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giovedì 4 settembre 2014

"Con l'euro morirete lentamente" L'alternativa per salvare l'Italia? "Taglio dei salari o più disoccupati"

Euro, la profezia di Martin Wolf: "Senza riforme vere l'Italia morirà lentamente"




"Senza un ampio programma di riforme, l'Italia è destinata a morire lentamente". La profezia funesta arriva dalla penna del britannico Martin Wolf, editorialista del Financial Times e tra i più prestigiosi e autorevoli commentatori economici del pianeta. Nel suo ultimo libro The shifts and the shocks, il 68enne Wolf guarda con pessimismo e disincanto alla situazione mondiale e soprattutto dell'Eurozona, affossata da una scelta suicida. "La moneta unica è stata una vera idiozia. Solo Gran Bretagna e Germania hanno tenuto un vero dibattito" sul dilemma euro sì-euro no. "Londra saggiamente ha detto no, sapendo che sarebbe stato un suicidio, mentre Berlino, aderendo, ne ha capito la portata e non solo ha deciso le regole, ma ha fatto tutte le riforme necessarie per funzionare in un un'unione monetaria". L'esatto opposto dell'Italia, che da metà anni Novanta ha fatto di tutto per entrare nel club dei "fondatori" dell'euro, favorendo però il disastro degli anni a venire.

Taglio ai salari o più disoccupazione? - L'Italia e gli altri paesi, sostiene Wolf, "sono stati dei pazzi. Tutti pensavano che l'euro avrebbe risolto tutti i problemi, invece li ha messi a nudo". Problemi che, nel caso italiano, partono da lontano visto che la produttività ha smesso di crescere ben prima di inizio anni Duemila a causa di una mancata modernizzazione del sistema-Paese, una burocrazia che ha tenuto alla larga gli investitori stranieri  e una debolezza congenita del mercato dei capitali. Insomma, ci siamo auto-condannati a essere uno Stato provinciale che vuole sedere al tavolo dei grandi, un vaso di coccio tra vasi di ferro. Come uscire da questa spirale? "Dovete recuperare competitività - spiega il commentatore, che ha casa a Lerici -. In un quadro di bassa o zero inflazione non ha altra strada che far cadere in modo significativo i salari, una via che però penalizza ulteriormente i consumi". Oppure c'è l'altra via: "Aumentare in modo considerevole la produttività. una soluzione che però fa crescere la disoccupazione nel breve periodo". In un modo o nell'altro, dunque, saranno sofferenze tremende. "Se oggi il premier Matteo Renzi mi chiedesse cosa fare, non saprei cosa consigliargli", ammette Wolf, secondo cui però l'unica soluzione è far ripartire il motore della crescita attraverso il recupero della competitività dell'export. E se proprio si dovesse scegliere, meglio la disoccupazione che il taglio dei salari. "Serve un senso nazionale di stato di crisi, i sindacati devono capire", è la chiosa di Wolf.

Draghi non ci salverà- Chi si aspetta un salvataggio dall'alto di Mario Draghi e della Bce, però, sarà deluso. "Non potrà essere di certo l'annuncio di un quantitative easing, cioè l'acquisto di bond sul mercato da parte della Banca centrale europea", frena gli entusiasmi Wolf, che mette in guardia dalla "tremenda resistenza politica" soprattutto dalla Germania. Certo, si dovrebbe "lanciare i soldi dall'elicottero" come fatto a suo tempo dall'ex presidente della Federal Reserve americana Ben Bernanke, ma in questo caso servirebbero "svariati trilioni di euro, l'Eurotower dovrebbe comprare titoli del debito pubblico in proporzione al Pil dei vari Paesi membri". Francoforte, così, controllerebbe anche larga porzione dei debito tedesco. Cosa che Berlino non accetterà mai.

Spariti dieci aerei in Libia, è panico: "Li useranno per l'11 settembre"

Jihad in Libia, spariti una decina di aerei da Tripoli: timore attentati per l'11 settembre




Un altro 11 settembre. E' questo l'incubo dell'Occidente che assiste inerme alla crescita dello Stato islamico in Medio Oriente. Mentre negli Stati Uniti è allerta massima per possibili attentati dei jihadisti con l'appoggio "esterno" dei narcotrafficanti del Messico (uniti da un obiettivo comune: indebolire il più possibile, e per fini diversissimi, le difese Usa), in Europa è un'altra notizia a mettere in guardia i servizi segreti: una decina di aerei commerciali mancherebbero all'appello dall'aeroporto di Tripoli, in Libia. Il timore, ovviamente, è che siano finiti nelle mani dei ribelli islamici vicini ad Al Qaeda. Il legame tra le milizie libiche islamiche e lo Stato islamico del Califfo Al Baghdadi, per ora, non è ancora certo vista la frammentazione del fronte jihadista in tutto il Medio Oriente. 

Gli altri 11 settembre - Di certo, però, in una fase così incerta ogni rischio è concreto, senza dimenticare inoltre che proprio in Libia, a Bengasi, è andato in scena un altro 11 settembre di sangue per gli Stati Uniti: nel 2012 le truppe ribelli assaltarono l'ambasciata americana e uccisero l'ambasciatore Chris Stevens. Ora, secondo il sito statunitense Drudgereport, ecco la notizia della sparizione di una decina di aerei, potenziali bombe volanti come accaduto 13 anni fa a New York, quando due boeing furono dirottati da un manipolo di terroristi qaedisti e si schiantarono contro le Torri Gemelle. Anniversario celebrato ancora con commozione negli Usa ma guardato con esaltazione nel Medio Oriente sempre più imbevuto di follia jihadista.

PAGELLONE DI RIINA AI POLITICI "Silvio sbirrone, Fini miserabile" Su Santanché e Marina Berlusconi...

CARCERE Parla Riina: "I documenti di Dalla Chiesa e Borsellino li hanno i Servizi". E su Renzi e Berlusconi...






«Questo Dalla Chiesa ci sono andati a trovarlo e gli hanno aperto la cassaforte e gli hanno tolto la chiave. I documenti dalla cassaforte e glieli hanno fottuti». Nelle conversazioni fiume tra Totò Riina e Alberto Lorusso, il suo compagno d’aria al carcere di Opera di Milano, il boss corleonese parla anche del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, di cui oggi ricorre l’anniversario della morte per mano mafiosa. Riina e Lorusso ne parlano durante il «passeggio» del 29 agosto dell’anno scorso. Le conversazioni sono tutte intercettate e sono state depositate - poco più di 1300 pagine - nell’ambito del processo sulla trattativa tra Stato e mafia. «Minchia il figlio faceva ... il folle. Perchè dice c’erano cose scritte. Loro - continua Riina - quando fu di questo... di Dalla Chiesa... gliel’hanno fatta, minchia, gliel’hanno aperta, gliel’hanno aperta la cassaforte, tutte cose gli hanno preso. Perchè i discorsi di Palermo, i discorsi a Palermo sono, sono assai, tutti grossi e tutti, tutti bomb... tutti, tutti morti. Morti, morti di tanti livelli».


L'agenda rossa - Riina si sofferma anche su un altro mistero, quello legato all’agenda rossa di Paolo Borsellino, attribuendo ai servizi segreti la sua scomparsa: «Gliel’hanno presa ed è sparita». Nelle conversazioni con Lorusso, rievoca anche la vicenda legata alla perquisizione ritardata del suo covo, dopo l’arresto del 1993. La sua cassaforte? Nella versione di Riina, non conteneva documenti: «Io cose importanti non ne avevo, se le avevo le tenevo in mente».

Giudizi politici - Il boss dei boss, come si legge sul Fatto, parla anche di attualità e non si risparmia sui giudizi riguardo i protagonisti politici. Matteo Renzi per Riina  «E' forte perché è giovane», ma diventa «un carabiniere» quando si oppone all'amnistia; Angelino Alfano viene bollato come «vigliacco e traditore» più o meno come Gianfranco Fini «un miserabile e meschino».  Massimo D’Alema viene visto dal capomafia come uno «mangia e bene», «Il più disgraziato che c’è»; Beppe Grillo invece «è malato di testa, ormai è impazzito». Riina non nasconde le sue simpatie per Andreotti «uno grande», per  Marina Berlusconi «una seria» e Daniela Santanché «una forte». Un ragionamento moralistico viene fuori quando parla di Silvio Berlusconi bollato come «un mutannaro» (mutandaro) e accusato di essere un «porco, malato di minorenni». «Più che il partito di Forza Italia - dice a Lorusso - dovrebbe fondare Forza Culo perché è un disgraziato». Ma al leader azzurro non perdona soprattutto di aver «tradito» le speranze mafiose. «Aveva il 66%, doveva mandare alla fucilazione i magistrati, aveva la corda per affogarli tutti». Dice Riina che «c'è tanta gente incarcerata senza malu fine (cioè l'ergastolo)», ma lui «non ha fatto niente, è stato un gran sbirrone». Quanto a Giorgio Napolitano, definito "berrettone" che in dialetto siciliano vuol dire "colui che vuole fare tutte le cose", il capo dei capi sostiene che è «il più pulcinella di tutti». 

Messaggi per chi? - Le parole intercettate in carcere sono dei messaggi che il capomafia ottantenne lancia all’esterno? Per la presidente della commissione parlamentare Antimafia Rosy Bindi «c’è ancora molto da capire», per il presidente del Senato Piero Grasso «queste sono valutazioni che spettano agli organi competenti». Di certo c'è, secondo la Bindi, che «quando Riina sapeva di essere intercettato non ha parlato. La logica ci dice che quando parla non sa di essere intercettato ma tutto ciò resta comunque un interrogativo. È da interpretare e capire...».

Ebola, allarme rosso a Padova: due pazienti ricoverati in isolamento

Ebola, allarme a Padova: due pazienti in isolamento




Dopo Bologna, Varese, Gallarate, anche il Veneto registra i primi casi sospetti di ebola. Il Settore Igiene Pubblica e Prevenzione del Veneto ha fatto appena in tempo, due giorni fa, ad inviare a tutte le aziende sanitarie il protocollo contenente le prime indicazioni operative di risposta regionale per la prevenzione. Ieri il protocollo è scattato in tutta la sua completezza a Padova di fronte a due pazienti, un nigeriano e un istriano, colpiti da febbre alta e sintomi dubbi. L'ebola è una febbre emorragica grave che sta affliggendo l'Africa, dall'esordio improvviso e il decorso acuto, caratterizzata da emorragie, sanguinamenti, petecchie, epistassi. I due pazienti sono stati messi immediatamente in isolamento in stanze singole, e sono stati oggetto di approfondimenti diagnostici serrati. Stamane è rientrato l'allarme per quanto riguarda il paziente nigeriano. I test effettuati su di lui hanno dato esito negativo: l'uomo sarebbe però affetto da malaria. Ancora in corso le analisi sul secondo malato.

Il mondo sta perdendo la battaglia - Ieri sera  Jeanne Liu, presidente di Medici senza frontiere (Msf), ha lanciato l'allarme a New York di fronte alle Nazioni Unite: "L'annuncio fatto lo scorso 8 agosto dall'Oms che l'epidemia costituiva una 'emergenza di salute pubb
lica mondiale' non è stato seguito da un'azione decisiva, e gli Stati si sono in generale accontentati di fare una colazione mondiale dell'inazione".

I morti - Il virus ha fatto ad oggi 1.552 morti su 3.069 casi confermati: 694 in Liberia, 430 in Guinea, 422 in Sierra Leone e 6 in Nigeria, secondo l'ultimo bilancio dell'Organizzazione mondiale della sanità dello scorso 26 agosto. Un primo caso è stato è stato inoltre confermato in Senegal la scorsa settimana. Al ritmo attuale di contagio, saranno necessari da 6 a 9 mesi ed almeno 490 milioni di dollari (373 milioni di euro) per riuscire a contenere l'epidemia, che secondo l'Oms rischia di colpire 20.000 persone.

Sugli statali cala la scure della Madia: "Non ci sono soldi, stipendi bloccati"

Marianna Madia: "Statali, gli stipendi restano bloccati. Non ci sono risorse"




Il prezzo degli 80 euro lo pagano - anche - gli statali. Dopo le voci e le smentite degli ultimi giorni, ecco la conferma: "In questo momento di crisi le risorse per sbloccare i contratti a tutti non ci sono", spiega Marianna Madia, ministro della Pa, parlando dei rinnovi contrattuali per i dipendenti pubblici. Insomma, non ci sono soldi, e così continuerà il blocco agli stipendi degli statali. La Madia aggiunge: "Ora, prima di tutto, guardiamo a chi ha bisogno. Quindi confermiamo gli 80 euro, che vanno anche ai lavoratori pubblici" (ammesso che il reddito Irpef sia inferiore alla soglia minima per ottenere il bonus).

La Madia continua sottolineando come "i contratti hanno iniziato ad essere bloccati all'inizio della crisi economica". Una crisi economica che, alla luce dei "dati sull'economia" prosegue, e che il governo - assicura Marianna - "è impegnato a superare". E dunque la solita tiritera sui sacrifici per tutti: "Lo sforzo deve coinvolgere tutti, sia il governo che le parti sociali". Parlando a margine dei lavori in commissione Affari Costituzionali del Senato, dove è iniziata la discussione sul ddl Pa, Madia ha spiegato che la decisione sui contratti per il pubblico impiego verrà presa in sede di legge di stabilità, ma presumibilmente la proroga del blocco cominciato nel 2010, dovrebbe essere di un anno".

La multa si paga pure col giallo: i semafori truffano gli italiani e per i giudici è giusto così

Cassazione, semaforo giallo lampo: ma la multa si paga lo stesso




Il giudice di pace gli aveva dato ragione. La luce gialla del semaforo era durata meno di quattro secondi. E per questo, lui, la multa per essere passato col rosso, non la doveva pagare. La Corte di cassazione, però, gli ha dato torto, riconoscendo al Comune di Montevecchia in provincia di Lecco il diritto a riscuotere la sanzione. E invitando il Tribunale di Lecco ad adeguarsi al principio affermato.

Tempi ridotti - Il ricorso dell'automobilista si basava sul fatto che, fotogrammi alla mano, la luce gialla di quel semaforo di Montevecchia era durata meno di quattro secondi. E che dunque lui aveva avuto un tempo troppo ridotto per frenare. La durata di quattro secondi della luce gialla dei semafori dovrebbe essere adottata sulle strade urbane in base a una nota del ministero dei Trasporti (la numero 67906).

La pronuncia - La sentenza 18740 della Cassazione richiamata da Il Sole 24 Ore dice invece che l'automobilista dovrebbe adeguare la sua velocità allo stato dei luoghi senza contare troppo sulla durata dell'esposizione della luce gialla perché questa "non costituisce un dato inderogabile". E cita il Codice della strada per il quale "il tempo minimo di durata di detta luce non può mai essere inferiore a tre secondi", ossia il tempo di arresto di cui ha bisogno un veicolo che proceda a una velocità non superiore ai 50 chilometri orari secondo uno studio del Consiglio nazionale delle ricerche.

mercoledì 3 settembre 2014

Tassisti italiani come scafisti: arrestati Con l'auto portano immigrati in Germania

Immigrazione, arrestati i tassisti italiani che portavano i clandestini in Germania




Decine d'arresti. Nel mirino, i tassisti, che utilizzano le loro auto per accompagnare "oltre confine" centinaia di clandestini orientali. L'accusa è quella di favoreggiamento d'immigrazione clandestina. In manette anche diversi conducenti d'auto italiani, che noleggiavano le vetture proprio per "accompagnare" i migranti. Gli arresti sono stati effettuati principalmente al Nord, ma in un caso anche a Roma

Il caso - Le prime manette sono scattate lo scorso anno, ma il caso è emerso in queste settimane con il fermo del noleggiatore Alessio Tavecchio, 45 anni, di Pianezze (Vicenza) fermato dalla polizia tedesca mentre trasportava 10 profughi siriani. Manette anche per un altro vicentino, Giancarlo Flaminio di 72 anni di Grisignano di Zocco (Vicenza), e per i due padovani Marco Santi (51) e Fabio Forin (30) bloccati a Rosenheim mentre stavano viaggiando con 25 siriani.

La difesa - Ad abbozzare una difesa della categoria è Pierpaolo Campagnolo, presidente dalla Cooperativa Tassisti Vicentini, che spiega: "Non è obbligatorio sapere chi portiamo. Molti dei profughi che si sono allontanati dalla città li abbiamo portati noi. Quando il cliente è presentabile e paga, nessuna legge ci impone di chiedergli l’identità. Lo stesso vale per il noleggio con conducente". La notizia è stata confermata dal consolato italiano di Monaco di Baviera.

L'accusa - Secondo quanto riportato da Il Gazzettino, questi arresti sarebbero soltanto una piccola parte del problema, poiché molteplici casi analoghi sono stati segnalati nelle ultime settimane lungo il confine meridionale della Germania (anche il consolato italiano conferma l'entità del fenomeno). La vicenda, inoltre, attualizza le accuse piovute a fine agosto dal ministro degli Interni bavarese contro l'Italia, mister Joachim Hermann, che accusava il Belpaese di "non rispettare le regole sui rifugiati". Secondo Hermann, "l'Italia in molti casi intenzionalmente non prende i dati personali o le impronte digitali, il che significa che i rifugiati possono chiedere asilo in un altro Paese, senza tornare in Italia".