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mercoledì 3 settembre 2014

Nome, amicizie, stipendi e precari A Farinetti l'Oscar dell'incoerenza

A Farinetti l'Oscar dell'incoerenza

di Matteo Pandini 


"L’imprenditore che non stabilizza i precari è un bastardo" tuonava pochi mesi fa Natale Oscar Farinetti - chiamato semplicemente Oscar - patron di Eataly e uomo d’affari riferimento della sinistra renziana. Se il suo pupillo toscano deve vedersela con «gufi» e «rosiconi», il buon Farinetti è alle prese con i giornalisti «cattivi» e soprattutto con i dipendenti che non si rassegnano al licenziamento. E che si lamentano per tutto, a partire dalla busta paga leggera. Succede anche a Firenze: i Cobas stanno manifestando fuori da Eataly (aperta da meno di un anno) perché sono evaporati metà dei lavoratori. Erano circa 120, ora sono una sessantina. Cacciati, e «con sole 24 ore di preavviso» stando al comunicato sindacale.

Pensare che nel cuore della Toscana Farinetti aveva cominciato in grande, affidando i lavori a una ditta di Greve in Chianti il cui legale rappresentante è l’imprenditore quarantenne Stefano Carrai, lo stesso che riceveva incarichi dall’allora sindaco Renzi e gli pagava l’affitto di un appartamento in città. A Firenze una ditta del posto, mentre per Eataly Milano (stando alla denuncia della Cisl) il patron ha chiamato un’impresa rumena con capitale sociale da 110 euro e 25 lavoratori edili «di cui 23 operai non specializzati in costruzioni». Situazione ben diversa a quella di Bologna, dove il bando per la costruzione di Fico Eataly World, la nuova cittadella del cibo italiano, è finito alla cordata guidata dal Consorzio cooperative costruzioni (Ccc), braccio destro di Legacoop e che si sta occupando anche del contestato (e indagato) Mose di Venezia. Appalto da 39 milioni.

Farinetti guida un’impresa dove i dipendenti vengono perquisiti alla fine del turno e guadagnano più o meno 800 euro al mese per 40 ore a settimana. Però possono avere mezzo litro d’acqua per turno, da ritirare strisciando il badge alla cassa. Poi ci sono i part time assunti a tempo determinato, magari attraverso le società interinali come successo in Puglia. I sindacati protestano? «Sono medievali!» ringhia il patron. E all’inaugurazione di Eataly Bari aggiunse: «Grazie a noi, dei giovani possono mettere su famiglia». Con 800 euro. Al mese. Una miseria? «Far apparire Eataly come un’azienda che sottopaga i lavoratori è una vigliaccata», perché «un giovane al primo impiego che incassa 1.000 euro costa più di 2.500» si lamentò col Fatto Quotidiano.

Nato il 24 settembre del 1954 ad Alba, tre figli, dal 1980 al 1982 guidò il Psi craxiano in paese. La sua famiglia è sempre stata di sinistra. Il 25 aprile di qualche anno fa decise di chiudere i suoi ristoranti con lo slogan «resistiamo chiusi». Vende un Barolo battezzato Resistenza. E nell’area libri di Eataly è esposto un volume dedicato al padre, Paolo Farinetti, partigiano della XXI Brigata Matteotti. Il 18 giugno 1946 Farinetti senior finì sulla Stampa di Torino. Indicato come membro di una banda di rapinatori che prese di mira un mezzo che trasportava le buste paga dei lavoratori Fiat. Bottino: più o meno due milioni e mezzo di lire. Farinetti senior fu condannato, ma chi ricorda la faccenda fa imbufalire il figlio: «Mio padre è stato un galantuomo e dopo quella condanna è stato assolto per non aver commesso il fatto e riabilitato». Una versione che non ha convinto tutti i giornali.

Di sicuro Farinetti ha la sinistra nel Dna. Lo ribadì una sera del 2004, mentre assaggiava acciughe al ristorante Cà del Re a Verduno, Cuneo, davanti all’allora sindaco di Torino Sergio Chiamparino: «Sono di sinistra e non tiepidamente» ripetè. Fu così che la sua Eataly esordì all’ombra della Mole (primo passo di un’ascesa inarrestabile che l’ha portato anche in America e Giappone), strappando in concessione gratuita i capannoni della Carpano, storica fabbrica di vermouth, che Farinetti avrebbe voluto per 99 anni. Chiamparino gli rispose in dialetto «esageruma nen», non esageriamo, e gli concesse «soli» 60 anni. Fu l’inizio del successo mondiale per Farinetti, che negli anni 70 aveva messo piede nel supermercato di famiglia Unieuro, che poi si fonderà con Trony. A metà degli anni Duemila, il salto nella ristorazione. Prodotti tipici. Eccellenze italiane. E l’adesione allo Slow Food, l’associazione che si contrappone alla diffusione dei fast food valorizzando la buona cucina. Anche per questo sono piovute smentite all’ipotesi che Eataly possa accordarsi con i diavoli di Pizza Hut, catena americana, che stando ad alcune linguacce potrebbe aprire un locale insieme a Farinetti in piazza Duomo. 

Di sicuro, a Milano Oscar (come si fa chiamare dai dipendenti) si siederà alla tavola di Expo: Eataly avrà un ruolo da protagonista con due aree di servizio. Offrirà piatti tipici italiani, e pazienza se i soliti maliziosi raccontano che i fornitori dei suoi ristoranti vengono pagati dopo sei mesi perché devono ottenere la certificazione.

In un’intervista dello scorso gennaio a Libero, l’imprenditore «di sinistra e non tiepidamente» ha ammesso di aver creato delle fiduciarie che servivano per aggirare le leggi americane ma «ora il problema è risolto e le toglieremo». E poi sì, nei primi anni Duemila «ho fatto il condono perché era un’operazione normale. Lo facevano tutti». Pragmatico. Come quando insultò i leghisti «scimmie senza coscienza» e giurò che a Milano, avesse vinto Roberto Maroni le regionali, non avrebbe aperto il suo ristorante in piazza XXV Aprile. Vinse Maroni. Lui ha aperto lo stesso. E si è scusato: «Non vedo l’ora di diventare suo amico e simpatizzante». Farinetti non simpatizza invece per Brunetta, il quale deve accettare gli insulti sulla statura perché «aizza e fa parte del partito dei cattivi».

Farinetti ha un’ossessione per i cattivi, come bolla anche i giornalisti che si occupano di lui anche se «dietro ai miei atti c’è buona fede». Ha accusato Libero di «cercare le cose brutte nei suoi locali» mentre «ci sono mille altri problemi in Italia». Un’inchiesta del Fatto gli è sembrata «un gesto veramente cattivo». E chissà cosa ha pensato del Mattino, quando ha scritto che Renzi aveva incaricato proprio Farinetti di valutare l’ammissibilità di alcuni progetti agroalimentari del «made in Italy». Lui, Oscar, si sbatte per il bene del Paese e sui giornali monta la polemica perché un’azienda campana (leader delle farine per pizza) era stata esclusa da un evento promozionale negli Stati Uniti. Sfortuna ha voluto che la ditta in questione fosse concorrente dello stesso Farinetti, che prima parlò di semplice «refuso» e poi di «una cagata pazzesca». Più volte indicato come papabile ministro o assessore in Piemonte, Farinetti ha sempre negato. Meglio fare l’imprenditore «di sinistra e non tiepidamente», che accetta tutti gli inviti ai dibattiti, che adora Renzi e che non vede l’ora «di fare amicizia» con i cattivi dell’altra parte. Pagando i dipendenti meno di mille euro al mese.

La sconvolgente rivelazione di papà Kyenge: "La mia Cécile e Calderoli sono fratelli"

Papà Kyenge fa la contro-macumba a Calderoli: "Lui e Cecile ora sono fratelli"




Probabilmente una condanna per istigazione all'odio razziale non gliela toglierà nessuno. Ma, almeno, Roberto Calderoli potrà guardare con più fiducia a un roseo futuro. Papà Kyenge, che in Katanga è capovillaggio, ha infatti eseguito la contro-macumba che l'esponente leghista aveva sollecitato nei giorni scorsi. Per l'esponente leghista ed ex ministro, scherzi a parte, quella che si va concludendo è stata una estate a dir poco difficile. "Non sono mai stato superstizioso ma dopo la macumba che mi ha fatto il papà della Kyenge (dopo che Calderoli aveva dato alla figlia dell'orango") mi è capitato di tutto e di più" aveva detto, ricordando i guai degli ultimi mesi: "Sei volte in sala operatoria, due in rianimazione, una in terapia intensiva, è morta mia mamma e nell'ultimo incidente mi sono rotto due vertebre e due dita". Pochi giorni fa l'ultimo episodio inquietante: il rinvenimento di un serpente di due metri trovato in cucina, poi prontamente ucciso. 

Da qui la richiesta a papà Kyenge e la contro- macumba che dovrebbe mettere fine alla storia al confine tra politica e magia nera che ha caratterizzato questa estate. Come documentato dal settimanale "Oggi", Clement Kikoko Kyenge ha effettuato la cerimonia auspicata dall'esponente leghista per invocare quegli stessi spiriti che lo minacciano affinchè lo proteggano. Una vicenda tra la farsa e il paranormale che aveva provocato l'irritazione della stessa Kyenge. ''Ora Calderoli e Cecile sono fratelli spirituali'' ha detto papà Kyenge. "Se Calderoli vuole venire qui accoglieremo anche lui a braccia aperte, come un fratello. L'importante è parlarsi. Attraverso il dialogo i problemi si svuotano".

martedì 2 settembre 2014

Renzi ora chiede altri 3 mesi di tempo ma settembre inizia col record: 300 tasse

I mille giorni di Renzi, invece, partono con 300 tasse


di Antonio Spampinato 





Matteo Renzi si è preso 1.000 giorni di tempo per portare a termine la sua agenda di riforme: si va dal lavoro, allo snellimento della pubblica amministrazione, alla giustizia, al fisco, al ridisegno delle istituzioni. Un’indiretta ammissione sull’impossibilità di fare qualcosa di conclusivo nei primi 122 giorni di governo, bollando, di fatto, le precedenti promesse come irrealizzabili, quantomeno nei tempi programmati al momento del suo insediamento.

«L’Italia cambia. Con calma e il passo giusto arriviamo dappertutto», ha detto. Mettiamoci comodi, dunque, che fretta c’è. A proposito di fisco - e a proposito di riforme - ci permettiamo di segnalare che tra i numeri elencati nel corso della conferenza stampa il premier ne ha dimenticato uno, particolarmente caro a tutti: quello relativo alle scadenze fiscali. E, a questo proposito, settembre è uno di quei mesi da bollino rosso. Tra Irpef, cedolare secca e addizionali varie, il portafoglio si prosciuga, ma soprattutto impazzisce, dovendo stare dietro a un numero spropositato di adempimenti.

Il fisco amico, quello aperto al dialogo con i contribuenti, solo per il mese di settembre ha infatti fissato 371 appuntamenti con le famiglie e le imprese italiane. Di questi, 307 riguardano versamenti veri e propri, 17 sono dichiarazioni, 19 comunicazioni, 3 adempimenti contabili, 18 ravvedimenti e 7 tra richieste, domande e istanze. Non tutte da onorare da tutti, ovviamente.

Quello che però vorremmo mettere in risalto sono le catene che legano i contribuenti al fisco, l’esagerato numero di adempimenti che gli italiani sono costretti a segnarsi in agenda per non finire nel libro nero degli evasori. Persino i commercialisti faticano ad aggiornare i loro database, visti i continui ripensamenti e, purtroppo, aggiunte, che i burocrati sfornano in continuazione, quasi non facessero parte anche loro del tartassato mondo dei contribuenti italiani.

Ieri è stato il giorno della prima scadenza del versamento di Irpef, addizionali e cedolare secca per i contribuenti non titolari di partita Iva che hanno rateizzato il primo acconto 2014. Dei 51 versamenti previsti, 7 riguardavano l’Irpef, 8 le addizionali, 4 la cedolare secca e poi l’Iva (1), imposte di registro (3) e imposte sostitutive (4). Sotto la voce “altro”, ci sono scadenze quali il versamento dell’imposta dovuta sui premi ed accessori incassati nel mese di luglio 2014 nonché gli eventuali conguagli dell’imposta dovuta sui premi ed accessori incassati nel mese di giugno 2014. Martedì 16 sono previste ben 206 scadenze, di cui 205 relative a versamenti: sempre per Irpef, addizionali e cedolare secca, è fissata la scadenza per i contribuenti titolari di partita Iva che hanno rateizzato il primo acconto 2014. Inoltre, per i pensionati, è previsto il versamento della quota del canone Rai.

E si arriva a venerdì 19 con l’invio del modello 770 relativo all’anno 2013. Ma gli adempimenti del mese di settembre si chiuderanno martedì 30 con l’invio del modello Unico 2014 e del modello Irap 2014. Oltre a 51 diversi tipi di versamenti, anche qui suddivisi per tipologia di contribuente. Ma non è finita qui: a settembre si tornerà a parlare anche di Tasi. Mercoledì 10, infatti, i comuni devono approvare e inviare alle Finanze le delibere sulla Tassa sui servizi indivisibili, la nuova imposta comunale istituita dalla legge di stabilità 2014. E martedì 30 i Comuni devono approvare il bilancio di previsione (comprese le aliquote Imu e le tariffe Tari, la tassa sui rifiuti).

Sul sito dell’Agenzia delle entrate, proprio per venire incontro alla necessaria esigenza di trasparenza, il fisco, sempre quello amico, invece di tagliare con l’accetta il numero di scadenze, ha preferito pubblicare un comodo calendario in cui cittadini e imprenditori possono cliccare su decine, centinaia di link per capire in quale modo possono contribuire al risanamento dei conti pubblici e al rilancio del Paese. La suddivisione è fatta per adempimento e per tipologia di contribuente. Il tutto consultabile standosene seduti davanti al computer di casa o dell’ufficio. Comodo no?


Antonio Ingroia, rosso in tutti i sensi: la sua società sommersa dai debiti

Antonio Ingroia, la società che amministra in Sicilia sommersa dai debiti




Non è passato nemmeno un anno dall'insediamento dell'ex pm Antonio Ingroia sulla poltrona di amministratore di Sicilia e-service, la società informatica della Regione guidata da Rosario Crocetta. Ma oggi l'azienda rischia di chiudere. Troppi debiti. L’ex socio privato Sicilia e-Servizi Venture, controllato dalla Engineering Spa, richiede ben 88 milioni di euro per crediti non pagati.

"Qui salta tutto" - All'inizio di agosto il Tribunale di Palermo aveva rigettato una richiesta di sequestro delle somme in questione - che Ingroia aveva definito "temeraria e infondata" - presentata dalla stessa Sicilia e-Servizi Venture. Tuttavia l'ex pm ammette anche che essere costretti a pagare una somma così ingente "potrebbe far saltare tutto, col fine ultimo di aprire di nuovo il mercato agli operatori privati che finora hanno scorrazzato, proprio adesso che la Regione ha finalmente riconosciuto il valore strategico della società d’informatica pubblica".

L'altro guaio - Ma non finisce qui. Dopo circa un anno e mezzo dalla disastrosa esperienza alle elezioni politiche con Rivoluzione Civile e dal trasferimento ad Aosta che lo ha spinto ad abbandonare la magistratura, Antonio Ingroia ha un altro nodo da sciogliere: si tratta del credito di 75 milioni di euro stabilito in un accordo firmato dall'allora governatore regionale Raffaele Lombardo per Regione Sicilia con il socio privato. E come scrive L'Espresso, la priorità di Ingroia è proprio quella di "andare a verificare quell'accordo, controllando se ogni cifra pretesa è regolare".

SILVIO CHIAMA PUTIN In Ucraina venti di guerra mondiale: "Ci saranno migliaia di morti"

Ucraina, il ministro Gheletei: "Si va verso la guerra con la Russia, migliaia di morti". Silvio Berlusconi chiama Vladimir Putin




Il ministro della difesa di Kiev Valeri Gheletei parla di guerra mondiale in un agghiacciante post su Facebook: "In Ucraina è arrivata una grande guerra mai vista dall'Europa dai tempi della seconda guerra mondiale [...] Le perdite si conteranno non nell'ordine di centinaia ma di migliaia e persino di decine di migliaia". Anche il primo ministro polacco Donald Tusk, nominato presidente del Consiglio Ue sabato scorso, ha affermato che in Europa c'è il rischio di una guerra e il campo di battaglia potrebbe non limitarsi alla sola Ucraina. Le dichiarazioni del premier polacco arrivano dopo l'allarme lanciato dalla Lituania, secondo cui "la Russia è in guerra con l'Europa". In altre parole, a Est si va verso il disastro.

Berlusconi telefona a Putin - Come grande amico del presidente russo Vladimir Putin, sulla scena internazionale la figura più indicata per trattare pare allora quella di Silvio Berlusconi. E il Cavaliere si sarebbe già mosso: chi ad Arcore è di casa afferma infatti l'intensificarsi negli ultimi giorni di contatti telefonici con "l'amico Putin". Lui si proporrebbe al premier Matteo Renzi come grande mediatore, nella inscalfibile certezza che la missione si tradurrebbe in un successo. Berlusconi ha definito "drammatica" la situazione nello scacchiere russo, dopo averne parlato con parecchi leader europei. Sulla politica estera sono le sue critiche più severe a Renzi, mentre non sembra aver parlato di Russia con il premier. Il Cavaliere sceglie la parola "attesa" come chiave attorno alla quale far girare il suo ragionamento: ci vuole "calma, non è il momento di mettersi di traverso. Renzi dovrà fare scelte impopolari, lasciamolo fare".

Le mosse di Ue e Nato - La mossa di Berlusconi anticipa il vertice della Nato che si terrà questa settimana. Il summit dovrà essere l'occasione per i leader dell'alleanza per "riflettere assieme su una nuova politica che abbia come obiettivo principale la sicurezza e l'efficacia d'azione della nostra comunità occidentale di fronte alla minaccia d'una guerra, non solamente nell'est dell'Ucraina", ha affermato Tusk. I capi di stato e di governo della Nato dovrebbero adottare nel summit di giovedì e venerdì un piano di reazione (il Readiness action plan, Rap) in risposta alla minaccia russa nella crisi ucraina che sta turbando i paesi della regione, a partire da quelli che affacciano sul Baltico e dalla Polonia. Migliaia di soldati degli eserciti, delle marine e delle aeronatiche dei paesi membri, con l'appoggio delle forze speciali, dovranno avere la capacità di dispiegarsi "in pochi giorni" nella regione. La forza a rapido dispiegamento "necessiterà di installazioni sul territorio dei paesi Nato e di equipaggiamenti pre-posizionati, oltre che esperti in logistica e in comando e controllo. Si tratterà di una forza leggera, ma capace di colpire forte se si rivelerà necessario", ha spiegato il segretario generale della Nato. Rasmussen ha ricordato che i paesi Nato che hanno frontiere condivise con la Russia "sono assai inquieti e ne hanno buone ragioni", ma con l'adozione di questo piano, "saranno assolutamente soddisfatti". Il tutto mentre Tusk evocava il pericolo di un nuovo settembre 1939. "E' di nuovo il momento - ha detto il presidente Ue in pectore - di fermare coloro per i quali la violenza, la forza, l'aggressione sono una volta ancora l'arsenale dell'azione politica". La prospettiva di una "Farnesina azzurra" ad Arcore con a capo Berlusconi non sembrerebbe affatto avventata, se servisse a sventare la sciagura di un conflitto continentale.

lunedì 1 settembre 2014

"Italia paese di m..., mi fate schifo. Pensate agli immigrati, non a papà" Lo sfogo di Giulia, la figlia di Latorre

Marò, ischemia per Massimiliano Latorre. La figlia: "Italia paese di merda"




Massimiliano Latorre, uno dei due marò trattenuti in India da più di due anni, ha avuto nella serata di domenica un malore per il quale è stato ricoverato in ospedale. Si è trattata di una leggera ischemia, ma ora sarebbe cosciente. Subito dopo la notizia del malore, il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, è volata in India per accertarsi delle condizioni del fucilieri. L'ultima mossa di una politica, quella nostrana, che sul caso si è mostrata sempre troppo debole: dopo 26 mesi, Latorre e Salvatore Girone sono ancora là. E contro la politica, a puntare il dito, è la figlia di Latorre, Giulia.

"Italia di m..." - Lo sfogo piove su Facebook, dove Giulia scrive: "Che bella notizia... Mio padre ha l'ischemia. Purtroppo le belle notizie non ci sono mai, solo notizie del c...". Quindi l'accusa: "Ora con questo problema deve restare molto là, mentre voi state a dire sempre le stesse cazzate?", ha aggiunto. Ma le parole più dure sono arrivate in un altro post, successivamente rimosso: "Ma voi Italia di merda fateli stare lì un altro po'. Vi preoccupate di portare qui gli immigrati che bucano le ruote perché vogliono soldi e non vi preoccupate dei vostri fratelli che combattono per voi, e alcuni perdono la vita. Complimenti Italia, ci state portando alla morte per tante cose!"". "E ancora, Italia mi fai schifo". Un durissimo sfogo di pancia, quello di una figlia che non può più riabbracciare il proprio padre.

Reagisce alle cure - Nel frattempo, da quello che si è appreso, Latorre ha reagito bene alle prime cure dei medici del reparto di neurologia dell'ospedale di New Delhi, dove è stato ricoverato. Sul caso si è espressa anche Federica Mogherini, la nuova Lady Pesc, Alto rappresentate per la politica estera della Ue: "Riportare i marò in Italia - ha spiegato - rimane una delle priorità del governo italiano". E ancora: "Appena informata del malore che ha colpito Massimiliano Latorre ho contattato la compagna, Paola Moschetti, per esprimerle la vicinanza sua e del governo".

Pansa contro le "scenette" di Renzi Con gli islamici alle nostre porte andiamo alla terza guerra mondiale sotto la guida del gelataio Matteo...

Giampaolo Pansa: Andiamo alla guerra guidati da un gelataio




Immaginate di essere un turista straniero capitato a Roma in un pomeriggio qualsiasi, per esempio quello di venerdì 29 agosto 2014. Non sapete nulla del nostro paese, anche se qualche italiano brontolone vi ha spiegato che siamo in crisi nera. Voi vi domandate: sarà vero o no? Poi arrivate sulla piazza davanti a Palazzo Chigi e che cosa vedete? Un premier che ha convocato il carrettino di un gelataio rinomato, ha ordinato un grande cono di crema e limone e se lo mangia con soddisfazione golosa. Al tempo stesso si rivolge a una troupe televisiva e mette in scena il suo solito show: risate, battute, piroette. Con la faccia di sempre: un ganassa paffuto con i dentoni da latte all’infuori.

Si è comportato così Matteo Renzi, nel pomeriggio di venerdì. Siamo davvero in un clima da Bestiario. L’Italia rischia la deflazione, un pericolo peggiore dell’inflazione. Il capo degli industriali, Giorgio Squinzi, ripete per l’ennesima volta che la situazione è drammatica. E lo sconsiderato ragazzone fiorentino brandisce il gelato per rimproverare a un settimanale inglese, l’Economist, di averlo sfottuto con una vignetta in copertina. Per di più, lo fa gloriandosi della trovata di entrare a Palazzo Chigi leccando il suo cono.

Viene inevitabile chiedersi: ma Renzi lo è o ci fa? L’unica risposta che riesco a darmi è la seguente: sono bastati appena sei mesi e mezzo di governo per obbligare anche gli analisti più imparziali a domandarsi se lui sia il premier giusto per un’Italia alle prese con una condizione mai sperimentata prima, salvo l’epoca terribile delle Brigate rosse. Purtroppo per Renzi, e soprattutto per noi, si consolida il sospetto che sia “unfit”, inadatto all’incarico, come i perfidi inglesi avevano sentenziato per Silvio Berlusconi.

Perché “unfit”? Perché è un parolaio e non uno statista o almeno un normale uomo di governo. Perché sparacchia a tutta forza una serie infinita di programmi che non riuscirebbe a realizzare neppure in dieci anni di Palazzo Chigi. Perché continua a fingere che le emergenze difficili da affrontare non esistano. Un caso esemplare è lo sbarco inarrestabile dei clandestini in arrivo dall’Africa del nord. Renzi ha chiuso gli occhi su quanto avveniva dapprima in Sicilia e adesso nel resto del Mezzogiorno. Oggi non sa più da che parte voltarsi. E spera in un aiuto dall’Europa che quasi di certo non arriverà nella misura necessaria.

Ma in questa fine dell’estate 2014, Renzi si trova alle prese con un’altra emergenza ben più drammatica. È quella della Terza Guerra mondiale, evocata da Papa Francesco e combattuta in più di un territorio. I fronti rischiosi per l’Italia sono tre. La Libia, il paese di fronte a noi, sull’altro lato del Mediterraneo, che le milizie islamiste stanno conquistando. L’Ucraina, con la Russia di Putin che è pronta ad annetterla e minaccia l’Occidente, noi compresi, di non fornirci più il gas. E infine la polveriera tra l’Iraq e la Siria, un’area diventata la testa di ponte del Califfato islamico, un impero di orrori consumati all’ombra della sua bandiera nera.

A proposito di questo cancro da estirpare (Obama dixit), continuiamo a parlare di terrorismo, usando una parola insufficiente a spiegare quanto stia accadendo. Ci avvisa dell’errore un politico che stimo da molti anni: Marco Minniti, con una lunga esperienza nei governi D’Alema, Amato e Prodi. Oggi è uno dei sottosegretari di Renzi, con la delega ai servizi di sicurezza. In un’intervista a Daniele Mastrogiacomo, un nostro collega rapito nel 2007 in Afghanistan dai talebani, ci ha spiegato con chiarezza che cosa sia già oggi il Califfato islamico.

Siamo di fronte, dice Minniti, a una minaccia senza precedenti, per due motivi. Il primo è che dobbiamo opporci a un vero esercito con armi tradizionali, impegnato in una guerra simmetrica contro altri Stati. Ma anche in grado di condurre una guerra asimmetrica, con azioni di terrorismo difficili da contrastare. «Dovremo fare i conti con questi combattenti almeno per dieci anni» è la raggelante previsione di Minniti.

Il perché è chiaro. L’Isis, ossia l’Organizzazione dello Stato Islamico, sta dimostrando di saper costruire uno Stato. Amministra un territorio molto vasto. Controlla una quindicina di pozzi petroliferi e i relativi impianti. Grazie al petrolio incassa ogni giorno due milioni di dollari. Ma il denaro non gli manca. Quando i soldati del Califfo sono entrati nella città irachena di Mosul hanno svuotato i caveau delle banche, dove c’erano cinquecento milioni di dollari in contanti.

Ecco un esempio di capitalismo arcaico e feroce. Fondato su una fanatismo religioso che lo rende ancora più brutale. Le altre religioni e i civili che le praticano sono da distruggere. Non c’è pietà per i prigionieri catturati in combattimento. La loro sorte è la decapitazione o la crocifissione. Le donne vengono rapite e poi vendute ai bordelli del Medio Oriente.

L’Occidente non sa decidere quale strategia usare per opporsi all’avanzata del Califfato. Si discute se sia conveniente un’alleanza militare temporanea con il dittatore siriano Bashar Assad, che guida un regime sanguinario, responsabile di un’infinità di nefandezze. Il Bestiario non è in grado di affrontare problemi strategici di questa portata. Tuttavia vuole ricordare un precedente storico.

Quando si trattò di fermare e sconfiggere le armate di Hitler che voleva estendere all’intera Europa il dominio del nazismo, che cosa fecero due grandi democrazie come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti? Si allearono con Stalin, un tiranno comunista che aveva creato una dittatura bestiale, con milioni di fucilati o di uccisi nei gulag sovietici, responsabile di carestie e di orrori politici con un’infinità di morti. Ma senza l’Unione sovietica di Stalin, forse Hitler non sarebbe stato battuto e la storia dell’Europa, non avrebbe cambiato verso, per usare uno dei motti sbandierati da Renzi a proposito della nostra repubblica.

In questo scenario apocalittico, che rischia di irrompere nelle nostre vite con qualche sanguinosa operazione terroristica, un nuovo 11 settembre, l’Italia conta come il due di picche. Sotto questo aspetto il premier Renzi è davvero un personaggio patetico, che la questione del gelato sta mutando in una macchietta. Il presidente del Consiglio ha un solo interesse: allargare di continuo il proprio cerchio magico e collocare nei posti più delicati i suoi amici. 

Volete una previsione? Prima o poi si sbarazzerà del ministro dell’Economia, il tecnico Pier Carlo Padoan, che mostra già una faccia stravolta dalla fatica di rincorrere tutte le spese progettate da Renzi senza curarsi delle coperture adeguate. Poi farà a meno di Graziano Delrio, un flemmatico privo del fisico da velocista che Matteo ama. E ora che ha collocato in Europa, in un incarico da nulla, la sua Federica Mogherini, dovrà decidere a chi affidare il ministero degli Esteri, una posizione molto delicata in quest’epoca connotata da un groviglio di guerre.

Il male minore sarebbe Lapo Pistelli, il vice ministro di oggi. Un amico di Renzi, poi suo avversario nelle primarie per il sindaco di Firenze, vinte da Matteo. Ma non è escluso che il premier si tenga l’interim degli Esteri. L’appetito vien mangiando. E infatti Renzi ingrassa a vista d’occhio. Stia attento ai gelati e alla voglia di potere personale. Prima o poi lo fregheranno.