Albania, sventolano le bandiere dell'Isis a 100 km dalle nostre coste
di Gianluca Veneziani
E adesso chiamatela Albanislam. O, ancor peggio, Albanisis. Non è più solo la Bosnia l’estrema frontiera occidentale dello Stato Islamico o la sua sua roccaforte europea, ma lo sta diventando l’Albania. La terra da cui, oltre 25 anni fa, migliaia di albanesi si imbarcarono per fuggire la miseria dopo la fine del regime comunista e trovarono accoglienza in Puglia. E nella quale oggi un altro regime, altrettanto spietato, sta attecchendo, di matrice non più ideologico-politica, ma religiosa. Parliamo dell’islam radicale che, in quell’enclave musulmana nel cuore dei Balcani, ottiene sempre più proseliti, giungendo a minacciare l’Italia sua dirimpettaia, e rischia di diventare una polveriera per la Puglia. Che da quella dista un braccio di mare, gli 85 chilometri del Canale di Otranto, città dove nel 1480 si consumò una delle stragi più tremende compiute dall’islam, l’uccisione da parte degli ottomani di 800 persone, «colpevoli» solo di essere cristiane...
Il nastro si riavvolge e la storia si ripete, con tutti i suoi profili più inquietanti. Oggi il Sud-est dell’Albania è terra di nessuno, dove spadroneggiano il Califfo e la sua predicazione più violenta. In diversi villaggi, come Leshnica, Rremeni e Zagorcan, già sventola la bandiera dell’Isis. Proprio a Leshnica operava Almir Daci, uno degli imam albanesi più pericolosi, che ha reclutato centinaia di musulmani e poi è partito come combattente per la Siria, dove sarebbe morto lo scorso aprile. Ma, oltre a lui, altri dieci imam vengono da tempo «attenzionati» dai servizi albanesi come «fortemente pericolosi». Ci sono poi almeno mille foreign fighters di etnia albanese, il numero più alto d’Europa, di cui 900 proverrebbero dal Kossovo, 150 dall’Albania e una cinquantina dalla minoranza albanese di Macedonia. Oggi, dopo i contraccolpi militari subiti dall’Isis, molti di essi restano in patria a radicalizzarsi. E ciò rappresenta una minaccia ulteriore per il nostro Paese.
Il neo-estremismo jihadista albanese, infatti, rischia di diventare merce di esportazione, anziché per il Medioriente, proprio per la Puglia, che accoglie già una folta comunità albanese, distribuita nel barese ma anche in alcuni paesi del Salento. Era proprio dell’Albania Ervis Alinj, giunto in Puglia piccolissimo e poi tornato in patria dove ha deciso di andare a combattere e morire un paio di anni fa in Siria. E sono albanesi esponenti della malavita barese, molto attivi nel traffico di armi e stupefacenti. Il rischio, secondo gli inquirenti, è che si crei un incrocio tra criminalità organizzata e terrorismo islamico, tra «mafie» locali e jihadismo.
Il problema, infatti, è la maggiore facilità di accesso nel nostro continente grazie ai porti, dove i controlli continuano a essere meno rigidi rispetto agli aeroporti. Non è un caso che proprio dal porto di Bari era transitato Salah Abdeslam, uno degli autori della strage di Parigi. E sempre da Bari era passato nel 2009 Raphael Gendron, ingegnere belga, considerato vicino alle cellule jihadiste, fermato, processato e poi assolto, e infine morto in Siria da miliziano nel 2013. Andando a ritroso nella storia, Bari è stato anche il porto dal quale sarebbero transitati i militanti dell’Uck che, durante la guerra in Kosovo nel 1999, portavano armi per sostenere l’indipendenza kossovaro-musulmana.
Ecco perché è aumentata la sorveglianza in Puglia: oggi il porto di Bari, considerato possibile scalo per i combattenti in Medioriente o approdo per i foreign fighters di ritorno, ha un sistema all’avanguardia di registrazione dei passeggeri che consente di verificare alle forze dell’ordine, in tempo reale, l’identità di chi viaggia e le tappe dei suoi spostamenti. Naturalmente non basta, perché uno zoccolo duro di potenziali radicalisti si è già insediato nella comunità locale. Si pensi al tunisino Choukri Chafroud, complice dello stragista di Nizza Mohamed Bouhlel e per anni vissuto a Gravina di Puglia; o all’iracheno Muhamad Majid, arrestato a Bari nel 2015 in quanto presunto componente della cellula di Ansar al Islam.
A questo scenario ora si aggiungerebbe il nuovo radicalismo di origine albanese. Per rispondere alla minaccia, ci vorrebbe la determinazione di un Giorgio Castriota Scanderbeg, tuttora considerato eroe nazionale in Albania, il quale - alla metà del ’400 - riuscì, in nome della cristianità, a bloccare l’avanzata dei turchi verso l'Europa. Ora come allora infatti, in Albania, Tira’na brutta aria...