Quando
Kim Jong-un ha paura, rischia di diventare ancora più imprevedibile e irrazionale. E ora, di paura, ne ha tanta. L'accelerazione di
Donald Trump, che ha inviato la portaerei Vinson al largo della
Corea del Nord con il suo gruppo d'attacco, potrebbe essere interpretata dal regime di
Pyongyang non come una mossa di "deterrenza", ma come una vera e propria dichiarazione di ostilità. D'altronde, il confine è molto labile e il dittatore Kim da mesi sembra cercare il pretesto giusto per sfoderare le sue armi, con conseguenze devastanti.
Come ricorda il
Corriere della Sera, Pyongyang dice di aspettare gli americani al varco, "perché noi abbiamo poderosi muscoli militari con una
forza nucleare al centro". Almeno
20 ordigni nucleari (con un nuovo test previsto tra il 15 e il 25 aprile), più missili a corto e medio raggio, cannoni e lanciarazzi schierati sul 38° Parallelo puntati contro la
Corea del Sud e il
Giappone. La capitale del Sud,
Seoul, dista appena 50 chilometri e Kim ha puntato contro i suoi
20 milioni di abitanti circa
10mila pezzi d'artiglieria e lanciarazzi. Se ogni cannonata, sottolinea il
Corriere, "portasse 20 libbre di esplosivo ad alto potenziale (9 chili circa), con una cadenza di cinque colpi al minuto per pezzo, su Seoul pioverebbero
1.000 tonnellate di esplosivo ogni 60 secondi". Risultato: in un quarto d'ora si arriverebbe all'equivalente della
bomba di Hiroshima, senza radiazioni nucleari ma magari con gas chimico.
Per il regime sarebbe la fine, con reazione internazionale immediata e terrificante, ma il mondo entrerebbe in una nuova fase. Anche perché, come ricordava Lucio Caracciolo sull'Espresso, il vero obiettivo di un Kim sempre più disperato non sarebbero più i Paesi vicini, ma direttamente la California, con mezzi tecnologici che tra qualche mese potrebbero veicolare le testate nucleari sulla costa americana e polverizzare
Los Angeles e
San Francisco. Scenari da
The Day After e Guerra fredda, ma sempre meno fanta-politica. Anche per questo, forse, Trump ha scelto di agire subito.