Lega Nord, il futuro senza "Nord": cambia il nome
di Matteo Pandini
Basta «Lega Nord per l’indipendenza della Padania», come recita l’articolo 1 del suo statuto: dopo il 4 dicembre, referendum sulle Riforme costituzionali, Matteo Salvini volterà pagina. Plasmando il Carroccio nazionale che potrebbe chiamarsi solo «Lega».
La strada è stata imboccata da tempo: il leader non nasconde di sognare addirittura Palazzo Chigi, sostiene di poter guidare tutto il centrodestra, spiega che il vero nemico non è Roma bensì Bruxelles. «E l’Unione europea fa male a tutta l’Italia, da Milano a Palermo». Proprio per questo ha lanciato per il Mezzogiorno le liste di «Noi con Salvini», che alle recenti amministrative non hanno garantito montagne di consensi, anzi. Ma l’intuizione è corretta, chiosa Salvini. A convencerlo, c’è l’avanzata del partito in territori tradizionalmente difficili per i lumbard e per il centrodestra in generale.
Esempi? Cascina, Pisa. A giugno, la Lega ha conquistato il sindaco (Susanna Ceccardi). Lo stesso film è andato in onda alle elezioni dell’altro giorno in Friuli Venezia Giulia: la Lega ha strappato al Pd alcuni municipi come Monfalcone. Non era scontato. Per il segretario, vincere nelle roccaforti rosse è la prova che la strada è corretta. Ma serve un passo in più.
Questo: cercherà di essere finalmente potabile al Sud (via la parola «Nord») mantenendo il nome Lega, marchio che sopra il Po resta gettonato. Il tutto verrà accompagnato dalla fusione dei lumbard con «Noi con Salvini». Questa è la sostanza. Resta da capire come arriverà: già si sussurra di congresso.
Salvini in persona taglia corto: «L’unica mia preoccupazione è il referendum per mandare a casa questo governo. Il resto sono chiacchiere». Chiacchiere che però rischiano di infiammare la base. Già alla vigilia dell’ultimo raduno di Pontida (18 settembre) c’era polemica tra chi invocava vessilli secessionisti e chi immaginava l’arrivo di bandiere tricolori. I fedelissimi del leader spiegano: la Lega indipendentista non esiste da tempo, perfino Bossi aveva immaginato la Lega Italia Federale, tanto che l’epoca secessionista è durata dalla fine del 1996 al 2000.
Ovvero da quando il Senatur scelse di correre da solo alle Politiche, fino all’anno del Giubileo che segnò la pace col Cavaliere. Con tanto di alleanza alle Regionali. Una mossa che fu figlia anche del risultato delle Europee del 1999: 4,5%, consenso più che dimezzato rispetto alle Politiche del 1996. Certo. Il cuore del partito, i militanti duri e puri, sognano ancora la battaglia per la Padania. Una battaglia che - ai tempi delle leadership di Bossi e di Maroni - era stata coperta da altri slogan: devolution, federalismo fiscale, macroregioni.
I salviniani aggiungono qualche aneddoto.
Nel 2001, il Senatur si presentò a Pontida da ministro. Aveva giurato sulla Costituzione, certo, ma spiegò ai militanti di averlo fatto «da padano». Eppure parlava di trasferimento di poteri da Roma alle Regioni, ispirandosi alla Scozia che all’epoca non pensava di ottenere il referendum indipendentista. Insomma, dicono i seguaci dell’attuale leader, la secessione non era più in agenda. E aggiungono: nel 2006, sempre Bossi si alleò (con tanto di modifica del simbolo) col Movimento per l’Autonomia dell’ex governatore siciliano Raffaele Lombardo. Era l’ennesimo tentativo di sbarcare nel Meridione. Fallì.
Storia recente.
Nel 2013, Salvini ha raccolto un partito ammaccato e che i sondaggi davano sotto al 3%. Parlando male di euro e Bruxelles e urlando «prima gli italiani», ha salvato la baracca. Alle Europee del 2014 ha superato il 6%. Da lì, complici le difficoltà del centrodestra, ha aumentato il suo consenso. Tanto da convincersi: punto Palazzo Chigi!
L’occasione, ghiotta, è il referendum del 4 dicembre. Vincessero i «No», le Politiche sarebbero più vicine.
Pochi giorni fa. Sondaggi. Il «Sì» alle riforme sarebbe in vantaggio nel Nord, mentre il «No» andrebbe forte nel Mezzogiorno. Dibattito nel quartier generale di via Bellerio. «Forse dovremmo tornare a parlare di questione settentrionale» azzarda un colonnello leghista. Salta su un fedelissimo salviniano: «No, ormai siamo un partito nazionale!».
Ecco, Salvini vuole chiarire l’equivoco. In fretta.