Dolore cronico per metà delle donne mentre ne soffre solo un uomo su tre
di Eugenia Sermonti
Ormai è un dato di fatto e anche la scienza lo conferma: nel dolore non esiste ‘par condicio’; le donne soffrono più frequentemente degli uomini, per periodi più lunghi e con una maggiore intensità. A questa particolare predisposizione, però, non sempre corrisponde un’attenzione adeguata da parte di medici e opinione pubblica. Le differenti basi biologiche tra i due sessi, inoltre, determinano una diversa risposta ai farmaci, non soltanto in termini di efficacia ma anche di potenziali eventi avversi, ai quali le donne sarebbero più esposte. Per questo motivo, è fondamentale identificare le terapie analgesiche meglio tollerate dall’organismo femminile, che possano essere impiegate con sicurezza in tutto l’arco della vita. Se ne è parlato oggi a Milano, nell’ambito della campagna di sensibilizzazione sul dolore ‘NienteMale’, a un mese esatto dalla 2a Giornata Nazionale della Salute della Donna, indetta dal Ministro Beatrice Lorenzin per il prossimo 22 aprile, proprio con l’obiettivo di fare luce sulle problematiche di salute femminili e le specificità di genere.
Un’indagine svolta su oltre 85 mila adulti in 17 Paesi di tutto il mondo ha evidenziato come una sintomatologia dolorosa cronica di qualsiasi tipo affligga il 45 per cento delle donne, rispetto al 31,4 per cento degli uomini, associandosi nell’8 per cento dei casi a depressione. Un altro studio, condotto dalla Standford University su 11 mila persone, ha mostrato che, in situazioni cliniche sovrapponibili, le femmine soffrirebbero il 20 per cento in più dei maschi. Ma quali sono le sindromi algiche più diffuse nel gentil sesso? Alcune sono del tutto specifiche, come la dismenorrea (che, secondo la IASP, colpirebbe fino al 90 per cento delle adolescenti e oltre il 50 per cento delle donne adulte), o il dolore pelvico cronico. Altre si manifestano con più frequenza, rispetto al sesso maschile: l’emicrania, ad esempio (3 volte più ricorrente), la cefalea tensiva cronica (4 volte di più), l’artrosi (3 volte di più, in menopausa), la fibromialgia (6 volte più diffusa), in generale i dolori muscolo-scheletrici (dal 35 al 59 per cento dei casi, contro il 23-49 per cento degli uomini), come la lombalgia. All’origine di questa maggiore vulnerabilità, vi sono differenze a livello genetico, ormonale e anatomico, ma anche fattori psico-sociali. In particolare, gli estrogeni influiscono sul Sistema Nervoso Centrale, rendendolo più reattivo agli stimoli algici.
“Le donne hanno più sindromi dolorose e più malattie che causano loro sofferenza - spiega Alessandra Graziottin, direttore del Centro di Ginecologia presso l’Ospedale San Raffaele Resnati di Milano e Presidente Fondazione Graziottin per la cura del dolore nella donna onlus - Sembra inoltre che riconoscano il problema dolore più precocemente, per una sorta di meccanismo autoprotettivo. Ciononostante, ricevono molta meno attenzione diagnostica e terapeutica, ritrovandosi così costrette a soffrire di più e più a lungo, con l’avanzare dell’età. Dopo la pubertà, malattie infiammatorie e autoimmuni raddoppiano o addirittura triplicano nel sesso femminile, per l’effetto degli ormoni sessuali sulle cellule che regolano le difese immunitarie; in particolare, la fluttuazione degli estrogeni, nel corso del ciclo mestruale, stimola la liberazione di sostanze infiammatorie nei tessuti, con aumento dell’infiammazione e del dolore ad essa correlato. Quanto più la sofferenza persiste, tanto più aumentano i cambiamenti nel Sistema Nervoso Centrale, per cui il dolore si fa sempre più autonomo rispetto all’infiammazione e diventa malattia in sé”.
“La maggiore prevalenza al femminile del dolore cronico è stata interpretata come una più spiccata sensibilità delle donne agli impulsi dolorosi, che ha in parte radici culturali ma presenta importanti basi biologiche - precisa Diego Fornasari, professore di Farmacologia dell’Università di Milano - Negli ultimi anni è emerso che i meccanismi endogeni deputati alla modulazione e al controllo del dolore funzionerebbero in maniera differente tra maschi e femmine, secondo l’assetto ormonale: in queste ultime, avrebbero un’attività ridotta, il che spiegherebbe la soglia al dolore più bassa. Ma la specificità di genere riguarda anche la risposta alle terapie: uomini e donne assorbono, distribuiscono, metabolizzano ed eliminano i farmaci in modo diverso. Questo implica che l’efficacia o la comparsa di effetti collaterali possano presentare differenze rilevanti e già sappiamo che appartenere al sesso femminile costituisce, di per sé, un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di reazioni avverse. Le donne, ad esempio, possiedono minori quantità di enzimi utili al metabolismo di alcuni farmaci, come gli antidepressivi o certi oppiacei: ciò potrebbe determinare un maggior accumulo nell’organismo”.
Quali sono, allora, gli analgesici meglio tollerati dal genere femminile? “Studi clinici e di farmacosorveglianza, oltre a una lunga tradizione d’uso – prosegue Fornasari - consentono di identificare qualche molecola rivelatasi particolarmente sicura nella donna. Una di queste è il paracetamolo, che ha un buon profilo di safety anche in gravidanza o in post-menopausa, quando comorbidità e politerapie possono esporre le pazienti anziane fragili al rischio di interazioni farmacologiche. Inoltre, è interessante notare che nella femmina in età fertile la produzione di cannabinoidi endogeni, sostanze con un’azione analgesica naturale, tende a diminuire in certe fasi del ciclo ovarico, aumentando la sensibilità al dolore. Avendo il paracetamolo anche un effetto modulatorio positivo sul tono endocannabinoide, si può ipotizzare che questa molecola sia di aiuto alla donna, contribuendo ad alzare la soglia di tolleranza alla sensazione dolorosa”.
“Nella donna in età fertile - puntualizza Graziottin - le forme di dolore più comuni sono quelle correlate alla mestruazione, come ad esempio dismenorrea e dolore pelvico cronico. Il paracetamolo può essere considerato un farmaco di prima linea nel trattamento della dismenorrea primaria e delle comorbidità associate, per le sue caratteristiche di maneggevolezza, sicurezza e minori effetti collaterali rispetto ai Fans. In gravidanza, sono lombalgia e dolore nella regione pelvica a presentarsi più di frequente: è bene ricordare che anche nella gestante il dolore cronico non va trascurato, perché potrebbe essere lesivo per il feto. In questi casi, paracetamolo è tuttora l’analgesico considerato più sicuro per la mamma e il bambino, come ribadisce l’ultimo statement della Society for Maternal-Fetal Medicine. In post-menopausa si moltiplicano invece i dolori ossei, articolari e muscolari, per via della carenza estrogenica. Una terapia ormonale su misura è la prima efficacissima cura antalgica, perché va a trattare la vera causa del problema, ma può essere integrata vantaggiosamente da un analgesico ben tollerato come paracetamolo, che le Linee Guida Eular indicano come farmaco di prima scelta nel controllo del dolore artrosico”.
Ma come si curano le donne, nell’ambito dell’automedicazione? In questo senso, è fondamentale la figura del farmacista, al quale spesso si rivolgono per scegliere la terapia più opportuna. “Le sindromi algiche sono tra le condizioni più frequenti che vengono sottoposte al farmacista - rivela Eugenio Leopardi, presidente Unione Tecnica Italiana Farmacisti (Utifar) - Un terzo dei cittadini esce dalla farmacia con un consiglio: di questi, circa il 20% è costituito da consulenze per la risoluzione di stati dolorosi, molto spesso richieste proprio dalle donne, che sono le maggiori consumatrici di farmaci. Non a caso, 6 volte su 10 l’analgesico viene dispensato a una paziente di sesso femminile. Il ruolo del farmacista è di grande importanza per guidare la donna nella scelta consapevole del principio attivo più indicato, favorendo i prodotti con un buon profilo di efficacia e safety, come paracetamolo, e chiarendo che il ricorso ai Fans va evitato se si è in terapia con anticoagulanti, se si soffre di gastrite o reflusso e in caso di gravidanza. Nella sua attività di counselling, il farmacista deve anche mettere in guardia dai possibili rischi di un selvaggio e protratto ‘fai da te’, che potrebbe causare ritardi diagnostici, interazioni farmacologiche o danni da abuso. In generale, comunque, il ricorso all’automedicazione per ridurre sindromi dolorose e infiammatorie lievi e transitorie si basa soprattutto sull’impiego di analgesici centrali e Fans. Come evidenziano i dati Ims sui primi 3 principi attivi senza obbligo di ricetta (OTC e SOP), nel periodo febbraio 2016 - gennaio 2017, in farmacia sono state vendute circa 26 milioni di confezioni di paracetamolo, 16,5 milioni di ibuprofene e 10 milioni di acido acetilsalicilico”.
“Gli analgesici nella donna devono essere utilizzati con grande appropriatezza - conclude Fornasari - proprio a fronte della maggiore frequenza e intensità con cui il genere femminile è esposto al dolore. Soprattutto in momenti particolari della vita, è bene ricorrere a farmaci che la farmacoepidemiologia ha dimostrato essere sicuri. Il paracetamolo, consigliato anche nella scala dell’analgesia dell’Oms, è un presidio fondamentale nel trattamento del dolore nella donna. In virtù della sua ottima tollerabilità, è spesso impiegato in formulazioni a dose fissa con altri farmaci, come antinfiammatori e oppiacei, e rappresenta un punto di riferimento nelle terapie multimodali, che utilizzano contemporaneamente più analgesici per colpire i diversi meccanismi patogenetici del dolore, con un’azione sinergica che garantisce un’efficacia maggiore, a fronte di dosaggi più bassi”.