti.

Cosa cambia - Berlusconi recupererà tutti i suoi diritti - fatta eccezione dell’eleggibilità, impedita dalla legge Severino - già a marzo: in particolare, l’ex premier potrebbe tornare a spostarsi liberamente su tutto il territorio nazionale e senza limiti di orario. Ma la battaglia di Berlusconi non è finita: resta la pronuncia della Corte Europea sui suoi due ricorsi presentati contro la legge Severino. Una pronuncia da cui l’ex premier vuol riottenere in toto l’agibilità politica visto che, secondo quanto sostenuto dai suoi avvocati nel ricorso, nel suo caso sarebbe stato violato il principio giuridico della non retroattività. Se il ricorso a Straburgo non dovesse dare gli esiti sperati, resterebbe la carta della riabilitazione che l’ex premier potrebbe chiedere tre anni dopo aver finito di scontare la pena (teoricamente nella primavera del 2018.

Il commento - "La liberazione anticipata di Berlusconi dai servizi sociali sulla ingiusta sentenza Mediaset, è la seconda buona notizia della giornata dopo l’invito del Presidente Mattarella alla cerimonia di insediamento al Quirinale". Così Michaela Biancofiore, parlamentare di FI, in una nota pubblicata pochi minuti dopo la notizia della liberazione anticipata del Cav, commenta la decisione del giudice di Milano . "In attesa del pronunciamento della CEDU che lo riabiliterà giuridicamente decretando la sua completa e conosciuta innocenza, il Presidente Berlusconi ora riparta dalle regole e dalla democrazia per scegliere la squadra che lo accompagnerà nel recupero del consenso degli italiani che è a portata di mano. Anticipazione del congresso al 2015 e stop a nominati che non sono mai stati eletti da nessuno, non conoscono quanti sacrifici costi il consenso e dunque che non hanno legittimazione né popolare né all’interno del partito e dei gruppi parlamentari. Non è un caso che Renzi e Salvini siano emersi rispettivamente dalle primarie e da un congresso. Noi il leader lo abbiamo ora serve una squadra di gente affamata di cambiamento che lo supporti".

Claudio Martelli, ex ministro della Giustizia senza filtri: "Sergio Mattarella non è un santo e vi dico perché...."

Claudio Martelli: "Sergio Mattarella non è un santo e vi dico perché...."





Durissimo il giudizio di Claudio Martelli sul nuovo presidente della Repubblica. Martelli era ministro della giustizia nel governo Andreotti. "Mattarella non è tra i morti che hanno combattuto la mafia a viso aperto e non può essere paragonato a chi è caduto mentre era in guerra con le cosche". Un comportamento "intollerabile, chi lo manifesta non è degno di ricoprire l' ufficio di ministro della Giustizia", fu la replica della vedova Mattarella. Una polemica vecchia, su cui in un'intervista al Fatto Quotidiano interviene Martelli: "Intervenni dopo a pochi giorni dall' omicidio Lima, perché nella Dc si stava facendo spazio questa sorta di accostamento poco giudizioso tra la morte di Salvo Lima e le altre vittime della mafia. Non vi fu nessuna aggressione alla memoria di Piersanti né alla famiglia. Mi concentrai su una distinzione netta tra Piersanti Mattarella e La Torre. Il primo aveva combattuto la mafia contrastando il sistema di potere all' interno del suo partito, Lima, Gioia, Ciancimino, e per questo forse fu ucciso. La Torre, no, la sua fu una battaglia dura, netta, contro Cosa nostra e i suoi legami politici". Il giornalista del Fatto  ricorda come Martelli "tirò in ballo la figura di Mattarella padre, Bernardo, definendolo il leader politico che traghettò la mafia siciliana dal separatismo, alla Dc, e Sergio Mattarella definitì il suo livello come miserabile".

Il giudizio critico - La replica di Martelli è immediata: "Non mi sono mai inventato accuse nei confronti di Bernardo Mattarella. Le cose che dissi all' epoca le presi dalla relazione di minoranza presentata dal Pci in Antimafia e firmata da Pio La Torre". Ma il giudizio dell'ex ministro della Giustizia su Mattarella, è ancora dopo tanti anni tranchant: " È un uomo che merita rispetto. Quella foto del 6 gennaio 1980 è l' immagine di un dolore indicibile, instancabile, che non passa mai. È una sorta di battesimo, una vocazione originaria. Ma la santificazione no, non mi piace. Aspettiamo. Sergio Mattarella è stato un uomo di partito, di corrente, di polemiche aspre. È stato l' uomo che all' indomani del ribaltone che defenestra Romano Prodi diventa il vicepresidente del Consiglio con D' Alema. E anche quelle dimissioni dal governo sulla legge Mammì, aspetterei a leggerle come una scelta ideale, diciamo che furono ordini di corrente ai quali Mattarella e altri ministri ubbidirono.

Il pronostico - Quando il giornalista Enrico Fierro gli chiede che cosa succederà con Mattarella Presidente della Repubblica, lui risponde: "Leggo tante cose, c' è chi lo vuole capace di resistere a Renzi, chi invece lo vede legatissimo al premier. Renzi è stato abile, si è coperto a sinistra con Vendola e ha costruito una maggioranza preventiva sul nome di Mattarella stringendo Alfano in un angolo. C' è una forte tendenza al partito unico, un grande partito di centro che assorbe la sinistra, ne contiene un' ala. Così si chiude la strada ad ogni alternativa e si costringe la destra ad estremizzarsi"

La cupa profezia di Pansa su Renzi: così Mattarella riuscirà a fregarlo...

Giampaolo Pansa: Sergio Mattarella? Tenace, insistente, lungimirante: stupirà tutti, anche Renzi

di Giampaolo Pansa 



Ho conosciuto Sergio Mattarella in un momento cruciale per la Democrazia cristiana e per l’area di Ciriaco De Mita, la sua corrente. I demitiani erano la tribù bianca che poteva vantare una quantità di tipi umani che non tutti i clan della Balena avevano. De Mita svettava sull’intera parrocchia. E ti catturava come pochi sapevano fare. Mi diceva sempre: «Pansa, tu non capisci i miei ragionamenti. Ma se non mi comprendi, come puoi pretendere di intervistarmi?». Clemente Mastella, il suo addetto stampa, m’incoraggiava: «Ciriaco fa così perché ti stima». Riccardo Misasi, il capo della segreteria, amava De Mita e lo riteneva il nuovo Giulio Cesare della politica italiana. Quanto a Mattarella era tutta un’altra storia.

Il mio ricordo ha una data precisa: l’inizio del febbraio 1989. Il giorno 17, a Roma, si sarebbe aperto il diciottesimo congresso nazionale della Dc e tutti davano per conclusa l’era di De Mita, durata sette anni. La fine veniva annunciata da una tempesta di voci. Ciriaco è cotto. È fritto. È finito. Deve sloggiare da piazza del Gesù. Lui e i suoi. Gli avellinesi e anche gli altri: i colonnelli, i capitani, i furieri. Che grandinate sulle tende demitiane! Roba da far saltare i nervi a un rinoceronte di marmo. Però i nervi non saltavano. Non a tutti, perlomeno. A Sergio Mattarella certamente no.

Andai a trovarlo a Palazzo Chigi, dove ancora sedeva De Mita, nel suo ufficio di ministro per i rapporti con il Parlamento. In quel momento aveva 48 anni e un volto assai più giovane sotto i capelli già bianchi. Un signore pacato, tenace, senza ansie da potere né sbandamenti faziosi. Il politico sul quale De Mita aveva investito di più, ma che non si era annullato in Ciriaco. Un suo amico mi aveva detto. «Nel lavoro di partito, Sergio è tenacissimo e insistente, come la goccia che cade».

Gli chiesi se gli piacesse l’immagine della goccia. Lui sorrise: «Non so dirle se sono così. Però Aldo Moro aveva già spiegato l’importanza dei piccoli passi. Elogiava il lavoro che sembra fatto di niente. Non dico che i piccoli passi, quelli che si vedono poco, siano i più importanti. Ma di certo lo sono quanto i grandi movimenti che suscitano clamore».

Se rileggo gli appunti che presi nel nostro lungo colloquio, rimango ancora stupito dalla schiettezza di Mattarella nel descrivermi i partiti e la Casta politica di allora. Eravamo nell’Ottantanove e mancavano appena tre anni all’inizio del ciclone di Mani pulite. Ma i guai tremendi del partitismo, a cominciare da quello democristiano, erano ben chiari nell'esperienza di Sergio e lui non arretrò nel ricordarmeli.

Esordì: «Bisogna cominciare dallo stato del tesseramento. È molto gonfiato e questo rende dubbia la legittimità della rappresentanza nel partito, il Chi rappresenta Chi e in virtù di che cosa. E c’è di peggio. I tanti padroni delle tessere in sede locale paralizzano la vita della Dc. I leader nazionali sono prigionieri di questi concessionari del marchio democristiano. Ne nasce un rapporto inverso a quello normale: non comandano i vertici del partito, bensì i gruppi periferici che sono i veri padroni dei vertici nazionali».

«C’è poi un secondo male» continuò Mattarella. «Non è soltanto della Dc, anche se noi democristiani ce ne stiamo accorgendo prima di altri. Il reclutamento dei dirigenti in periferia avviene per linee sempre più interne. I partiti pescano i loro quadri soltanto fra i professionisti della politica già all’opera nelle correnti, nelle sub-correnti o nelle istituzioni. Questo rende i partiti asfittici e sempre più distanti dal loro retroterra sociale. Infine i quadri selezionati in questo modo risultano mediocri».

Conclusione? Sergio Mattarella, seguitando a parlare senza enfasi, si dimostrò profetico: «Anche la Dc si trova in questa trappola molto rischiosa. Dobbiamo riuscire a rompere il sistema che le ho descritto, inserendo nei partiti energie nuove, raccolte dentro la società civile. Oppure i partiti moriranno. Non abbia il timore di attribuirmi questa previsione nera».

Proposi a Mattarella di spiegarmi meglio quello che intendeva. La Goccia che cade non esitò: «In pochissimi anni i partiti italiani diventeranno dei corpi sempre più separati dalla società. E sempre meno qualificati. Nella periferia della Democrazia cristiana sta già accadendo. Il virus è molto esteso. E rischia di intaccare in modo irreparabile i piani alti del partito. La nostra area avverte sino in fondo questo pericolo. E De Mita sì è impegnato molto per renderlo evidente e combatterlo».

«Il nodo del congresso che sta per aprirsi sta proprio qui: è la continuità rispetto a questo impegno. Se invece il nuovo assetto della Dc risulterà soltanto il frutto di un equilibrio fra le correnti, ci sarà meno sensibilità per questi problemi. E si farà prepotente la tentazione di ritornare al partito malato che nel 1981 sembrava in coma irreversibile e che De Mita ereditò l’anno successivo».

Domandai alla Goccia che cade degli errori compiuti da De Mita nell’incarico di segretario. Lui non si sottrasse alla domanda: «Forse l’errore primario fu il tentativo, riuscito soltanto in parte, di governare la Dc nelle grandi città con i commissari, nominati dalla segreteria politica. In realtà erano dei coordinatori con funzioni di stimoli per il futuro. L’intuizione era giusta. Poi l’affanno quotidiano ha un po’ impacciato le soluzioni. È il vizio illuministico dei gesti forti. L’esperienza ci ha insegnato che è meglio la semina lenta, il lavoro che sembra fatto di niente, per usare l’immagine di Moro».

A quel punto Mattarella mi offrì un'altra previsione: «In tutto l’Occidente è in corso un processo che spinge i veri centri di decisione a trasferirsi fuori dalla politica. Esiste davvero il pericolo che i partiti diventino una sovrastruttura che galleggia su altri centri di potere né palesi né responsabili. La politica, invece, deve essere un punto alto di mediazione nell'interesse generale. Se la politica non è in grado di essere questo, le istituzioni muoiono. E prevale chi ha più forza economica o più forza di pressione, che è poi la stessa cosa».

Così parlava Sergio Mattarella nell’Ottantanove. Dimostrava di sapere con certezza che un’epoca stava finendo. E talvolta attraverso eccessi più grotteschi che tragici. Ne incontrai un campione mentre stavo uscendo da Palazzo Chigi. Era l’ombra imponente del socialista Gianni De Michelis, ancora per poco vicepresidente del Consiglio nel governo De Mita. Mi regalò un salutone cordiale, poi cominciò a sparare a raffica contro Ciriaco, Bettino Craxi, i sottocapi del Psi e la loro debolezza nei confronti del leader del Garofano.

Ce l’aveva soprattutto con Giuliano Amato: «Voi di Repubblica non capite un cazzo. Siete bambini ignoranti e pompate tanto Giuliano. È uno di quelli che dicono sempre di sì a Bettino. Nel vertice del Psi c'è uno solo ad avere il temperamento giusto per tenere testa a Craxi. E sai chi è?».

Gli risposi: «Scommetto che sei tu, Gianni». E quel meraviglioso peso massimo, sempre pieno di femmine audaci e chiamato Avanzo di balera per la sua passione di frequentare i night, scuotendo vezzoso la chioma strillò con un sogghigno: «Come hai fatto a indovinarlo?».

Qualche settimana dopo, De Mita perse la segreteria della Dc e in maggio si dimise da capo del governo. Rimasero vive, ancorché nascoste, le gocce che cadono senza mai fermarsi. Ventisei anni dopo una di queste entra al Quirinale.

Pensioni, gettoni e vitalizi: tutti gli "stipendi" di Mattarella

Mattarella, i triplici incassi: la pensione, il gettone e il vitalizio, ecco quanto ha guadagnato





Quando spuntò il suo nome per il Quirinale, una delle critiche più feroci che subito vennero mosse a  Giuliano Amato, riguardava il cumulo degli stipendi. Cumulo che in realtà non c’è più, visto che una volta entrato a fare parte della Corte Costituzionale, si è autosospeso la pensione. Sergio Mattarella  mensilmente passa all'incasso ben tre volte: la prima per la pensione, la seconda per il vitalizio da ex parlamentare e, la terza per incassare l’emolumento quale giudice costituzionale. 

I conti in tasca - Il curriculum del neo-presidente è lungo e prestigioso. Nonostante ciò, Mattarella ama conservare abitudini e tenore di vita umili, cominciare dal trilocale di 50 metri a due passi dal Quirinale. Niente sfarzi nemmeno al volante, con la sua ormai proverbiale Panda grigia. Eppure qualche soldo in tasca il Capo dello Stato se lo ritrova. A giudicare dai calcoli del Fatto quotidiano, per esempio, i 25 anni in Parlamento (dal 1983 all'aprile 2008) gli hanno fruttato una "liquidazione" da 234mila euro, con vitalizio da 9.363 euro al mese percepito dal 2008 all'ottobre 2011, quando Mattarella è stato eletto alla Corte Costituzionale: in tutto, 400mila euro. In più ci sono i compensi da membro del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, il Csm del Tar, carica presieduta dall'aprile 2009 all'ottobre 2011: 65mila euro l'anno più benefit. Dal 2011, infine, Mattarella come detto è stato giudice costituzionale. Il suo stipendio si calcola in base al compenso del primo giudice della Cassazione aumentato del 50%, più una "indennità giornaliera di presenza pari a un trentesimo della retribuzione mensile spettante ai giudici ordinari". Fino allo scorso giugno erano circa 470mila euro all'anno. Poi è scattato il tetto di 240mila euro per i giudici che ha di fatto abbassato lo stipendio anche ai membri della Consulta a circa 400mila euro. In tutto, secondo il Fatto, Mattarella guadagnerebbe all'anno circa un milione e mezzo di euro, cui si deve aggiungere la pensione da professore universitario (assistente e poi docente di diritto parlamentare a Palermo dal 1965 al 1983): circa 80mila euro l'anno. Calcolo complessivo, 2,8 milioni di euro dal 2008 ad oggi.

Ora Renzi schiera la Boschi per riconquistare Berlusconi

Fisco, Maria Elena Boschi: "Non blocchiamo il decreto solo perché c'è di mezzo Berlusconi". Le due "sfide" a Matterella





Le prove di pace tra Renzi e Cav arrivano dal Fisco. E' Maria Elena Boschi a tendere la mano a Silvio Berlusconi sull'ormai famigerato decreto "salva-Silvio", approvato dal CdM alla vigilia di Natale poi congelato a inizio 2015 a causa delle polemiche. "Non credo che possiamo fare o non fare una norma, che riguarda 60 milioni di italiani, perché c'entra o meno Berlusconi. Così si resta fermi agli ultimi 20 anni...", ha commentato la Boschi ospite de L'Arena di Massimo Giletti su Rai Uno. Parole chiare che riaprono una questione accantonata in attesa dell'intesa sul Quirinale. Intesa che non è arrivata, facendo tremare Patto del Nazareno e Forza Italia stessa. Chi pensava, infatti, che Renzi avesse promesso un'accordo sul Quirinale in cambio del decreto fiscale (che potrebbe riaprire le porte della candidabilità all'ex premier) è rimasto deluso, perché su Mattarella Matteo ha fatto uno sgambetto bello e buono. Ma ora su riforme e Fisco il governo potrebbe tornare a trattare con il Cav. 

Le due "sfide" a Mattarella - Tra l'altro, proprio il decreto fiscale sarà uno dei primi banchi di prova per il neo-presidente della Repubblica. L'altro è la legge elettorale, a rischio di costituzionalità per la questione dei listini bloccati, ammesso che l'Italicum così com'è oggi passi anche alla Camera, dove la pattuglia di Forza Italia, delusa dalla battaglia per il Capo dello Stato, attende di nuovo il testo al varco. "La legge elettorale non la facciamo nell'interesse di Renzi o del Pd, è una legge che garantisce la certezza di chi vince", ha spiegato ancora la Boschi. Alla domanda su quando verrà utilizzata, il ministro ha replicato: "Solo il Presidente della Repubblica ha il potere di scioglimento delle Camere. Oggi c'è l'impegno del governo che arriviamo al 2018. Non vogliamo lasciare il lavoro a metà". "Forza Italia ha dato un contributo importante e serio per le riforme e credo continuerà a lavorare per quelle costituzionali - ha concluso il ministro -. Ma non sono fondamentali, perché i numeri ci sono comunque e non siamo persone che mollano. I numeri ci sono e andremo avanti, ma mi auguro che Forza Italia continui a lavorare con noi".

Feltri: "Perché Silvio ha sbagliato tutto. Se avessero eletto me al Quirinale..."

Feltri: "Quei voti della Lega e Fratelli d'Italia per me..."





Vittorio Feltri, candidato della Lega Nord e Fratelli d’Italia, ha ricevuto 47 preferenze nell’elezione a presidente della Repubblica. E, per la prima volta, da quando era stato indicato come possibile inquilino del Colle dal Carroccio, parla di vicende quirinalizie. Lo fa in un articolo su Il Giornale in cui spiega come gli italiani in fondo siano poco interessati al voto per il semplice motivo che la scelta non dipende da loro. Feltri comunque non ha dubbi: Silvio Berlusconi ha preso una “cantonata ed è rimasto con il cerino in manoJ”. Secondo il fondatore di Libero il Cavaliere avrebbe dovuto digerire il diktat di Renzi anche perché semplicemente non aveva i numeri per “per far prevalere la propria volontà”.

Il ragionamento - Avrebbe insomma potuto far proprio il candidato e avrebbe ottenuto un pareggio. Scrive: “Gli argomenti per accettare il siculo non mancavano. Mattarella non è un ex comunista, ma un democristiano (sia pure di sinistra) da anni ai margini della politica politicante. È un personaggio grigio e, si sa, il grigio va su tutto: sul rosso, sull' azzurro e anche sul viola”. Feltri sostiene che il centrodestra non “ha azzeccato una mossa che non fosse tesa all' autodistruzione. Se Berlusconi continuerà a essere fedele al Nazareno, sarà criticato così: prima litiga col Rottamatore, poi va a Canossa perché non sa che altro fare. Se romperà il patto, i medesimi critici lo accuseranno di aver trasformato una débâcle politica in fatto personale, sacrificando per vendetta il bene comune, nazionale. In pratica egli si è messo da solo in un angolo da cui non gli sarà facile uscire indenne”.

La battuta - Precisa che non è arrabbiato col Cav perché questi non ha dato ai suoi indicazione di votarlo, ma fa un ragionamento politico molto chiaro: “Se si dovesse tornare a votare nella presente congiuntura, avremmo una Lega di Matteo Salvini al 15-16 per cento ovvero leggermente sopra Forza Italia. Se agli ex nordisti (ora lepeniani convinti) rimarranno agganciati gli alleati di Fratelli d' Italia (Meloni e La Russa), saremmo di fronte a una coalizione del 20 per cento circa. Non robetta da sottovalutare”. Per Feltri la risalita di Berlusconi è difficile anche se “l’uomo non è privo di risorse”. Poi una battuta su Salvini e Meloni: “Hanno il vento in poppa, soprattutto perché non hanno me come presidente della Repubblica: si avvalgono semplicemente della loro coerenza.”. 

"Vuoi lavorare con noi? Qua la mano" L'azienda che ti spara il chip sotto-pelle

L'azienda dove per lavorare devi farti installare un chip sotto alla pelle





Vuoi lavorare con noi? Bene, dacci la mano e ti impiantiamo un microchip sottopelle. No, non si tratta di un consueto delirio dei grillini, ma della trovata della Epicenter, una ditta di Stoccolma. Si tratta dell'ultima frontiera della tecnologia indossabile, che promette di eliminare badge, chiavi e condici di sicurezza. Grazie al chip, infatti, i dipendenti entrano nei loro uffici. Il trasmettitore è grande come un chicco di riso e viene iniettato nella mano: poi basta portare la mano vicino ai lettori sparsi qua e là e le porte si spalancano. E non solo: grazie al chip è possibile azionare la fotocopiatrice e pagare il caffè al bar. Rory Cellan-Jones, un reporter della Bbc, ha provato l'esperienza in prima persona, andando alla Epicenter e facendosi impiantare il chip: un intervento di pochi minuti e, assicura, quasi indolore, simile alla puntura di una siringa. Il chip, spiega il reporter, può sbloccare ogni tipo di dispositivo: dal computer, allo smartphone e fino alla bici. "Oggi è tutto un po’ caotico, abbiamo bisogno di Pin e password, non sarebbe più facile toccare tutto semplicemente con una mano", ha spiegato Hannes Sjoblad, a capo della società svedese BioNyfiken, che ha impiantato i chip ai dipendenti dell’Epicenter. E poi aggiunge: "Vogliamo comprendere a fondo questa tecnologia prima che grandi aziende e governi vengano da noi e ci dicano che tutti dovrebbero essere chippati, il chip dell’ufficio delle imposte, il chip di Google e il chip di Facebook". Come è ovvio, però, non tutte le persone all’interno dell’Epicenter sono entusiaste all’idea di farsi impiantare il microchip.