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giovedì 1 giugno 2017

Caivano (Na): ESCLUSIVA il Notiziario sul web Antonio Angelino PD: "Il Teatro dell'assurdo è..."

Angelino PD: "Si torni al voto prima che sia troppo tardi"


di Antonio Angelino


Antonio Angelino
Segretario PD


Il teatro dell'assurdo, dopo due anni di amministrazione Monopoli, è ancora in scena a Caivano. Infatti dopo il dissesto finanziario, la revoca della mensa pubblica nelle scuole dell'obbligo, la mancanza dei riscaldamenti nelle aule, i tagli alle politiche sociali, la mortificazione dei dipendenti e dei funzionari comunali, la chiusura del campo sportivo e il mancato affidamento del teatro "Caivano Arte", pensavamo di poter godere di un periodo di tregua e contestualmente iniziare finalmente ad avere una visione della città, tesa all'individuazione delle migliori opportunità di crescita e sviluppo. Purtroppo ci sbagliavamo! 

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Infatti a gravare ancora di più sullo stato di salute del nostro paese si è messa anche la questione ambientale e il degrado assoluto che ne è derivato. Dopo due anni di annunci e spot elettorali sulla "gara europea per il servizio di igiene urbana" da parte del sindaco, che ha riempito i giornali, i social e il paese attraverso gigantografie ad ogni angolo di strada, il contratto tra la ditta risultata vincitrice della gara e l'Ente non è stato ancora firmato. 

Qualcuno direbbe, la situazione è grave ma non seria, io invece al netto dell'ironia vorrei capire cosa impedisce la conclusione dell'Iter di gara, anche perché stando alla determina n° 188 del 2/3/2017, che prevede l'aggiudicazione definitiva sotto riserva di legge, il termine di 60gg previsto per la firma del contratto è ampiamente scaduto. Come opposizione consiliare abbiamo richiesto addirittura un consiglio comunale ad hoc sul tema, ed abbiamo posto tutti gli interrogativi del caso al sindaco che come suo solito farfugliando parole senza senso, ha scaricato le responsabilità sui funzionari del comune, facendo cadere la credibilità della classe politica Caivanese sempre più in basso. Tanto è vero che il leit motiv "firma si, firma no" ha reso il nostro paese zimbello dell'intera area a nord di napoli. 

In questo quadro già disastrato, si è inoltre aperta una crisi politica interna alla maggioranza. Infatti un gruppo consiliare consistente, ben 4 consiglieri comunali, ha chiesto al sindaco di tornare alla giunta politica licenziando come insufficiente l'apporto dato dai cosiddetti "professionisti d'alto profilo della giunta tecnica". 

Il sindaco del paradosso ovviamente, dimenticandosi di tutte le motivazioni addotte al tempo della scelta dei tecnici in giunta, che mortificò i professionisti caivanesi impegnati fino a quel momento, si è detto disponibile a dare rappresentanza ai partiti venendo meno a tutto ciò che aveva sostenuto, con il solo obiettivo di salvaguardare la poltrona da sindaco. 

Una brutta storia ed una lenta agonia che ha destinato alle macerie e al degrado assoluto Caivano e i Caivanesi.

UN RISVEGLIO AMARO Doping-Magnini, brutta storia Viene pedinato e intercettato, e poi con il dottore "sporco"...

Magnini, il pm: "Ha ricevuto sostanze dopanti". Ma per il gip non ci sono le prove



Una brutta storia in cui si trova invischiato Filippo Magnini. Una storia sbattuta in prima pagina da Il Giorno. Si parla di doping. E si scopre che Magnini è stato intercettato, pedinato, anche al casello autostradale. Perché? Era il presunto destinatario di prodotti dopanti. Anche se, sia chiaro, non c'è prova che li abbia utilizzati. Per certo, erano destinate a lui anche sostanze provenienti dalla Cina, nel giugno 2016, con principio attivo la pralmorelina, ormone della crescita, "sostanza anzidetta procurata per l'atleta Magnini Filippo che aveva in corso la preparazione per le gare olimpiche nell'anno 2016", si legge nelle carte dalla procura di Pesaro. E ancora, già a gennaio 2016 "erano destinate a lui fiale di Hygetropin, non ormone della crescita ma sostanza pericolosa per la salute". Tutta la merce è stata sequestrata negli ambulatori, alle Poste e all'aeroporto di Malpensa.

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Tutto nasce da un'inchiesta su un traffico di sostanze dopanti trovate nel marzo 2015 in un centro fisioterapico chiamato "Fisioradi", un'inchiesta nella quale Magnini ci è finito per caso. I pm Monica Garulli e Valeria Cigliola hanno ricostruito con intercettazioni telefoniche e ambientali la rete di amicizie e frequentazioni che aveva il titolare del centro, arrivando fino al medico nutrizionista di Magnini, il dottor Guido Porcellini, da anni nello staff del compagno di Federica Pellegrini. Porcellini fu già condannato nel 2015 per traffico di cocaina a 3 anni e otto mesi di reclusione.

Ma non è tutto. Nel novembre 2015 Magnini presenta al dottore il suo amico e collega nuotatore, Michele Santucci, il quale chiede a Porcellini di procurargli dei "funghi". Successivamente, Magnini si preoccupa di chiarire col dottore che "parlava di funghi ma non erano i funghi". Dunque il medico fornisce i dati bancari per un versamento su postepay. A questo punto la procura di Pesaro chiede una misura interdittiva nel maggio 2015 per Porcellini e il fidato Antonio Maria De Grandis, dirigente di rugby. Il gip Giacomo Gasperini, però, la rigetta poiché "le ricostruzioni della pubblica accusa sono significativamente messe in dubbio dai risultati degli esami affidati ai tossicologi e dal fatto che negli altri casi non si hanno a disposizione i prodotti ma solo un enorme materiale intercettivo di non agevole e univoca interpretazione".

E ancora, il gip mette in chiaro che le sostanze al centro dell'inchiesta "non contenevano la molecola della somatropina". Infine, sottolinea che "considerando poi che gli stessi inquirenti danno atto di come i rapporti tra Porcellini e Magnini sono legati a ragioni professionali viene meno la chiave interpretativa funzionale alla impostazione accusatoria (ad esempio come inquadrare in chiave di illeceità la espresssione con quelle lì mettiamo a posto Filo che usa Porcellini con De Grandis?").

L'inchiesta, conclude Il Giorno, è stata conclusa qualche settimane fa con la richiesta di rinvio a giudizio di Porcellini e De Grandis per commercio di prodotti dopanti, falso, ricettazione e somministrazione di medicinali guasti. Magnini, come destinatario di sostanze dopanti, non ha commesso reati: sarà al massimo testimone dell'accusa. Difficile, però, che continui ad essere testimonial di "I doping free", che si batte contro il doping.

Voce atomica dalla procura "Rischia davvero la galera" Fini-choc: ecco quanti anni

Gianfranco Fini rischia 12 anni di galera


di Cristina Lodi



Il cognato fuggito a Dubai, e dichiarato «irreperibile», ha un mandato di cattura puntato sopra la testa per un affare criminoso di cui Gianfranco Fini sarebbe considerato «l’ideatore». Il «socio» dell’ex presidente della Camera, per questa storia di riciclaggio internazionale, aspetta di essere estradato dall’isola dei Caraibi dov’èstato arrestato il 13 dicembre scorso. Lui (Gianfranco Fini), dunque, trema.

E ha tutto il diritto di avere una fifa blu. Se è vero, come scrive la giudice delle indagini preliminari (firmataria dei suddetti provvedimenti cautelari), che l’ex terza carica dello Stato «è la sola e vera ragione dei rapporti illeciti» con l’imprenditore delle slot machine, Francesco Corallo. E ancora, Gianfranco Fini per il magistrato «è l’uomo che introduce la famiglia Tulliani» e il cognato ricercato «nel disegno criminale». Usandoli addirittura come «prestanome», dopo avere stretto la relazione sentimentale con l’attuale compagna Elisabetta.

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La tesi del gip Simonetta D’Alessandro, nell’ordinare il sequestro di 934 mila euro (depositati in due polizze intestate alle figlie di Fini), è in sostanza questa. E attribuisce proprio all’ex capo di Alleanza nazionale, nonché ex presidente della Camera, già vicepremier e ministro degli Esteri nel governo Berlusconi, la «centralità progettuale e decisionale» in tutta la vicenda del riciclaggio dei soldi sottratti all’erario (e al contribuente) mediante il business del gioco d’azzardo legalizzato gestito dall’imprenditore Corallo. E sempre Fini sarebbe l’artefice dell’affaire dell’appartamento di Montecarlo che fu della contessa Colleoni. Insomma, l’ex leader di An, per l’accusa, è il motore (non proprio immobile) intorno al quale avrebbe ruotato tutto il resto.

Con i parenti che, come scrive il gip, «si sono resi protagonisti seriali di numerosi episodi di riciclaggio, consumati in un lungo periodo che va dal 2008 e al 2015». Mentre il «legame» tra Fini e Francesco Corallo è «già cominciato nel 2004» come dichiara (senza essere smentito) l’ex parlamentare Amedeo Laboccetta (finiano passato nelle fila di Silvio Berlusconi quando ci fu la rottura). Gianfranco, a ragione, trema. E teme la galera.

NIENTE FUGA
Egli, a differenza del cognato Giancarlo, non è fuggito all’indomani dell’arresto di Corallo e delle perquisizioni ordinate dalla procura di Roma. Il gip D’Alessandro lo scrive chiaro nell’ordinanza: «Due giorni dopo la perquisizione avvenuta il 13 dicembre 2016 nel suo appartamento romano, GiancarloTulliani vola a Dubai. Contestualmente cerca di trasferire negli Emirati Arabi 520 mila euro depositati su un conto corrente del Monte dei Paschi». Come non bastasse, gli uomini dello lo Scico, nella perquisizione del 14 febbraio scoprono che la sua villa è stata abbandonata in fretta: i letti disfatti, la cassaforte svuotata, un sacco nero con fogli di carta triturati e al centro un fiocco verde a simboleggiare lo scherno per la stessa Finanza. Gianfranco Fini invece non è scappato. E non ha cercato, l’ex presidente della Camera considerato il «dominus», di movimentare il denaro considerato illecito e proveniente dal riciclaggio.

È rimasto a Roma con la compagna (coindagata) Elisabetta. E (proprio da dicembre 2016) si è limitato a interrompere i versamenti (non ha messo un centesimo in più) sulle due polizze assicurative (da 467 mila euro cadauna) intestate alle figliole e ora blindate dalla Guardia di Finanza.

Adesso gli inquirenti romani sono a caccia del gruzzolo («almeno 7 milioni di euro») che la famiglia Tulliani («per il tramite di Fini») avrebbe illecitamente intascato da Corallo e riciclato. E dopo averne sequestrati 5 (in beni mobili e immobili) a Giancarlo, Sergio (il suocero) e Elisabetta, sono passati a Fini e alle polizze assicurative, non avendo egli alcun bene intestato.

L’ACCUSATORE
Amedeo Labocceta resta il suo principale accusatore. Questi, arrestato (e scarcerato) per associazione a delinquere e riciclaggio, viene ritenuto credibile dai pm. Anzi, proprio grazie a questo testimone, gli inquirenti arrivano a ricostruire gli intrecci definiti «inquietanti» e «l’alleanza tra Corallo e Fini». Alleanza da cui l’imprenditore napoletano delle slot machine «ricava agevolazioni legislative e guadagni ultramilionari». Introiti per i quali Fini avrebbe chiesto e ottenuto il tornaconto. Gianfranco querela Amedeo Laboccetta, si fa interrogare dal pm ma non riesce a demolire la versione accusatoria del testimone.

I gravi indizi, a carico di Gianfranco Fini, dunque ci sarebbero. Ed egli ha motivo di preoccuparsi di finire in cella. Certo al momento, forse, mancano le esigenze cautelari. Oltre a non essere fuggito a Dubai, Gianfranco, non avrebbe di recente cercato di nascondere denaro. Così almeno sembra.

Può però inquinare le prove? Di fatto Fini indagato per riciclaggio, convive e parla con i familiari (cioè la moglie e il suocero) finiti sotto accusa insieme con lui per lo stesso reato. E se quindi si mettessero d’accordo sulla versione da dare ai magistrati? Nessuno può escluderlo. Interpellato al telefono dal Corriere della Sera, l’ex terza carica dello Stato, ha detto alla cronista che i soldi sono stati sequestrati alle sue figlie «sulla base dell’incapienza del patrimonio che doveva essere oggetto di sequestro nei confronti di Giancarlo Tulliani». E ha commentato: «Oltre al danno anche la beffa». Chissà, forse gli converrebbe dire una volta per tutte come sono andate le cose. Anche perché per il reato di cui è accusato rischia dai quattro ai dodici anni di carcere (articolo 648 bis del codice penale).

Retroscena-bomba: "La Boschi? Ha già deciso tutto" La scelta "kamikaze": che cosa farà dopo le elezioni

Maria Elena Boschi, il retroscena: mira alla presidenza della Camera



Dopo il lungo periodo lontano da riflettori e ribalta che ha seguito il referendum del 4 dicembre, Maria Elena Boschi è tornata prepotentemente al centro della scena politica. Non per la nomina, discussa, a sottosegretario alla presidenza del Consiglio, che risale ormai a un'era geologica fa. Si parla degli avvenimenti delle ultimissime settimane, partendo dal polverone sollevato da Ferruccio De Bortoli sul caso Etruria-Unicredit fino ad arrivare al G7 di Taormina, dove ha tenuto banco e dove si è ritagliata un ruolo di primissimo piano.

LA “CITTADELLA DELLA PACE”

A La Spezia, seguendo le parole di Papa Francesco, è nato un rifugio per chi fugge dalla guerra.



La Boschi la abbiamo vista un po' ovunque, in questi giorni: con Justin Trudeau e con Shinzo Abe, con cui si è scattata un selfie, soltanto per citarne due. Un ritorno a tutto tondo che infastidisce qualcuno a Palazzo Chigi: pensavano che Maria Elena fosse sparita, affondata. Ma sbagliavano (e il suo potere nelle sacre stanze romane non è affatto diminuito). E ancora, tutti hanno ben chiare in mente le immagini della Boschi che riceve Ivanka Trump e consorte. Ma dietro all'attivismo frenetico dell'ex ministra ci sarebbe, secondo Il Fatto Quotidiano, un obiettivo ben preciso: la presidenza della Camera.

Sarebbe questo l'obiettivo di Maria Elena, ammesso che dopo le elezioni, in Parlamento, ci siano le condizioni che possano favorire simile ascesa. Il suo modello sarebbe Nilde Iotti, la prima donna presidente della Camera. Modello "di successo", quello della Iotti, almeno rispetto ai suoi successori. Già, perché la Boschi forse non ha considerato quanto lo scranno più alto di Montecitorio porti sventura politica. Si pensi a che fine hanno fatto, nell'ordine, Irene Pivetti, Pier Ferdinando Casini, Fausto Bertinotti, Gianfranco Fini e, a breve, che fine farà Laura Boldrini (la cui popolarità è a livelli infimi). Dopo quella di ministro e quella di sottosegretario, la Boschi conquisterà anche la poltrona di "presidenta" della Camera? La sfida è appena iniziata.

INDAGINE GFK EURISKO Animali domestici e da allevamento Prevenzione, due pesi e due misure

Animali domestici e da allevamento Prevenzione, due pesi e due misure


di Eugenia Sermonti



L’affezione verso gli animali sembra essere inversamente proporzionale alla cura che riserviamo loro. Lo conferma una ricerca GfK Eurisko - ‘Human&Animal Health: prevenzione e benessere per l’animale e per l’uomo’ - presentata da Isabella Cecchini alla Fondazione Feltrinelli, che ha stretto l’obiettivo sulla salute e sulla prevenzione in campo veterinario da parte degli italiani. L’indagine, commissionata da MSD Animal Health, l’azienda leader mondiale nella ricerca, sviluppo e distribuzione di una vasta gamma di prodotti e soluzioni dedicati alla prevenzione, trattamento e controllo della salute animale, è stata condotta in Italia su un campione di 1.000 persone over 18. Se infatti è vero che in Italia il 34 per cento della popolazione adulta (pari a 7.700.000 famiglie) possiede un animale domestico, solamente il 46 per cento dichiara di ‘far vaccinare regolarmente il proprio pet’ e ben il 17 per cento ‘non sottopone il proprio animale da compagnia ad alcun tipo di profilassi’. Tutto questo nonostante cane o gatto vivano esattamente come ‘uno di famiglia’: nel 54 per cento dei casi la casa è l’habitat consueto degli animali da compagnia che trascorrono oltre la metà del proprio tempo tra letto e divano, nel caso dei felini, e circa un quarto se parliamo di cani.

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“Il cambiamento è stato epocale - sottolinea Marco Melosi, presidente dell’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani (Anmvi) - Il trend di cani e gatti ‘in-door’ è sempre più un’abitudine anche nelle aree rurali del nostro Paese. Se pensiamo a come i mutamenti climatici hanno influito sulla diffusione di parassiti e vettori, allora è sicuramente positiva la riduzione dell’esposizione del pet alla vita esterna, specie di notte. Ma in casa, qualche volta, la condivisione sconfina e tende a eccedere: tutto questo non è sempre segno di buon accudimento”. Questo perché gli italiani ritengono che la salute dei propri animali da compagnia sia essenziale solamente per il benessere dell’animale stesso (31 per cento) e non per motivi legati ‘al bene di tutta la famiglia’. Non sono in molti, infatti, quelli che hanno la buona abitudine di pulire le zampe al cane (44 per cento) o al gatto (17 per cento) dopo la passeggiata o una scorrazzata sui tetti e ancora meno si preoccupano di controllare il pelo (26 per cento cane, 15 per cento gatto). “L’atteggiamento più sbagliato e foriero di conseguenze sanitarie per tutto il nucleo familiare - specifica Melosi - è quello di chi investe l’animale da compagnia di un ruolo strumentale al soddisfacimento di bisogni e aspettative ‘umane’. Anche un’eccessiva idealizzazione zoofila può perdere di vista l’animale stesso”. Secondo l’indagine, comunque, il trend non potrà che essere di miglioramento, considerato che ben il 61 per cento del campione dichiara di fidarsi in primis del consiglio del proprio veterinario.

La faccenda cambia del tutto quando parliamo di animali da allevamento. In questo settore gli italiani ritengono nel 48 per cento dei casi che ‘se l’animale sta bene, è più sano anche l’uomo che ne utilizza il prodotto’. Il 97 per cento del campione intervistato dichiara inoltre che ‘quando si parla di animali da allevamento, la prevenzione è davvero importante’. Controlli regolari, alimentazione sana, ambiente curato: aspetti che per gli italiani sono imprescindibili. Cosi come imprescindibile è che i prodotti di origine animale siano ‘made in Italy’: il 69 per cento non acquisterebbe mai carni non italiane e l’80 per cento lavorate fuori dai nostri confini. La grande paura rimane l’uso degli antibiotici, temuta dal 36 per cento degli italiani: “Gli antibiotici hanno permesso, dal dopoguerra in poi, di mantenere un buono stato di salute degli animali, contenere i costi di produzione e rendere accessibili le proteine di origine animale a tutte le classi sociali - sottolinea Roberto Villa, ordinario di Farmacologia e Tossicologia Veterinaria presso l’Università degli Studi di Milano - negli allevamenti non si può evitare di somministrare del tutto gli antibiotici. Si può però limitarne le prescrizioni a situazioni mirate e utilizzarli in maniera appropriata”. E specifica ancora: “tuttavia la prevenzione rimane il punto essenziale, in grado non solo di garantire il benessere all’animale, ma anche - e di conseguenza - delle persone e di tutto l’ecosistema”.

L’industria in questo senso gioca un ruolo fondamentale. “La nostra missione è quella di mettere la scienza al servizio degli animali per garantire la loro salute - dice Paolo Sani, Amministratore Delegato di MSD Animal Health - Se pensiamo a MSD Animal Health, le parole chiave sono: ricerca, innovazione e prevenzione. L’attenzione allo sviluppo di prodotti innovativi ci ha permesso di creare un portfolio di oltre 250 prodotti, di cui il 72 per cento è focalizzato sulla prevenzione, disponibili su oltre 150 mercati in 50 Paesi in tutto il mondo”. “Il nostro nuovo posizionamento è La nostra ricerca, la salute di tutti - continua Paolo Sani - Un animale non curato non solo non vive in una condizione di benessere ma ha un impatto negativo sul benessere del proprietario stesso e sull’ambiente circostante. Di contro, un animale ben accudito riduce notevolmente il rischio di diffusione di malattie, rende appagato il proprietario e diventa parte integrante di un ecosistema in salute”. 

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Fini e Tulliani, altra storiaccia Presente questa Ferrari? Chi l'ha pagata veramente

Tulliani, l'indiscrezione: "Si è fatto pagare anche la Ferrari"



Giancarlo Tulliani è stato visto più volte mentre guidava la sua Ferrari per Montecarlo, località presso la quale ha la residenza. Secondo il Tempo la Procura di Roma, dopo una serie di indagini dovute al fatto che Tulliani si dichiara nullatenente, ha verificato in che modo abbia comprato la sua F458. La risposta? Con i soldi dell'imprenditore catanese Francesco Corallo. Corallo è stato accusato di essere a capo di un'associazione a delinquere finalizzata al peculato a livello internazionale, al riciclaggio e alla sottrazione fraudolenta del pagamento delle imposte. Persino l'ottenimento della residenza a Montecarlo era stata opera dell'imprenditore, il quale gli aveva procurato al cognato di Gianfranco Fini la liquidità per acquistare un appartamento.

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