Feltri-Farina, sfida sull'aldilà: "C'è Vita". "No, non c'è nulla"
Caro Vittorio Feltri!
Che ne sarà di noi? E delle persone che abbiamo amato e sono morte? Svaniremo tutti nel nulla? Queste domande non ce le poniamo mai in modo troppo esplicito, neanche quando siamo soli. Rinviamo la riflessione, oppure abbiamo deciso per il sì o per il no a un dato momento della nostra vita, di solito la prima giovinezza, in attesa di riproporcela all' ultima ora. Ed ecco che il Corriere della Sera in prima pagina scrive: «L' aldilà c' è. Io mi preparo». Camillo Ruini, autore dell' affermazione, intervistato da Aldo Cazzullo, è un cardinale, e la notizia sarebbe stata piuttosto notevole se avesse sostenuto il contrario. Però ci colpisce lo stesso. Vi ha dedicato un libro, con un opportuno punto di domanda ("C'è un dopo?"), e costringe a prendere posizione.
Svolge ragionamenti notevoli. Ma ciascuno ha i suoi. Dico i miei. E confesso anzitutto un fatto, per onestà. Gli argomenti vengono dopo, rispetto alla convinzione. Un po' come la filosofia, secondo Hegel, che viene tardi, sul far del crepuscolo. Gli argomenti sono nati in me quando capita di discutere con chi ha convinzioni diverse. Ad esempio, tu, Vittorio. Io credo esista un dopo, anzi di più. Che ci siano il Paradiso e l' Inferno (anche il Purgatorio). Sono intimamente convinto che nell' ultimo istante, anche chi non se l' aspetterebbe, riceverà nel chiaroscuro della sua coscienza la visita di un angelo (cioè un messaggero, non c' è bisogno di mettergli le ali piumate) che gli dirà: accetti di essere abbracciato da Dio, rinunci alla tua superbia, alla tua disperazione? Insomma: più o meno questo.
È una cosa molto da fanciulli. Ma ne scrive anche San Tommaso d'Aquino, e dunque non dev'essere una faccenda da riderne. Questa convinzione nell' aldilà si è comunicata in me attraverso dei testimoni che mi volevano bene. È una cosa della fede. La fede vuol dire credere in base al racconto di qualcuno degno - appunto - di fede. Sia chiaro. La fede non è un' avversaria della ragione.
Non è irrazionale. Nel caso delle grandi questioni: l' immortalità del nostro "io" e di quello di chi mi sta leggendo ora, la resurrezione, la divinità di Cristo, il sì contempla certo un salto nel buio (Kierkegaard) ma è un salto molto ragionevole. Perché è basato non su nostri ragionamenti e stop, ma sulla consapevolezza che tua mamma, tua nonna, un uomo o una donna che ti hanno colpito con la loro vita e forse la loro morte-non-morte, ti invitano con voce affettuosa a questo rischio. Pascal, il più grande matematico e filosofo del '700, invitava a scommettere sul sì.
Ma questo giuoco non mi ha mai convinto, se fosse un puro calcolo intellettuale. Noi cerchiamo la verità; mettersi a fare i ragionieri, ambarabà ciccì coccò, sull' essenza della vita, su che cosa costituisca il nerbo dell' esistenza, è cosa un po' meschina, toglierebbe il gusto della libertà. (A proposito. Credo nell' inferno, perché so per certo che Dio rispetta la nostra libertà, ama di più la nostra libertà della nostra salvezza, diceva don Giussani. Anche se lui, come Von Balthasar, sperava fosse vuoto).
Io insomma credo perché altri, migliori di me, gente con la faccia da salvati, hanno creduto. So, come dice il più grande filosofo del '900, Heidegger, che «si muore soli». E da solo, in quell' ora, magari tremerò, anzi di certo avrò, letteralmente, una paura del diavolo. Ma mi affiderò(spero!). Un sacerdote che mi è stato molto caro, un gigante, sul letto di morte mi confidò: «Renato, ho paura». Ed ecco che nel dolore dell' agonia diceva «Ah, ah...ve Maria». Voglio morire così. E di certo l' aldilà c' è, ed è proprio come lo immaginavamo da bambini, come del resto insegna il Vangelo: la calda compagnia di Dio, con i nostri cari e un profumo di biscotti.
Non sono romanticherie, anche se la mia prosa vi è portata. Sono certezze che reggono al ragionamento. Mi riferisco all' esistenza di Dio e alla permanenza immortale del nostro io cosciente. Nessun materialismo è mai riuscito a spiegare come sia possibile: 1) la vita; 2) che dalle molecole e dal loro incrocio casuale sia nato qualcosa che pensa la materia, cioè l' io, cioè il tu.
Chi ce l' ha ficcato nella natura questo "io" che pensa e giudica, ed è libero di fare il bene e il male? Da un meno come può sgorgare un più così qualitativamente diverso? Certo, questo io adesso si sostiene sul corpo, col corpo e nel corpo. Ma è più grande del corpo. Senza pianoforte Beethoven non avrebbe composto "Per Elisa". Ma distrutto quel pianoforte, quella musica resta, è immortale.
Non riesci a convincerti del ragionamento? Non riesci a credere a questo argomento, Vittorio? Però una cosa è sicura. La categoria suprema della ragione è la possibilità. Sappiamo così poco, perché non accettare almeno il grande forse?E puntare tutto di noi stessi nella ricerca e nell' affidamento a qualcosa che prometta il massimo e questo sia documentato non da logiche aride, ma da una presenza che è capace di voler bene. Insomma, di amore.
Lo sappiamo quando ci innamoriamo. Diciamo: per sempre. E poi quando l'innamoramento si consolida da torrente impetuoso a lago limpido e azzurro, qualche volta turbato dalla tempesta, certo. Gabriele Marcel, esistenzialista francese, espresse questa verità con le parole: «L' amore è dire all' amato: tu non morirai». Il per-sempre è un' esperienza che abbiamo fatto almeno una volta. Possibile sia un truce inganno? Possibile abbia ragione quel comunista ateo di Jean Paul Sartre che scrisse "La noia" e diceva: «L'inferno è l'altro»?
Io sono certo che tu, amico, che mi leggi, caro Vittorio, non morirai. E non nel senso orientale e induista di una specie di scintilla che rifluisce indistintamente nell' energia cosmica. A me interessa che tu, amico mio, viva, non che persista la tua scia di luce. Il resto. I ragionamenti. Le testimonianze di chi è tornato dal coma eccetera, li lascio alla lettura affascinante del libro di Ruini.
di Renato Farina
Caro Renato Farina, le tue numerose dotte citazioni mi hanno stordito, non convinto. Anche io come te e quasi tutti gli italiani sono nato e cresciuto in una famiglia cattolica dove ho imparato tante cose che hanno influenzato la mia mentalità, stavo per scrivere cultura. Sono portato a esagerare.
Devo però confessare che nonostante gli insegnamenti ricevuti anche dai preti, dei quali sono debitore, non riesco a prendermi in giro fingendo di credere nell' aldilà, visto che l' aldiqua lo avrebbe creato un Dio misericordioso le cui opere tuttavia sono impregnate di crudeltà. Non mi riferisco alle calamità provocate dagli elementi naturali, ma alla natura stessa che è una macelleria a cielo aperto. Basta osservarla per inorridire. Come si fa ad attribuire qualcosa di divino alla ragnatela in cui vengono intrappolate le mosche, che muoiono lentamente mentre il ragno se ne sta in un angolo in attesa di ingoiarle? Uno spettacolino così non mi sembra possibile sia stato inventato da un architetto amante delle proprie creature. Ho citato il ragno e le mosche per semplificare.
La realtà è che gli esseri viventi si sbranano e soccombono sempre i più deboli. Il gatto e il topo sono la esemplificazione più netta dei duelli quotidiani fra poveri animali inventati da chi? Da Dio? Fosse così ci sarebbe da dubitare del fatto che il Supremo abbia voluto costruire il mondo per dimostrare il proprio amore. Non tutto il suo lavoro, ammesso che sia farina del suo sacco, è venuto bene.
Guarda gli scarafaggi. Avrebbe fatto meglio a trascurarne l' ideazione. Potrei scrivere pagine su questo argomento, ma lascio perdere perché non desidero apparire blasfemo. Mi limiterò a dire che rispetto profondamente coloro, come te, capaci di avere fede. Ma non li capisco. Mi sembrano ingenui. Ovvio che l' uomo non sia completamente stupido benché si comporti spesso come tale. Non si rassegna al proprio destino di morituro e cerca di immaginare che la sua vita continui anche dopo. È una forma di consolazione. Crepo qui sulla terra, poi però vado in cielo e lì troverò amici e parenti con i quali canterò in eterno le lodi al signore che ha progettato gli scarafaggi e perfino i dromedari che a occhio nudo non mi sembrano meravigliosi.
Insomma Renato, non sono capace di credere, vorrei ma non sono in grado. Mi viene da ridere. Preferirei essere immortale, sono terrorizzato dalla malattia e dal trapasso con le flebo ficcate nelle vene e una tonaca che mi svolazza attorno. Se mi è difficile concepire il paradiso, figurati l' inferno. Tu dici che abbiamo il libero arbitrio. Una bella concessione. Ma a che serve?
Stando ai tuoi ragionamenti, noi ci comportiamo come ci garba, ma se non ubbidiamo all' altissimo lui ti manda laggiù in bassissimo. Ma che razza di libero arbitrio è? Sono rassegnato alla mia fine verso la quale mi sto precipitosamente avvicinando. Poi sia quel che sia. Ai miei cari raccomando di non fare troppo casino al funerale, e che sulla lapide per favore non incidano "dottor Vittorio Feltri" secondo lo stile invalso nei cimiteri graditi a Foscolo, nei quali ho letto su varie tombe Tizio ragionier Caio. Sono spiritualmente fermo alla livella.
di Vittorio Feltri