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giovedì 12 gennaio 2017

LA TESTIMONIANZA Melania Rizzoli, la denuncia: banche, così ti rovinano

Melania Rizzoli: "Vogliono solo il mio denaro, così ho perso fiducia nelle banche"


di Melania Rizzoli



«Non ho più fiducia in te». Quando un amore ti rivolge questa frase guardandoti negli occhi vuol dire che la storia è già finita. Chiusa per sempre. Un giudizio definitivo senza speranza di recupero. Tradire la fiducia produce la perdita di credibilità, frantuma ogni certezza, e di colpo il traditore è rifiutato, guardato con disprezzo, giudicato come abusivo della propria buona fede e dei propri sentimenti e di conseguenza allontanato con rancore e ignorato con sdegno come persona ingrata, inattendibile e fedifraga. Ma, come diceva la famosa canzone, «di amore non si muore» e soprattutto la perdita dei vecchi amori col tempo si dimentica e ne nascono altri, nuovi come le belle stagioni.

Quello che non si dimentica invece è la perdita del proprio patrimonio per colpa di altri, l’esproprio dei propri risparmi accumulati a fatica, la rovina economica personale provocata non da una persona, ma da un’istituzione, quella sicura, quella che godeva, come succede in amore, della nostra massima fiducia: la nostra banca.

Oggi infatti il «non ho più fiducia in te» viene urlato forte in coro dal popolo italiano a tutti i nostri istituti di credito e finanziari, senza distinzione tra Banca Etruria, Banca delle Marche,Banca Veneta o Monte dei Paschi di Siena, e allora la questione è più grave e il problema dell’amore spezzato per sempre diventa nazionale e serissimo.

È un dato di fatto che gli italiani non hanno più alcuna fiducia nelle nostre banche, l’hanno persa in maniera definitiva soprattutto negli ultimi mesi, assistendo increduli a espropri, inganni e ruberie a danno dei risparmiatori o subendo personalmente una serie di ingiustizie, molte circonvenzioni e troppi cattivi consigli, con conseguenze economiche disastrose per i loro piccoli e grandi patrimoni.

Quegli istituti che una volta erano considerati un sicuro rifugio dei propri beni, una cassaforte inespugnabile dei propri soldi, una sede protetta dove poter ricavare anche dei profitti, oggi sono percepiti come sportelli di Bancomat che ingoiano avidi i nostri euro senza restituirceli, come una appropriazione indebita legalizzata, come se i nostri soldi depositati fossero loro, e il nostro denaro contante che versiamo per averlo a disposizione sul nostro conto corrente e sulle nostre carte di credito viene invece investito e usato dalla stessa banca secondo le proprie esigenze, a nostra totale insaputa. E il nostro patrimonio, grande o piccolo che sia, diventa improvvisamente virtuale, ovvero risulta intero sulla carta, ma non è più a nostra completa disposizione. Un amico banchiere una volta mi rivelò: «I tuoi soldi veri sono soltanto quelli che spendi, il resto non è più tuo realmente, ma della banca»; e se riflettiamo su quello che è accaduto, per esempio dentro il Monte dei Paschi di Siena con migliaia di risparmiatori ridotti sul lastrico, come potergli dare torto?

La fiducia personale, culturale e morale sociologicamente è figlia del soggetto con cui ci relazioniamo, a cui ci affidiamo, e la crisi fallimentare dei nostri istituti finanziari riflette la rottura di questo patto bilaterale d’intesa, con la banca che usa la liquidità versata e che ha in pancia come strumento per massimizzare solo il suo tornaconto e il suo profitto, abbandonando e ignorando chi quella liquidità ha contribuito a ingrassare e ne è in parte titolare, tradendo cinicamente e polverizzando senza remore in tal modo anche la fiducia riposta.

La mancata vigilanza da parte degli organi predisposti, il silenzio delle gerarchie e il disinteresse durato troppo a lungo della politica hanno fatto il resto, facendo precipitare la fiducia degli italiani verso il sistema bancario a livelli mai registrati prima.

La fiducia è un sentimento fragile e interiore che cresce gradualmente, che si costruisce con la razionale evidenza dei fatti, che ascolta poco l’istinto, che conta sulla confidenza e la complicità conquistata verso l’altro, e che nel tempo, superate le iniziali diffidenze, si tramuta in un affidamento incondizionato che non ha ombre, che non ha timori e che non prevede dubbi, che mano a mano diventa scontato come un patto di sangue, ma che come questo, quando viene rotto da un evento criminale, provoca di colpo un trauma, un’emorragia irrefrenabile e mortale di tutto quello che di buono e vitale conteneva,senza alcuna possibilità di tamponamento.

Che oggi la fiducia nelle banche in Italia sia crollata è sotto gli occhi di tutti, e lo dimostrano i dati di vendite, aumentati a dismisura, di casseforti blindate e ultra-sicure, per custodire la liquidità nelle nostre case,proprio come facevano i nostri nonni nascondendo i soldi sotto il materasso. Per toccare con mano la crisi di credibilità basta osservare qualunque anonimo cliente che si reca presso una qualsiasi agenzia di credito. Vi entra con sospetto, si aggira con circospezione attendendo il proprio turno, ansioso di controllare il proprio conto corrente e di verificare con i propri occhi che i risparmi (virtuali) siano ancora tutti certificati nell’estratto conto. E se il correntista vede avvicinarsi sorridente il direttore della filiale, che si congratula con lui e che gli suggerisce un investimento sicuro, o un finanziamento adatto alle sue esigenze, garantendo i tassi migliori sul mercato, perché è un peccato tenere quella liquidità ferma che non frutta interessi, ecco scattare subito in lui la domanda: «Oddio, dov’è la fregatura?» e sentire crescere dentro la preoccupazione per cercare di intuire al volo quale ambiguità si nasconde dietro le proposte del primo responsabile dell’agenzia, e cosa mai lo spinge ad accarezzare con tale interesse la fluidità e la crescita degli interessi del conto in loro affidamento.

Alcuni istituti di credito, pur di fare cassa e di alleggerire i conti dei propri correntisti, sono arrivati a improvvisarsi gioiellieri, proponendo a molti loro clienti di investire il loro denaro acquistando diamanti del Sudafrica, di diverso taglio e di vari carati, venduti virtualmente dalla banca stessa con certificati di autenticità e di valore e con la foto dei brillanti stampata, senza la possibilità di toccarli con mano e apprezzarne la luce e la limpidezza, ma con un prezzo superiore al loro valore e peso effettivo, tanto che se fossero stati comperati da Bulgari sarebbero costati la metà.

È cronaca di questi mesi la voragine di bilancio venuta alla luce nella contabilità di MPS per aver sostenuto ingenti investimenti e garantito finanziamenti a soggetti e imprese, che non hanno in seguito mai onorato i prestiti ricevuti, che non avevano mai presentato le garanzie, contribuendo a causare una esposizione di diversi miliardi.

La banca toscana ha quindi trasformato nell’emergenza i debiti in azioni, rifilandole come fruttifere a ignari compratori e piccoli azionisti che si fidavano dell’istituto senese, essendo clienti da decenni, senza sapere che lo stesso era già in stato agonizzante.

Grazie al coraggio della tanto vituperata stampa, che ha avuto il merito di denunciarne la condotta scandalosa e l’uso spregiudicato dei beni altrui a vantaggio di pochi eletti e a discapito dei tanti piccoli risparmiatori, il fallimento della banca toscana è venuto a galla e con l’eco dello scandalo, subito dopo il referendum di dicembre, è scattata la grande fuga dei correntisti e dei risparmiatori per il timore di un crac, con la conseguenza che l’istituto di Rocca Salimbeni è stato costretto ad alzare pubblicamente bandiera bianca.

Il risultato? I conti in rosso di quei titoli oggi hanno bisogno del salvataggio da parte dello Stato, cioè di un’iniezione vitale di denari pubblici, vostri e nostri, per un ammontare di oltre 8miliardi di euro, perché le banche non si possono far saltare, perché non sono imprese come le altre, perché la vigilanza bancaria europea è tutta a trazione tedesca e perché tanto il conto arriverà indirettamente a tutti noi italiani contribuenti.

E in queste condizioni la fiducia perduta nei confronti di tutti gli istituti bancari si è estesa a macchia d’olio, come un virus, anche verso tutti i “potenti” d’Italia, verso i ricchi privilegiati che hanno tratto profitto dai prestiti non restituiti (a breve avremo l’elenco completo dei nomi), verso i governanti e soprattutto verso tutti i politici, perché è inconcepibile che i rappresentanti delle istituzioni non sapessero ed è indiscutibile che gli stessi avessero rapporti di vario genere e interesse con il terzo istituto del Paese.

Come è potuto succedere tutto questo? si chiedono in molti, ma la domanda vera da farsi è verso chi e cosa gli italiani volgeranno in futuro lo sguardo e le proprie speranze dopo aver perso irrimediabilmente la fiducia nelle banche,nella politica e nelle stesse istituzioni. E quale autorità, quale figura non ancora all'orizzonte, quale solido pilastro sarà in grado di rassicurarli, di riconquistarli e di fidelizzarsi con loro? E quante stagioni dovranno passare per sperare di veder nascere un nuovo amore?

Un Paese senza fiducia (e senza soldi), infatti, è come un amore tradito, senza alcuna speranza di recupero e destinato inevitabilmente a fallire. Che è un po’ come morire.

Scopre la rete di spioni, perde il posto Rimosso il capo della Postale: il motivo

Scopre la rete di spionaggio, perde il posto. Rimosso il capo della Postale



È stato rimosso dal suo incarico il direttore della polizia postale, Roberto Di Legami, dopo una decisione che avrebbe preso il capo della Polizia, Franco Gabrielli. Di Legami ha guidato il dipartimento che aveva condotto finora le indagini sull'inchiesta Eye Pyramid che ha portato l'altro ieri all'arresto dei due fratelli Occhionero. Il motivo della sua rimozione, secondo quanto ha riportato Repubblica, sarebbe proprio legata all'inchiesta, della quale non avrebbe informato i vertici della polizia.

Bocciato il referendum sull'articolo 18 Schiaffo alla Camusso: su cosa si voterà

Bocciato il referendum sul Jobs Act. Lo schiaffo della Consulta alla Camusso



Non ci sarà un referendum sul Jobs Act. La Corte costituzionale ha bocciato il quesito sul ripristino dell'art.18 promosso dalla Cgil. La decisione al termine della camera di consiglio, che ha dichiarato inammissibile il quesito che proponeva la cancellazione delle norme del Jobs act in materia di licenziamenti illegittimi che prevedono il pagamento di un indennizzo invece del reintegro sul posto di lavoro.

Computer hackerato, segreti rivelati La frase: "Quella scoperta" su Renzi

Computer hackerato, segreti rivelati La frase: "Quella scoperta" su Renzi



La verità sullo spionaggio ai danni di Matteo Renzi emergerà solo quando i magistrati italiani potranno accedere ai dati sui server degli Stati Uniti. Il sospetto che però l'ex premier sia stato spiato per almeno 96 giorni è più che fondato, così come è forte il timore che comunicazioni riservate e informazioni delicate per la sicurezza nazionale siano finite nelle mani dei fratelli Occhionero, grazie al loro sistema di spionaggio Eye Pyramid.

Il nome di Renzi compare nell'elenco di Giulio Occhionero con la data del 30 giugno 2017 alle 7:08, quando c'è stato l'ultimo tentativo di infettare il suo dispositivo, come ha riportato Repubblica. Nella casella di posta dell'ex premier è arrivata un'email da antoniaf@poste.it con un allegato in Pdf. All'interno di quel file c'era il malware che ha permesso agli Occhionero di ficcare il naso in migliaia di utenze.

Esselunga, le coop demolite Trionfo: spunta questo documento...

Primato internazionale per il colosso milanese Esselunga. Chiudono male le francesi Carrefour e Auchan-Sma




Per ogni metro quadrato di un supermercato della catena Esselunga c'è un guadagno per la società di 15.732 euro. Un record di efficienza che il colosso milanese strappa con quello del supermercato preferito tra tutti gli italiani. A dirlo è lo studio pubblicato da Mediobanca, secondo il quale da Nord a Sud la concorrenza delle catene straniere non è riuscita a intaccare minimamente l'ottima immagine che i clienti hanno della catena italiana. E se le francesi Carrefour e Auchan e le tedesche Eurospin e Lidl hanno poco da esultare per gli affari in Italia, non se la passa meglio neanche la Coop, grande avversario del defunto fondatore dell'Esselunga, Guido Caprotti. Secondo lo studio, i supermercati Coop hanno fruttato ai loro soci solo 6.856 per metro quadro (meno della metà del gruppo milanese), la Carrefour 5.171 euro.

Tornando agli affari del big milanese lo studio di Mediobanca prevede una possibile fusione con il gruppo olandese Ahold, compatibile sia nei numeri che sul piano organizzativo. Il patron Caprotti aveva fatto cenno agli olandesi l'anno scorso, durante una delle sue ultime interviste, e in effetti guardando i numeri si nota un'efficienza di 8.350 euro al mq, che sale a 12.775 contando i soli negozi olandesi. Un ottimo partner, ma la catena milanese con i suoi 15.730 detiene il primato assoluto anche nel raffronto internazionale.

In definitiva nel confronto internazionale chiudono tutti in positivo, la britannica Tesco, la statunitense Kroger, la spagnola Mercadona, vengono infatti tutte segnalate come alcune delle attuali eccellenze mondiali. Periodo negativo per i colossi d'oltralpe Auchan-Sma e Carrefour, che chiudono la stagione decisamente male, addirittura in rosso; il primo ha accumulato in quattro anni circa 559 milioni di perdite, il secondo con oltre 2 miliardi di passivo e un crollo delle vendite del 9,6%.

MPS-VERGOGNA Manager, quanto prendevano Tutte le cifre dello scandalo

Mps, ecco gli stipendi dei banchieri che finanziavano i bidonisti


di Francesco De Dominicis



È lunga più di 15 anni la strada che ha portato il Monte dei paschi di Siena al crac e quindi, gioco forza, sotto l’ombrello dello Stato. La nazionalizzazione della banca più antica del mondo, avviata col decreto salva risparmio del 23 dicembre, trae origine da una sfilza di operazioni scellerate, tutte riconducibili - di fatto - al periodo 2006-2012: tra l’acquisto di Antonveneta nel 2007 (pagata a peso d’oro ovvero ben 9,5 miliardi nel pieno della crisi dei mutui) e le successive manovre spericolate coi derivati (Santorini e Alexandria). È anche la stagione in cui viene accumulato il grosso delle sofferenze, quei 24 miliardi di crediti deteriorati che ancora oggi pesano sui conti dell’istituto. Per rintracciare il primo «errore fatale», per la verità, bisogna tornare indietro al 2000, quando viene deciso l’acquisto di Banca 121 (pagata 2.500 miliadi di lire).

Ma chi comandava nella ex banca del Partito democratico? Nella fase acuta della «tragedia senese», dopo il 2006, alla presidenza della banca c’era Giuseppe Mussari e nel consiglio di amministrazione, il vicario di Mussari era Ernesto Rabizzi, con Alfredo Monaci (il fratello era un altro esponente del Pd) un altro membro del cda. Il presidente del collegio sindacale era Tommaso Di Tanno. Sono rimasti sul ponte di comando fino al 2012: in totale, facendo un calcolo approssimativo, si sono portati a casa, tra retribuzioni e buonuscite, quasi 20 milioni di euro. Rabizzi aveva un emolumento di 400mila euro annui. Meno generose le «paghe» di Monaci (263mila euro) e del commercialista Di Tanno (240mila). Non era tra i più alti lo stipendio di Mussari (716mila). Più dell’avvocato prestato all’industria bancaria (ha guidato anche l’Abi tra il 2010 e il 2013) guadagnava il dg Vigni: a lui sono andati 1,6 milioni l’anno e quando ha lasciato la sua poltrona a Rocca Salimbeni è stato accompagnato alla porta con un assegno di «liquidazione» pari a 4 milioni. Braccio destro di Vigni era Gianluca Baldassarri: da direttore dell’area finanza comandava la cosiddetta «banda del 5%» ovvero quel nucleo di manager che, stando alle inchieste dei magistrati, faceva la cresta sulle operazioni finanziarie. Baldassarri aveva una paga annua di circa 400mila euro e la sua buonuscita è stata di 800mila euro. Nel 2014 sono arrivate le prime condanne in tribunale. Recentemente sono stati eseguiti sequestri milionari, forse frutto di ricchi «fuori busta».

Questo gruppo dirigente va a casa nel 2012. Vigni è rimpiazzato alla direzione generale da Fabrizio Viola (che assume anche la carica di amministratore delegato), mentre Alessandro Profumo prende il posto di Mussari, rinunciando da subito all’emolumento da 500mila euro: l’ex ad di Unicredit ha percepito solo 62mila euro l’anno, mentre Viola aveva una retribuzione di 1,5 milioni ed è stato liquidato con 3,1 milioni (l’ultimo anno ha versato 250mila euro al fondo di solidarietà della banca). Grosso modo lo stesso stipendio di Viola (oggi a capo di Banca Popolare di Vicenza) è quello percepito dall’attuale ad, Marco Morelli (che in Mps, con i galloni di vicedirettore generale, era già stato tra il 2006 e il 2010). Il quale, dopo aver ricevuto un bonus d’ingresso pari a 300mila euro, ha deciso di devolvere 200mila euro l’anno al fondo di solidarietà; allo stesso fondo, Massimo Tononi ha versato, nella breve parentesi (settembre 2015 - dicembre 2016), tutti i 500mila euro percepiti come presidente. Dallo scorso dicembre il presidente è l’azionista Alessandro Falciai, al quale spetta una paga da 500mila euro l’anno. I manager della «fase 2», quella dei tentativi di risanamento, hanno intascato retribuzioni e premi per circa 10,5 milioni, cifra che porta il totale degli stipendi degli ultimi 10-15 anni anni a una trentina di milioni.

C’è da dire che le responsabilità, a voler seguire l’iter della vicenda giudiziaria, sono legate al trio Mussari, Vigni e Baldassarri. A ottobre del 2014, come accennato, sono stati condannati in primo grado a tre anni e sei mesi con interdizione dai pubblici uffici. L’accusa, per tutti e tre, era di ostacolo in concorso all’esercizio della vigilanza, cioè la Banca d’Italia, in relazione all’occultamento del contratto stipulato da Mps con la giapponese Nomura per la ristrutturazione del derivato Alexandria.

Dicevamo dello sterminato elenco di magagne. Il botto arriva con l’acquisto di Antonveneta dagli spagnoli del Santander: affare da oltre 17 miliardi complessivi. Nel 2011, al culmine della crisi dell’istituto, il bilancio registra una pedita di 4,6 miliardi. Viola e Profumo cercano di fare pulizia e scoprono, in una cassaforte, i contratti sui derivati con Nomura. Immediata una rettifica del «buco» per altri 730 milioni, ma con una scelta contabile che porterà la Consob, all’inizio dello scorso anno, a imporre la riscrittura di tutti i bilanci a partire dal 2009. Ma è la dimensione degli aumenti di capitale messi in fila negli ultimi anni - in totale 15 miliardi, rivelatisi insufficienti - a certificare l’entità del sostanziale fallimento. Ai manager sono andati comunque grossi stipendi. Ai contribuenti sta per arrivare il conto finale da 6 miliardi e mezzo del salvataggio di Stato.

mercoledì 11 gennaio 2017

Napoli: Esclusiva / l'On. Ermanno Russo sul caso Nola: "Tutelare Dirigenti, medici e pazienti"

Caso Nola Disservizi all'Ospedale Santa Maria della Pietà, Ermanno Russo: "Tutelare Dirigenti, medici e pazienti"


di Gaetano Daniele


On. Ermanno Russo
Vicepresidente Regione Campania

On. Russo, caso Nola. Cos'è successo? 

"Ciò che è successo al pronto soccorso dell'ospedale Santa Maria della Pietà sta venendo fuori con chiarezza in queste ore. La Regione sapeva che c'era una sofferenza sul presidio di Nola nei giorni del week end appena trascorso, dovuta in parte alla chiusura di alcuni servizi di medicina territoriale ma anche alle condizioni climatiche estreme con la neve che impediva di raggiungere l'ospedale di Avellino, tutto questo peraltro in piena psicosi meningite. 

Quindi la Regione sapeva?

La Regione sapeva ma non ha fatto nulla per prevenire ciò che poi si è verificato: un sovraffollamento selvaggio e cure somministrate ai pazienti in condizioni estreme. Si tratta peraltro di una carenza di strumentazioni e posti letto storica, essendo Nola un presidio che serve un bacino di 600mila utenti. Di qui però a voler punire i medici della struttura, ossia il direttore sanitario insieme al responsabile del pronto soccorso e della medicina d'urgenza, ce ne passa. I medici vanno ringraziati e va pubblicamente riconosciuta al personale e ai dirigenti dell'ospedale la capacità di intervenire salvando delle vite pur in una situazione difficile"

On. Russo, c'è il rischio che quanto accaduto a Nola possa ripetersi anche in altre strutture ospedaliere?

"Senz'altro, specie se continuerà a mancare una visione d'insieme compiuta a livello regionale. Del resto, anche il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha più volte ribadito l'apprezzamento ai medici di Nola e specificato che se responsabilità ci sono queste non sono da rintracciare all'ospedale Santa Maria della Pietà bensì più in alto, a livello di coordinamento regionale. Manca una visione compiuta della sanità campana".

On. Russo, come si può evitare tutto questo? 

"Tutti gli attori della medicina del territorio devono fare da filtro perché in ospedale arrivino soltanto i pazienti realmente in condizioni difficili. La Regione deve intervenire su questo e non certo per sospendere colleghi medici che operano già normalmente in condizioni di trincea e, nonostante tutto, salvano vite umane"