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mercoledì 19 ottobre 2016

Milano: Salvini candida Urbano Cairo: mossa clamorosa della Lega Nord

La Lega Nord candida Urbano Cairo per l'Ambrogino d'Oro



Lo voleva sindaco di Milano e ora la Lega Nord vuole dargli l'Ambrogino d'oro. Nell'ultimo giorno utile per la presentazione delle candidature per le Civiche benemerenze 2016, il leader della Lega Matteo Salvini, riporta il Giorno, ha deciso di puntare su Urbano Cairo. Motivazione ufficiale: il successo del suo gruppo editoriale dopo le acquisizioni del Corriere della Sera e La7. La candidatura di Cairo piace anche a Forza Italia mentre il Pd preferisce al momento non commentare.

Intanto, a Milano, sono state consegnate in tutto 118 candidature, 74 sono riferite a persone (8 alla memoria), 44 riguardano associazioni, teatri o altri enti. Tra i candidati ci sono Letizia Moratti, Alberto Vitaloni delle patatine San Carlo, il pianista Antonio Ballista, il fotografo Uliano Lucas, l'ex direttore del Museo Diocesano Paolo Biscottini, l'amministratore delegato di L'Oreal Italia Cristiana Scocchia, Antonio Albanese. 

Appendino peggio di Fassino Disastro: soldi, brutta storia

Torino, Chiara Appendino per il buco in bilancio chiede soldi alla Smat: come Piero Fassino



Tante belle parole, e poi nei fatti sembra di essere di fronte all'eterno ritorno all'uguale. E' la sensazione che si ha leggendo l'ultima mossa di Chiara Appendino, sindaca di Torino del M5s. Bene, come riporta il quotidiano Italia Oggi, l'esponente grillina ha chiesto soldi allo stesso ente da cui si era "abbeverato" il suo predecessore del Pd, Piero Fassino.

La partecipata che gestisce la distribuzione dell'acqua nel capoluogo piemontese potrebbe avere un ruolo molto importante, quello di salvare il bilancio del Comune. Per far tornare i conti, l'Appendino ha chiesto di poter attingere al 100% delle riserve di Smat, circa 15 milioni di euro. L' assemblea dei soci della Società metropolitana acque Torino, però, ha preso tempo. Lo scorso venerdì, ha rinviato al 28 ottobre la decisione sulla richiesta avanzata da Appendino e contestata sia dal Pd, sia dal centrodestra. "Da qui a fine anno dobbiamo tappare un buco che ci è stato lasciato in eredità, altrimenti rischiamo il default e il commissariamento", ha detto il vicesindaco M5s, Guido Montanari. 

Piccolo particolare: lo scorso aprile, anche l' ex sindaco Piero Fassino avanzò la stessa richiesta a Smat. Allora i piccoli comuni del Torinese, quasi tutti a guida Pd, fecero opposizione all' esponente del loro stesso partito. Ora che a proporre di svuotare le casse dell' azienda idrica è M5s, convincere i sindaci del Partito democratico sarà ancora più difficile. 

BANCA A PICCO Deutsche massacra gli italiani: licenziati

Deutsche Bank vuole tagliare l'Italia


di Nino Sunseri



È cominciata la quaresima per Deutsche Bank. Ieri l'agenzia Bloomberg, riprendendo un'indiscrezione della stampa tedesca, ha annunciato che la banca si prepara a tagliare l'attività di investimento in Usa e ridurre la presenza commerciale in Italia e Spagna. Vuol dire che saranno ridotti personale e sportelli. Se non addirittura imboccata la strada di Barclays che, pur di liberarsi delle agenzie italiane, ha offerto una dote di 230 milioni a Mediobanca. Al posto delle insegne azzurre del colosso britannico presto ci saranno quelle gialle di Chebanca.

Faranno la stessa fine gli sportelli Deutsche? È possibile visto che il ministero della Giustizia Usa insiste sulla multa da 14 miliardi per il coinvolgimento del gruppo tedesco nello scandalo dei subprime. Da Francoforte propongono una mediazione a 5,5 miliardi che Washington ha respinto. Ovviamente una soluzione verrà trovata perché è surreale pensare che l'amministrazione Usa voglia far fallire una delle più grande banche del mondo. Resta il fatto che la trattativa sarà lunga. Nel frattempo il conto economico soffre.

Il ritiro dall'Italia sarebbe certamente una grave sconfitta per Deutsche. Lo sbarco in grande stile risale a trent' anni fa quando Deutsche rilevò le agenzie della vecchia Banca d' America e d' Italia nel frattempo diventata Bank of America. Poi aveva assorbito la Popolare di Lecco. L'ultimo investimento risale a quattro anni fa con la ristrutturazione di alcune agenzie e il lancio del modello Easy che rappresenta lo sportello multicanale del gruppo. Poi più nulla ma nel frattempo i tempi si erano fatti difficili.

Oggi il colosso tedesco conta su 627 sportelli e quattromila dipendenti oltre a 1.500 promotori. Dopo la Germania è l' Italia il secondo mercato del gruppo. L'eventuale ritiro avrebbe effetti rilevanti su tutto il sistema bancario nazionale e segnerebbe una sconfitta grave per tutta la banca. Una ritirata che rappresenta la fine di un sogno imperiale: diventare la banca più grande del mondo.

La crisi di Deutsche è precedente alla multa del governo Usa. Le difficoltà sono legate all'insuccesso del modello di business adottato una decina d' anni fa che puntava a far concorrenza ai colossi Usa e scalare la classifica del credito. D'altronde perchè stupirsi: Volkswagen che era un medio produttore europeo è diventato il più grande fabbricante d' auto del mondo. Perchè Deutsche non poteva fare lo stesso nel credito? Da qui l'accelerazione della presenza sui mercati finanziari mettendo da parte il resto. Non c' era più grande operazione nel mondo che non vedesse Deutsche in prima fila: dai subprime negli Usa alla collaborazione con Mps nella sciagurata acquisizione di Antonveneta. Per non parlare ovviamente del cerchio di fuoco dei derivati. Il risultati si vedono: da sette anni i bilanci sono sempre peggiori.

Il nuovo amministratore delegato John Cryan ha annunciato un piano di ristrutturazione sanguinoso. Verrà mandato a casa un dipendente su quattro: ventitremila su un totale di centomila. Il taglio dell'investment bank negli Usa vuol dire che tutte le ambizioni imperiali nutrite da Joseph Ackermann, il ceo che voleva conquistare il mondo, sono finite in cantina. Ora c' è da mettere ordine e, soprattutto, evitare un aumento di capitale che, vista la situazione, avrebbe dimensioni considerevoli. Non meno di otto miliardi. Dove trovarli? Il fondo sovrano del Qatar è pronto a salire dal 10 al 25% . Ma forse non basta.

Raggi, c'è un disastro miliardario La mossa kamikaze di Virginia

C'è un disastro miliardario. La mossa kamikaze di Virginia


di Giuliano Zulin



I conti di Roma, si sa, sono pessimi. Il debito complessivo della Capitale si aggira intorno ai 13 miliardi. Un disastro. Nessuno sa come il Comune riuscirà a pagarlo. Ma Virginia Raggi ha invece trovato una ricetta per come aumentarlo, il debito: assumendo altri dipendenti. Sì, sembra una barzelletta, ma l' annuncio di ieri non lascia dubbi: entro la fine del 2016 il Campidoglio procederà all' assunzione di 485 unità di personale individuate tra i soggetti vincitori di un vecchio maxi-concorso, che le giunte precedenti avevano tenuto a bagno maria per ovvii motivi di bilancio. Ma i 5 stelle, sognando la decrescita felice, non si fermano davanti a un peggioramento dei conti del Comune. E allora via con l' infornata di ingegneri, curatori storici dell' arte, curatori archeologi, dietisti, istruttori amministrativi, funzionari per i servizi di orientamento al lavoro, istruttori amministrativi, statistici, istruttori economici, architetti, istruttori per servizi culturali, turistici e sportivi. E ancora: istruttori amministrativi, esperti di sviluppo servizi informatici e telematici, funzionari per servizi di orientamento al lavoro, funzionari dei processi comunicativi e informativi, funzionari delle biblioteche e istruttori per servizi di orientamento al lavoro.

Non è finita. Perché la Raggi non ha «intenzione di fermarsi qui. Dopo aver sbloccato il maxi concorso, integreremo il piano assunzionale con un intervento che porterà ad altre 100 assunzioni». Quindi alla fine il conto finale arriva a quasi 600 persone. Nuove assunzioni che affiancheranno i già oltre 24mila dipendenti, che prendono lo stipendio ogni mese direttamente dal Comune di Roma, e i 24.233 delle municipalizzate - tutte in rosso - per un totale di quasi 48mila unità: una forza lavoro superiore del 50% a quella del gruppo Fiat Chrysler.

Facile vincere le elezioni, dopo i disastri di destra e sinistra, e ripagare i romani con posti di lavoro. Peccato che così facendo il debito del Campidoglio - e quindi dei romani che non beneficeranno del regalo - esploderà. Un problema aggravato dal fatto che, come aveva riferito Silvia Scozzese, commissario straordinario per il rientro del debito capitolino, «non esiste una ricognizione analitica e una rappresentazione esaustiva della situazione finanziaria da risanare antecedente al 2008. Attualmente, per il 43% delle posizioni presenti nel sistema informatico del Comune, non è stato individuato direttamente il soggetto creditore». Capite? Non si sa nemmeno a chi pagare questi miliardi...

Tocca a noi - Si sa invece invece chi mantiene il carrozzone di Roma: gli italiani. L' anno scorso la spesa della capitale è stata pari a poco più di un miliardo di euro, a fronte dei 600 milioni spesi da Milano. Bisognerebbe intervenire, no? Licenziare è brutto, ci mancherebbe, però almeno bloccare le assunzioni... Solo che nessuno osa toccare la macchina amministrativa romana: troppi voti in ballo. E poi ci sono i 40 milioni di contribuenti italiani, che alla fine sono costretti ad aprire il portafogli e pagare, pagare, pagare: ogni anno dal governo parte un assegno di 300 milioni di euro per tappare i buchi del Campidoglio, più altri 200 milioni vengono prelevati dalle tasche di tutti i romani sotto forme di addizionali al massimo. Passiamo la vita a criticare le scelte, non proprio oculate, della Regione Siciliana: spendono, spandono e piangono sempre miseria.

Ma c' è da diventare matti ad addentrarsi nella situazione economica di Roma. Che da capitale dovrebbe dare l' esempio... sì, l' esempio negativo, quello da non imitare. Come quando i vigili scioperati di Capodanno sono rimasti quasi tutti impuniti.

Premi per tutti -  È pazzesco che la Raggi abbia chiesto al governo i soldi delle Olimpiadi che non si faranno. Lei dice: ci servono per sistemare la città. Oggi ci sarà il primo incontro a Palazzo Chigi fra la nuova amministrazione grillina e l' esecutivo. Non ci sarà Matteo Renzi ad accogliere la Raggi, perché il premier è in gita alla Casa Bianca. Il confronto avverà con il sottosegretario Claudio De Vincenti: sul tavolo ci sarà il rinnovo del salario accessorio per i dipendenti. Un tesoro da 300 milioni l' anno, che era stato sospeso per un utilizzo irregolare durante l' amministrazione Marino. Tanto per dire, i super premi ai dirigenti erano troppo alti... Ora tornano i bonus e ripartono le assunzioni. La Raggi farà anche fatica a trovare gli assessori, ma sugli sprechi è da medaglia.

martedì 18 ottobre 2016

Salvini, mossa definitiva: Cav massacrato Il gran rifiuto del leghista in diretta tv

Matteo Salvini attacca Silvio Berlusconi: non vado a casa sua, il tempo ormai è finito



"Non c'è nessun vertice in agenda. Non è più tempo di vertici. Userò il mio tempo per spiegare le ragiono del “no”. Contro le armate renziane siamo armati solo di fionda...". Il leader della Lega Matteo Salvini, ospite di Porta a porta, spara contro l’ex premier e presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi, che pure lo aveva invitato per un faccia a faccia oggi, o, al più tardi mercoledì, a Palazzo Grazioli. L’incontro tra il segretario del Carroccio e il fondatore di FI era atteso da settimane, dovrà essere chiarificatore dopo che l’eurodeputato ha accusato "molti forzisti" e "alcuni dipendenti di Berlusconi, a Mediaset" di non essere impegnati nella campagna referendaria. La conferma che, per il momento, non ci sono "nuovi vertici fissati", è arrivata anche da Giorgia Meloni. Dopo avere stracciato la ministra della Difesa Roberta Pinotti sulla politica estera a Otto e mezzo, la leader di Fdi, ha ammesso: "Risentirò Salvini". Il Cavaliere sarebbe pronto a ritornare a Roma dopo molti mesi.

L'intervista a Giletti: "In Rai mi odiano. Resto solo perché..." Intervista-verità sulla tv di Stato

Giletti: "In Rai mi odiano, mi tengono soltanto per gli ascolti"


intervista a cura di Simona Voglino Levy



Opere d'arte futuriste appese alle pareti di un salotto arioso. Massimo Giletti ci riceve nella sua magione romana dopo una giornata di lavoro. Partiamo dall'inizio: Massimo Giletti nasce a Mixer. «Ho una fotografia di là: eravamo tanti ragazzini in un mondo nuovo dove la tv iniziava a essere dominus. Per noi c'era un futuro che per un ragazzo, oggi, non vedo. Un conduttore come Minoli poteva investire su uno come me, senza esperienza».

Come nasce la passione del giornalismo?

«Dopo la laurea sono andato in Inghilterra, poi ho lavorato nell'azienda tessile di mio padre. Alla fine ho scelto Minoli: ero attratto da lui».

E come la presero in famiglia?

«Mi dissero che la televisione è per i cretini. Io mi diedi un anno di tentativi dopo il quale, se non fosse andata, avrei cercato un'altra strada».

Giletti ce l'avrebbe fatta, oggi?

«Difficilmente. Poi la mia è stata una ricerca. Le ultime trasmissioni con Zucchero e Mogol lo dimostrano: c' è sempre qualcosa di nuovo su cui cimentarsi. La ricerca riguarda anche l' amore».

A proposito, si è fatto un gran parlare di sue presunte liaison: prima con la Moretti, poi con Ambra… 

«Con Ambra ho un bel rapporto personale che non ha nulla a che vedere col sesso. La Moretti è un altro mondo. Ma non voglio parlarne».

Torniamo alla tv: siamo passati dagli uomini di prodotto a quelli di apparato?

«Chi comanda vuole il controllo del prodotto, non lavorare per esso. C' è carenza umana che è la risorsa necessaria per fare la tv: abbiamo sperperato un tesoro immenso. Bisognerebbe tornare a investire su risorse umane e meritocrazia».

Cosa pensa delle nomine appena fatte in Rai?

«Son nomine di gente che conosce la tv. A me interessa che chi comanda mi dia la possibilità di produrre bene, cosa che troppo spesso non mi è stata data. Spero vengano fatte buone scelte e di non dover battagliare per lavorare».

Quanto a produzioni, L'Arena funziona da sempre e Viva Mogol è stato un successo… 

«Per Mogol ho fatto un lavoro importante con Gianmarco Mazzi, ex direttore artistico di Sanremo. Esco rafforzato in termini di esperienze».

Altre serate in programma?

«A breve vedrò il direttore generale e capiremo cosa sarà del mio domani».

Talvolta la accusano di populismo: la fa arrabbiare?

«Se evidenziare che un signore che si è seduto per un giorno in un consiglio regionale per questo porta a casa 3 mila euro al mese è essere populisti, allora lo sono e lo sarò».

In Rai si parla di innovazione, ma tornano: Baudo, Santoro e Lerner.

«Non riescono più a formare nuovi conduttori: i giovani non guardano la tv, fanno fatica a capirla. Forse anche per questo è difficile».

Sta dicendo che la tv è stata superata?

«Direi di sì, per questo si ricorre all' usato sicuro».

Su Raidue non c'è un talk e Semprini sul 3 sta andando male: dov'è il problema?

«L' errore è a monte: quando hai Floris che è il numero uno del martedì, non puoi perderlo. Sennò perdi anche il pubblico».

Allora non è la formula del talk che non funziona più?

«Io dimostro che si possono continuare a fare 4 milioni di spettatori».

Ma lei fa anche inchieste… 

«Sì, forse il nostro è un prodotto contaminato. Penso di poter dire di aver creato qualcosa che va oltre al talk. Non è stato semplice».

In che senso?

«La mia squadra ed io, non siamo amati. Siamo un po' come gli ammutinati del Bounty: brutti, sporchi e cattivi. Siamo visti così. Ci sopportano perché facciamo ascolti. Ma penso sia giusto: dobbiamo continuare a essere brutti, sporchi e cattivi».

Lei si guarderebbe?

«Sì. I riscontri del pubblico mi fanno pensare che il nostro prodotto sia buono. Non sono stati sempre momenti facili per me, ma ho tenuto botta».

Sente la responsabilità di essere un volto noto del servizio pubblico?

«Mi piacerebbe che i programmi fatti coi soldi dei contribuenti avessero un bollino, così ci sarebbe un' ulteriore responsabilità per noi che andiamo in onda coi loro quattrini».

I palinsesti valgono i soldi degli italiani?

«Tutto è migliorabile».

Campo Dall'Orto ha detto che la mission di questo suo mandato è quella di rendere un servizio pubblico educativo, culturale e meritocratico: ci sta riuscendo?

«È una sfida che si deve fare, ma non è detto che si vinca. Io spero ci riesca, sennò ci adagiamo su una tv commerciale che in passato, per non perdere il confronto con le tv berlusconiane, non ha dato frutti interessanti».

A proposito di Berlusconi: abbiamo letto spesso di sue trattative con Mediaset, ma poi è rimasto in Rai.

«Ci sono stati dei contatti, ma ero giovane e avevo paura di far la fine di Mastrota e vendere pentole (ride, ndr). Oggi è diverso, è ovvio che chi fa milioni di ascolti interessa al mercato».

Perché non se n'è fatto niente… 

«All'epoca pensavo di poter costruire il mio percorso indipendentemente dallo share. Ora sono al mio ultimo anno contrattuale nella tv pubblica e del doman non v' è certezza».

Che differenza c'è tra tv pubblica e commerciale?

«Quella di considerare il telespettatore un cittadino e non un cliente».

Ma la logica del servizio pubblico non può fermarsi agli ascolti…

«Sì, ma per chi non li fa non deve diventare l' alibi. Essere servizio pubblico è più difficile, oggi. Ma non può essere una scusa se poi non ti guarda nessuno».

Perché Giletti è considerato servizio pubblico e Barbara D'Urso no?

«Basta guardare i programmi per vedere le differenze. Ho rispetto per il lavoro di tutti, ma le polemiche non mi interessano».

Vi siete recentemente scattati una foto insieme: siete così amici?

«Conosco Barbara da tanto, ci rispettiamo: non riesco a vederla come un' avversaria. Volevo avere anche io un conflitto di interessi», scherza.

Sa già cosa voterà a questo referendum?

«Non mi va di dirlo, mi piace essere super partes. Comunque nessuno mi toglie dalla testa che questo sia un referendum più su Renzi che sulla Costituzione».

Renzi è appena stato a L'Arena. Che impressione le ha fatto?

«È un combattente, come Berlusconi».

Cosa risponde a chi la accusa di avergli lasciato fare un monologo?

«I monologhi televisivi che ho visto sono ben altri. Ha risposto alle mie domande».

Ha fatto molto, ma non Sanremo. Perché?

«Vianello l'ha condotto a 76 anni. C'è tempo...».

Il programma che vorrebbe?

«Mixer, dove sono nato».

Mercato Farmaceutico, Aziende: ARIAD Italy si trasforma e diventa Incyte Biosciences Italy

Mercato Farmaceutico - Aziende: ARIAD Italy si trasforma e diventa Incyte Biosciences Italy


di Martina Bossi



Incyte Corporation ha annunciato nei giorni scorsi la costituzione di Incyte Biosciences Italy Srl, che precedentemente si chiamava ARIAD Italy. Nel maggio 2016, Incyte Corporation ha acquisito la società ARIAD Pharmaceuticals in Europa, ampliando la sua presenza a livello globale con una struttura integrata di ricerca, sviluppo e commercializzazione. Inoltre, l’azienda ha sottoscritto un accordo di licenza esclusiva per lo sviluppo e la commercializzazione di ponatinib in Europa. “Il team europeo si è sviluppato in modo eccellente negli anni, fornendo il proprio contributo scientifico e rafforzando la propria presenza commerciale, oltre a ottenere un know-how approfondito su come soddisfare al meglio le esigenze di pazienti e azionisti in Italia e in altri mercati europei in cui siamo presenti – ha detto Hervé Hoppenot, CEO di Incyte - Il nostro team europeo con Incyte Biosciences Italy in prima linea, collaborerà con i colleghi americani per assicurare all’azienda e ai suoi prodotti una crescita solida negli anni futuri”. L’attività di ricerca farmacologica di Incyte ha avuto inizio nel 2002, guidata dal convincimento che gli investimenti nell’innovazione avrebbero migliorato la vita dei pazienti, potuto fare la differenza nelle cure mediche e prodotto sostenibilità. La base del continuo successo dell’azienda è il personale dedicato alla ricerca, il cui obiettivo è la scoperta e lo sviluppo di farmaci innovativi e di eccellenza.

“Incyte Italy è orgogliosa di mettere a disposizione dei colleghi statunitensi ed europei esperienza, risorse ed elevati standard operativi, al fine di accelerare la crescita aziendale per i nostri azionisti e offrire nuovi farmaci a pazienti e classe medica” ha affermato Giancarlo Parisi, Direttore Generale di Incyte Biosciences Italy. I prodotti commercializzati da Incyte includono ruxolitinib, un inibitore di JAK1/JAK2 che rimane l'unica terapia approvata dalla Food & Drug Administration per la mielofibrosi intermedia o ad alto rischio e la policitemia vera incontrollata, due tipologie di tumori del sangue; e in Europa un potente inibitore del BCR-ABL approvato per il trattamento della leucemia mieloide cronica (LMC) e della leucemia linfoblastica acuta con cromosoma Philadelphia positivo (LLA Ph+) in pazienti adulti resistenti o intolleranti a specifici inibitori della tirosin-chinasi (TKI) di seconda generazione, oppure nei quali è stata identificata la mutazione T315I.

L'ampio portafoglio di prodotti Incyte include lo sviluppo di 14 molecole attive su 11 diversi bersagli molecolari: da un lato alcune terapie immunologiche che mirano a potenziare l’azione del sistema immunitario del paziente e a combattere il tumore, e dall’altro terapie a bersaglio molecolare che mirano a bloccare, direttamente o indirettamente, gli effetti delle mutazioni che provocano il tumore. Il portafoglio di Incyte include anche lo sviluppo di farmaci che potrebbero dimostrare un'utilità terapeutica al di fuori del settore oncologico. Incyte intende sviluppare il proprio portafoglio prodotti sia in monoterapia che in associazione, in modo da fornire i migliori risultati possibili ai pazienti