Ritratto di D'Alema il signore dei No, che cosa c'è dietro l'odio per il Premier Matteo Renzi
di Giancarlo Perna
D'estate quando i politici vanno in ferie, c'è sempre uno di loro che approfitta delle assenze per prendersi la ribalta. Spesso è il colpo di coda o canto del cigno, chiamatelo come volete, di uno che contava e che ormai non conta più. Prima di rassegnarsi al dimenticatoio, Pierferdinando Casini - per fare un esempio - era un abbonato alle uscite ferragostane pubblicate con evidenza dai giornali in mancanza d'altro. Una volta, ricordo, propose un'alleanza trasversale - centro, sinistra, sinistra estrema - per liberare l' Italia da Silvio Berlusconi. Erano giorni torridi, oltre i 40 gradi. Con le prime brezze di settembre, puntualmente, Casini tornava nell'alveo del suo partito zero virgola, che allora si chiamava Udc, oggi non so, ibernandosi per un anno. Un altro che per alcuni agosti non ci ha fatto mancare i titoloni, è stato il capo di An, Gianfranco Fini.
Era l'epoca in cui, da presidente della Camera (2008-2013), voleva annichilire il Cav. Mai però contrapponendosi a viso aperto per contendergli la leadership - non ne aveva i mezzi, né l'ingegno - ma solo a furia di agguati e insulti. Occupato in questi funambolismi, evitò di spiegare il come e il perché di quell' appartamento monegasco che, ereditato dal partito da un' anziana signora, finì garçonnière del cognatino Tulliani. Un mistero tuttora intatto.
GLI AVVERSARI
Simile a Fini nello stile è il fenomeno da baraccone di questa estate: Massimo D'Alema. Già pezzo da novanta della sinistra, Max - che politicamente non conta più un tubo - è però richiestissimo come anti Renzi. È l'attrazione principe delle varie Feste dell' Unità, dove si esibisce come oppositore del segretario, tra gli applausi dei cuperliani e i lazzi dei mariaelenaboschisti. Il suo cavallo di battaglia è il No al referendum. Del quale in realtà non gli importa un piffero ma che usa come piede di porco per scalzare Matteo Renzi. Il giovanotto fiorentino è la sua ossessione del momento.
Max ha sempre qualcuno che gli sta antipatico. Magari uno con cui era in amorosi sensi fino all'istante prima. Ai tempi di Achille Occhetto segretario Ds, ne era il vice e gli scodinzolava attorno. Ma appena Occhetto è inciampato, perdendo nel 1994 il confronto elettorale col Cav, gli ha impietosamente soffiato il posto, dandogli un pedatone come nemmeno al peggior nemico. Idem con Walter Veltroni. Per anni, i due sono andati a braccetto come Bibì e Bibò ma poi, ogni volta che Walter gli ha chiesto di tendergli una mano, l' altro gli ha mostrato i moncherini.
Torniamo all' ostilità per Renzi. D' Alema da tre anni non è più nemmeno deputato e da otto non ha un incarico. Poiché era stato segretario del partito (1994-1998), premier (1998-2000) e ministro degli Esteri (2006-2008), essere a spasso gli secca. In fondo, ha solo 67 anni - che per un politico equivalgono ai 30 dello sportivo - ed è a bocca asciutta da quando ne ha 59.
Allora, di fronte a questo deserto, il fatto che Renzi neppure abbozzi il gesto di recuperarlo, lo manda in bestia. Ma come, perdinci, tu hai uno come me che sul Colle ci starebbe a pennello, per esperienza, baffi e phisique du role, e ci piazzi quella minestrina scipita di Sergio Mattarella? Che fai, sfotti? E vogliamo parlare di Federica Mogherini, che hai preferito a me come ministro degli Esteri Ue, quando lei non sa neppure dove sia il Tahuamanu, mentre io sono di casa a Kalam, Junin, Bacsalmas e a Zonguldak?
LA MINORANZA
Quindi, l'irrispettoso e arrogante Renzi è nel suo mirino. Max, ovviamente, nega di avercela con l' ex boy scout ma poi ci casca. Nell'ultima tappa della sua tournée festivaliera, a Villa Bellini di Catania, ha esordito: «Non faccio parte di nessuna minoranza, faccio parte di me stesso». Cartier-Bresson non l'avrebbe fotografato meglio: che Max sia un mondo a sé, sordo agli altri, non ci piove. Ha poi aggiunto: «Renzi a me non interessa…» e subito dopo lo ha fatto a fette: «La sua spinta innovatrice si è affievolita. Sta diventando un politico come gli altri, con tutti i peggiori difetti di un politico normale». Il che sarà pure vero ma non spiega perché. Lo stesso fa con il No al referendum. Sostiene che la riforma del Senato sia pessima, analfabeta, pericolosa e che lui, con tre modifiche tre, sistemerebbe tutto. Però non porta una pezza d' appoggio e sorvola.
Anzi, l'unica affermazione chiara che ha azzardato è risultata una balla. Qualcuno, nel dibattito, gli aveva fatto osservare che se appartieni a un partito dovresti seguirne la linea e, nel caso specifico, votare Sì come chiede Renzi. Al che Max, facendo sfoggio di erudizione, ha ribattuto che il costituente Concetto Marchesi, mitico latinista, votò contro la Carta del 1948, disobbedendo al capopartito, Togliatti. Neanche si era spento l' eco della voce tra gli zefiri di Villa Bellini che, testi alla mano, si ristabilì la verità storica: Marchesi non si oppose alla Costituzione ma solo all' articolo 7 che recepiva i Patti Lateranensi; non aveva votato contro ma si era assentato dall' Aula; Togliatti lo aveva autorizzato a farlo e quindi non gli aveva disobbedito. Se le critiche di Max alla riforma hanno lo stesso fondamento, stiamo freschi. In realtà, come sappiamo, quella di D' Alema è un' idiosincrasia personale verso il Premier che lo ignora sfacciatamente. Qui sta anche l' analogia, già accennata, con quell' altro disturbatore estivo che fu Fini. Come costui con Berlusconi, anche D'Alema anziché opporsi apertamente a Renzi e sfidarlo per la supremazia nel Pd, si limita a mettergli i bastoni tra le ruote. Non è che abbia una visione alternativa del partito, dell' Italia, dell' Ue o quant'altro, vuole solo rompere le scatole, senza metterci la faccia. Un mero guastatore, difetto che a vent' anni si tollera ma alle soglie dei settanta ti squalifica.
IL RAPPORTO CON VIOLANTE
Tempo fa, Luciano Violante scrisse sul Corriere un articolo di analisi psicologica dei vecchi in politica. Violante è noto a tutti. Ex magistrato entrato in giovane età in Parlamento nei ranghi del Pci e considerato per decenni il capo del partito dei giudici sinistri e sinistrorsi. Con D'Alema - come con tutti gli altri capi comunisti - Violante è andato d' accordissimo tanto che fu innalzato alla presidenza della Camera (1996) durante la sua segreteria. È, dunque, insospettabile di malanimo. Eppure, sul Corriere prende proprio D'Alema come esempio negativo di politico che invecchia male, tra presunzioni, rancori e invidie. Non lo nomina mai, però è riconoscibile come la sagoma di Alfred Hitchcock nei suoi film. «Uno dei difetti dei vecchi, in politica - scrive Violante -, è pensare a se stessi come i più scaltri e quindi insostituibili... I vecchi hanno memoria e storia, ma a volte si tratta di vetri appannati… I vecchi devono soprattutto evitare di riproporre se stessi. Il rischio è di diventare penosi». È strapparmi le parole di bocca, tanto il ritratto è preciso.
Certo, osserva ancora Violante, diverso sarebbe se il vecchio sfidasse apertamente il giovane per la leadership. Se però non lo fa, per mancanza di energie o altro, come non lo fa D' Alema, taccia e rispetti chi si è assunto la responsabilità della guida. E qui, pare che Violante parli di sé. L'ex giudice infatti, ormai settantaquattrenne, si guarda bene dal cadere nella sterile stizza dalemiana e, nonostante Renzi trascuri pure lui (non gli ha ottenuto il seggio di giudice costituzionale nel 2014), evita di denigrarlo sulle riforme. Anzi, voterà Si al referendum e, per spiegarlo, ha scritto in una nota - pubblicata on line dall' Huffington Post - che è, finora, la più completa illustrazione della ragioni a favore. Pure qui, è come se dicesse a Max, da vecchio a vecchio: ecco il ruolo della nostra età, ragionare e illuminare le cose difficili. Senza contendere rabbiosamente alle nuove generazioni gli anni che sono i loro. Ma figurati mai se D'Alema o Berlusconi ci sentono da quell'orecchio.