Banche e terremoti, la mazzata di Boldrin: "Nel declino noi italiani ci sguazziamo"
intervista di Pietro Senaldi
«Dovevamo fermare il declino, alla fine il declino ha fermato noi. Niente da fare, ormai non vale neppure più la pena di tentare».
Storia di un insuccesso?
«Il successo è stato introdurre la parola declino nello storytelling italiano, per rubare un' espressione a Renzi».
A proposito, non avevate avuto un abboccamento?
«Ci speravo in Renzi. Noi di NoiseFromAmerika (prima di provare con altri creando Fermare il Declino) l' avevamo cercato quando diceva di voler rottamare tutto, ma lui era determinato a restare nel Pd».
Mica scemo...
«A lui interessa vincere, poco gli importa come e per fare che cosa. Se confronto le promesse ai risultati ottenuti, ha prodotto solo schie, come direbbero nel mio Veneto».
Schie?
«Piccoli gamberetti della Laguna, che possono avere uno storytelling ottimo se fritti e abbinati alla polenta».
In Veneto, il padovano Michele Boldrin in realtà non ci vive da 33 anni, quando volò negli Usa per prendersi un Ph.D. in Economia e da lì iniziò a peregrinare per gli States e a insegnare. Quattro anni fa, la tentazione di provarci con la politica insieme a un gruppo di economisti amerikani come lui e altri tre italiani d'orientamento liberale. Ottime premesse, poi all'improvviso tutto si sgonfiò, il movimento fu affossato dal suo stesso front-man, Oscar Giannino, che malgrado quanto dicesse in giro da anni, la laurea non ce l'ha mai avuta, e tantomeno il Ph.D... «A pochi mesi dalla nascita eravamo già al 4%, sarebbe stato un grande successo elettorale, ma non voglio far polemiche, ho chiuso».
Giannino mi ha confessato di essere vittima di difetti congeniti incontrollabili, uno psicanalista mi ha detto che è posseduto da una patologia specifica, pseudologia fantastica sarebbe la diagnosi… «Credo che stavolta dica la verità e che questa si applichi anche ad alcune persone di cui si era circondato».
Ma per la destra italiana non c'è speranza oggi?
«È un dramma politico ed è un dramma antico che ora si sta aggravando, perché in Italia una destra vera e civile non esiste. Esistono Salvini e Meloni, che reputo al limite della follia. Il loro merito è aver riportato alla luce del sole quella destra fascio-razzista, che stimo intorno al 20% della popolazione, che è sempre esistita, ma che la retorica della Liberazione ha tenuto sommersa fino agli anni '90».
Quando parlavo di liberali italiani mi riferivo più all'area forzista...
«Un' Armata Brancaleone di orfani che sono stati assieme perché il collante Berlusconi permetteva loro accesso a posizioni di potere. Ora non più».
Perché l'Italia non ha mai avuto un leader liberale?
«Culturalmente siamo fermi al periodo delle Signorie, mentre economicamente e socialmente la struttura portante è ancora quella fascista, con corporazioni protette dalla concorrenza, micro-imprese scarsamente produttive, dirigismo e tanto Stato assistenziale. Non abbiamo mai avuto un leader liberale perché manca la base elettorale. Chi non è di sinistra, in Italia, solitamente non è liberale ma anarco-individualista, pensa a sé e guai a chi si intromette. Il concetto che la libertà altrui è un limite alla nostra non ci appartiene. Il mantra di ognuno è: meno tasse pago meglio è».
Parla da comunista, non da ultraliberista. D'altronde gli amori giovanili non si scordano mai, giusto?
«Lo dice lei che parlare così è da comunista. Nella subcultura della destra italiana ricordare i principi base dello Stato liberal-democratico è parlare da comunista. In ogni caso, per farla felice, ecco l' aneddoto: in terza media mi cacciarono da scuola perché la professoressa diede un tema sulla strage di Piazza Fontana e io attaccai con "Valpreda è innocente, la strage è di Stato...". Fu il putiferio, d' altronde che colpa ne ho se ho avuto una maturità precoce e Valpreda era effettivamente innocente? Ma ho lasciato il Pci a 22 anni, comunista in fondo non lo sono mai stato, non mi piacevano Mao e Stalin. E nemmeno Cuba. Al massimo comunistoide, se vuole affibbiarmi l' epiteto».
E libertario lo è davvero, o lo è almeno stato?
«Mai detto di esserlo. I libertari sono la versione individualista dei comunisti, stesse utopie pericolose. Predicano che, se educato, l' uomo diventa buono e costruisce il Paradiso in terra. Assurdità contraddette da storia e scienza».
Ma la ricchezza di uno poi non casca a pioggia su tutti?
«Il mercato privo di regole è violento, è la giungla. Quello regolato in modo concorrenziale premia i migliori e conduce all' efficienza e l' efficienza serve a tutti. Ma non è "giusto" a priori, semplicemente è il miglior mezzo a disposizione per organizzare la nostra vita economica. Schumpeter, il migliore, sostiene che il mercato è solo un' organizzazione umana nella quale lottiamo (producendo, innovando e commerciando) per il potere e la ricchezza. La qual cosa è molto preferibile al farlo fuori dal mercato, rubando, distruggendo e uccidendo».
Gli italiani oggi sembrano diventati tutti grillini...
«Noi non abbiamo mai avuto una visione dello Stato sociale. Viviamo in una cultura che mischia il signore che fa l' elemosina al popolino e il popolino che insorge contro il signore. La nostra sinistra è un insieme di lobby che pastura e distribuisce prebende. Oggi che c' è poco da distribuire è emerso M5S, che mischia l' eterna fascinazione per la rivoluzione alla decrescita felice, al mare bello, all' ambientalismo primitivista e a tutti quegli altri concetti che ci siamo inventati per impoverire senza sensi di colpa, anziché rimboccarci le maniche e progredire».
La sua narrazione non spiega gli anni del Boom: siamo arrivati a essere la settima potenza economica al mondo, è stata una casualità?
«Eravamo settimi perché non ce n' erano otto grandi abbastanza nel mondo libero. Quanto si sta bene non si vede dal prodotto interno lordo, ma dal reddito pro capite, e lì non siamo mai stati tra i primi. Gli anni '50 e '60 sono stati l' eccezione, il Paese si è industrializzato favorito da pressioni esterne e da una manodopera a basso costo. Eravamo i cinesi d' Europa e una classe imprenditoriale si stava formando, ma le generazioni successive non sono state all' altezza. E poi…».
E poi cosa?
«E poi l' Italia non è tutta uguale. Nelle città del Nord e di parte del Centro esiste una borghesia di livello europeo che si dà da fare. Discende da quella dei Comuni e in parte dall' influenza dell' Impero austroungarico con qualche spruzzo francese. Ma qui al Sud, dove sono da tre mesi, siamo fermi quasi al Medioevo o alle Signorie, con il potente locale che attraverso lo Stato distribuisce briciole alla plebe. Sono qui in Sicilia: è tutto bellissimo, il mare, le montagne, i templi, il barocco, la cucina, ma quasi nulla di tutto questo è stato fatto dai siciliani di oggi; è stato ereditato e, francamente, non mi pare gestito al meglio».
Restiamo un popolo ricco...
«Sempre meno. Siamo ricchi di case, ma a parte posti come Venezia, Portofino, il centro di Firenze, Milano, Roma, quanto valgono? Hanno perso in pochi anni il 30% del valore. Siamo ricchi di immobili, ma non di azioni, le nostre imprese sono sotto capitalizzate e per lo più non investono».
Negli Stati Uniti, dove vive otto mesi l' anno, come ci vedono?
«Con grande simpatia, per l' arte, il turismo, il cinema, perché le persone sono amichevoli e accoglienti e si mangia bene. Ma dalla Silicon Valley ci valutano solo una variante sofisticata e divertente della Grecia, un museo popolato da persone ferme al Medioevo, dove ogni tanto nasce qualcosa o qualcuno di nuovo e intelligente».
Non c' è proprio nulla da cui ripartire per venirne fuori?
«Quattro anni fa le avrei detto i 10 punti di Fermare il declino, ma ormai abbiamo sprecato troppo tempo. Se proprio devo dire una cosa, rispondo che si deve ripartire dalla scuola».
Se siamo messi così male non ne abbiamo il tempo, non crede?
«Il problema culturale è profondo. Le nuove generazioni sono del tutto impreparate a vivere in un mondo globale, non italo o euro-centrico, dove ci sono persone brave e preparate ovunque e l' orizzonte non si ferma alla pasta, alla pizza e al Rinascimento».
Non è un giudizio troppo severo?
«Precisione, conoscenza, concorrenza e rispetto di regole e accordi sono le armi con cui si combatte nel mondo oggi. E se perdi, non ci sono sussidi. Le sembrano principi compatibili con l' Italia? Ancora ci crediamo un faro di civiltà».
Professore, mi ha montato addosso una malinconia...
«Pensi agli scandali delle banche e al terremoto. Il modo in cui stiamo affrontando queste due calamità dice molto del Paese».
Partiamo dalle banche: non se la prenderà mica con i truffati?
«Insomma. I titoli di Stato a cinque anni rendono lo 0,19% e i risparmiatori credono a chi promette loro guadagni senza rischi. Nessuno si responsabilizza, nemmeno rispetto al proprio denaro, crediamo ai miracoli».
Mi scusi, ma io tendo a dare più colpe alle banche...
«La Popolare di Vicenza ha lasciato sul lastrico 130mila famiglie, in pratica una provincia. Ma Zonin era riverito come un doge a Vicenza, nei 25 anni in cui è stato presidente dell' istituto tutti facevano a gara per compiacerlo. Ancora oggi, chi lo tocca? Negli Usa il miliardario Bernie Madoff è stato condannato a 150 anni di carcere per aver truffato i suoi investitori. Conosco persone a cui ha fatto perdere soldi, ma tutti quando ne parlano per prima cosa dicono "sono stato uno stupido", non "lui è un criminale", malgrado perfino Wikipedia lo definisca così».
Con i terremotati perché ce l' ha?
«Non ce l' ho con i terremotati, ma con il modo in cui stiamo gestendo il sisma, una reazione solo emotiva condita da tanta retorica e propaganda».
Non è vero, il Paese si sta interrogando sulla mancata prevenzione, stiamo aprendo inchieste...
«È impopolare dirlo, ma vale la pena ricostruire paesini quasi abbandonati su terreni altamente sismici? Come l' esempio di Norcia prova, i morti si sarebbero potuti evitare se le amministrazioni locali avessero fatto il loro dovere! E anche se lo Stato avesse detassato le ristrutturazioni antisismiche o avesse attuato seri piani nazionali come hanno fatto Cile e Giappone, dove scosse del 6° scala Richter producono danni limitati e uccidono solo pochi sfortunati. Finiamola con le sinfonie patriottiche consolatorie».
Mi lasci con un messaggio positivo, la prego…
«Il mio messaggio è positivo. Per cambiare occorre conoscere gli errori e riconoscerli! Qualsiasi società cresce se a quel 5-10% di cittadini in grado di far le cose meglio degli altri e vogliono farle è consentito lavorare. Il restante 90-95% va a rimorchio, meglio riconoscerlo. Quel 5-10% c' è anche in Italia: facciamolo lavorare in pace».
Basta questo?
«È già qualcosa. Ma il vero problema è che in Italia ci sono milioni di confusi e sottomessi, convinti di essere dei privilegiati perché ricevono 80 euro in più o una pensione anticipata o lo sgravio fiscale. Un' immensa illusione sociale in cui i servi non si rendono conto della propria condizione perché il padrone ogni tanto getta loro una bistecca. L' Italia fermerà il declino se i servi romperanno l' omertà con le signorie. Ma lo possono fare solo le prossime generazioni, e qui si torna all' importanza della scuola».