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giovedì 11 agosto 2016

"QUANTO HO IN BANCA" Un clamoroso Matteo Renzi: ecco le cifre (mai visto prima)

"Quanto ho in banca". Un clamoroso Matteo Renzi: ecco le cifre (mai visto prima)



Quanti denari accumula un presidente del Consiglio? Matteo Renzi non si fa troppi problemi a dirlo, e forse è il primo premier a farlo. Alla festa de l'Unità di Villalunga, interpellato sulla questione da Enrico Mentana, Renzi senza girarci troppo attorno ha affermato: "Io in banca ho 30mila euro, i politici guadagnano tanto rispetto ai cittadini normali, ma guadagno più o meno quanto guadagnavo quando facevo il sindaco di Firenze". E sempre parlando di denari, Renzi ha chiosato sulla vicenda Banca Etruria: "Certo che abbiamo scontato la vicenda delle 4 banche e in particolare Banca Etruria, ma abbiamo preso il cda e lo abbiamo commissariato, quindi non solo la legge è uguale per tutti ma è strauguale per tutti, anche se siamo passati per chi ha salvato le banche. E chi dice che lo abbiamo fatto per salvare il babbo della Boschi - ha concluso - sappia che noi abbiamo la coscienza pulita in questa vicenda, anzi di più, pulitissima".

Alex Schwazer risponde al telefono "Alcol, microdosi e...": drastico sfogo

Alex Schwazer risponde al telefono. "Alcol, microdosi e...": drastico sfogo



Ormai è tristemente arcinoto: otto anni di squalifica, carriera finita, figurarsi le Olimpiadi. I signori dell'antidoping hanno silurato, calpestato, umiliato Alex Schwazer. Lui ha reagito in silenzio, sfuggendo alla conferenza stampa e rifugiandosi in un bar, da solo, silenzioso. Poi una battutaccia contro i giornalisti e la fuga in macchina lungo le strade di Rio de Janeiro, la città in cui doveva risorgere e dove invece è stato ucciso. Ha fatto passare lunghe ore, Schwazer, prima di parlare. Poi ha risposto al telefono. Lo ha fatto con l'agenzia di stampa Agi, con la quale si è sfogato.

"Se avessi preso microdosi di testosterone non avrei potuto festeggiare, sarei dovuto andare a dormire alle nove di sera e soprattutto non avrei dovuto bere alcolici. I fatti, documentati con testimoni, dimostrano il contrario perché sono ritornato a casa alle 4". Esordisce così il campione, entrando subito nel merito della difesa presentata al Tas di Losanna. "Sono stato io ad insistere a venire qui in Brasile per l’udienza di fronte al Tas. Volevo metterci la faccia per non lasciare nulla di intentato. Sandro (il suo allenatore Sandro Donati, ndr) e anche l’avvocato Brandstaetter mi avevano sconsigliato", ha aggiunto.

Ma tant'è, il Tas ha di fatto distrutto la carriera sportiva dell’altoatesino basandosi sulla presenza di testosterone nelle sue urine e non ha preso in considerazione tutto l’esame dove i legali e i periti di parte avevano dimostrato "l’assoluto profilo antidoping". In occasione della conferenza stampa tenutasi sulla terrazza dell’hotel, alla quale non era presente Schwazer, l’allenatore Sandro Donati ha affermato: "È stata tutta una beffa per umiliare Alex che resterà per sempre il miglior marciatore del mondo anche perché nelle due gare che ha fatto non ha ricevuto alcuna proposta di squalifica. Lo hanno voluto eliminare e ci sono riusciti. Questo è un comportamento persecutorio nei suoi confronti".

L’operazione di redenzione di Schwazer, iniziata il primo aprile del 2015, è complessivamente costata all’atleta circa 50mila euro, spesa che non è stata supportata da alcun sponsor ("Alex si è pagato tutto di tasca sua"). "Apprezziamo che il Tas abbia ordinato la compensazione delle spese processuali perché la Iaaf (federazione mondiale di atletica, ndr) aveva beffardamente chiesto che pagassimo noi tutto il procedimento - ha concluso Donati -. Percorreremo la strada giudiziaria fino in fondo. La Procura di Bolzano si focalizzerà sui controlli antidoping, quella di Roma su altri aspetti altrettanto molto gravi".

L'Intervista chiave - Denis Verdini, Alfano, Stefano Parisi e... Giacomo Portas, l'uomo che può ricattarli

L'intervista chiave - Giacomo Portas, l'uomo che può ricattare Verdini, Alfano, Parisi e Lupi


intervista a cura di Pietro Senaldi


Giacomo Portas

Ma allora è vero che il segreto dei vincenti in politica è vedere le cose prima degli altri?

«Pratico l' umiltà, io vincente non sono. Certo, se si riferisce all' intuizione che ho avuto nel 2005…».

Il Partito dei Moderati…

«Allora era una parolaccia. Si diceva centristi, cespugli, ex diccì. Era il tempo degli estremismi, la sinistra a palle incatenate contro Berlusconi, i camerati di An, la Lega che voleva imbracciare i fucili. Peggio di adesso».

Come le venne l'idea?

«Ero un dirigente d' azienda con piccoli precedenti in politica, assessore nel paese di San Mauro per una lista civica. Con un gruppo di amici di Torino depositammo il simbolo del Partito dei Moderati e l' anno dopo sosteniamo Chiamparino nella corsa a sindaco: subito 4% e due consiglieri».

Subito a sinistra… 

«L'avversario era Buttiglione, persona stimabile ma di Gallipoli».

Come arriva in Parlamento?

«Non eletto, come tutti. Veltroni nel 2008 mi candidò in una buona posizione perché gli interessava avere il simbolo dalla sua in Piemonte».

Anche lei una figurina di Walter?

«Questo non glielo permetto, avevo il mio degno percorso politico alle spalle. Attualmente mi definisco un ospite del Pd, che mi ha candidato due volte, mi ha sempre rispettato e pertanto non lascio».

Giacomo Portas, 57 anni, sardo-piemontese, pressoché sconosciuto al grande pubblico malgrado si aggiri in Parlamento da oltre otto anni, è uno degli uomini più corteggiati da chi invece in Transatlantico ci naviga e vorrebbe continuare a farlo. Merito di quell' invenzione di undici anni fa, la sua mossa del cavallo si può definire visto che è scacchista provetto: il simbolo dei Moderati. «Oggi c' è una corsa a definirsi moderati» si compiace Portas «ma solo io sono l' originale, ho ricevuto molte proposte ma il simbolo non lo mollo, faccio io la selezione».

Ma non era quello umile lei?

«E lo resto. Ma dalle vacanze alla politica, faccio le cose solo con chi mi va a genio. Questa è la mia ultima legislatura con il Pd, dieci anni da ospite possono bastare, poi o il partito decolla su scala nazionale o lascio la politica. Tanto non mancherei a nessuno».

Il coordinamento unitario per il Sì al referendum che ha lanciato con Alfano, Verdini, Zanetti e Tosi è la prova gerale del decollo?

«No, quell' iniziativa è legata solo alla riforma, che reputo giusta perché taglia i parlamentari ed elimina la doppia fiducia per l' approvazione delle leggi. E poi se Renzi perde il referendum sarà il caos: lui si dimette e si va a elezioni ma prima bisognerà fare la legge elettorale, visto che la Consulta boccerà l' Italicum. Già mi immagino le pressioni dell' Europa, lo spread che decolla, le risse in aula».

Facciamo i conti: quanto valgono i Moderati?

«A Torino in giugno abbiamo preso il 6%, contro il 5 della Lega e di Forza Italia. Siamo il terzo partito in città. Ed era un voto politico, altro che balle».

Col 6% non va da nessuna parte.

«Dipende da quale sarà la legge elettorale. E poi i moderati in Italia sono il 30%, abbiamo fatto degli studi».

A parole forse, ma non nelle urne. E poi che cos' è un moderato?

«Un estremista del buon senso. Pragmatismo è la nostra parola d' ordine, niente urlatori è il nostro stile, priorità agli interessi delle famiglie, delle imprese e delle persone normali è il nostro manifesto elettorale».

Ma il moderato è di destra o di sinistra?

«Mi sono sempre collocato nel centrosinistra e ci rimango».

Confessi, lei è il solito ex dc?

«Ho votato Dc, poi Liberale».

Facciamo la squadra: a chi dà la patente di moderato? Alfano?

«Moderato ad honorem. È molto più bravo di quanto non sembri».

Peccato sia segretario del Nuovo Centrodestra e che lì vuole tornare… 

«Per ora è al governo con il Pd».

Lupi?

«Moderato».

Ma governa con Maroni in Lombardia: moderato anche lui?

«Moderato leghista, quindi non va bene per me».

Tosi pure era leghista… «Solo per ragioni territoriali, nel cuore non lo è mai stato».

All'iniziativa per il referendum c' era anche Verdini, che sta al governo: moderato anche lui?

«Verdini non sta al governo, dà un appoggio esterno. Denis è simpaticissimo ma ha poco da spartire con me. E poi ha gestito Forza Italia per anni, è lì che deve tornare».

E se bussasse Tremonti?

«Lo stimo moltissimo e condivido molte sue idee in economia ma ha più feeling con la Lega».

Non mi dica che le sta simpatico anche Zanetti?

«Ma quelli di Scelta Civica non sono politici, come non lo era Monti, che era un liquidatore».

Parisi è un moderato?

«Di Parisi vado pazzo. Manager abituato all'azienda, sempre calmo, competente, con una visione».
Peccato che se lo sia preso Berlusconi: sta nel centrodestra… «Ma Berlusconi - che in politica è molto moderato, meno in altre cose della vita e nell'attività di imprenditore - si stanca presto di chi arruola. E poi Parisi era socialista, ha lavorato per il governo Prodi. È così bravo perché ha fatto buona scuola politica».

Proprio ieri ha dichiarato che i moderati li aggrega lui e ha ripetuto che si colloca nel centrodestra. Come la mettiamo?

«Io sto nel centrosinistra, ma non ho Salvini. Parisi torni alle origini».

Ambisce ad allestire una squadra di campioni: con lei capitano?

«Noooo, io do il mio contributo. Ma sono tanto pigro, non potrei mai girare l' Italia come una trottola per fare comizi, non è la mia vita».

E da pedone dei moderati vuole dare scacco matto al re?

«Impossibile, solo ogni 1270 partite un pedone dà scacco matto».

Mi parli di chi la ospita: chi è più moderato tra Renzi e Bersani?

«Sono un vero democristiano e le dico che sono molto amico di Bersani, che reputo una delle migliori persone in Parlamento, e ho ottimi rapporti con Renzi, che ha fatto delle cose importanti, prime fra tutte il Jobs Act e la riforma costituzionale».

La domanda però era un' altra...

«Bersani è moderato come sensibilità e nel suo proverbiale buonsenso. Renzi lo è nella linea politica. Meno nei modi, ma è colpa dell' Italia, che non è avvezza agli ardori giovanilistici e alla dura chiarezza del premier».

Quei due distruggeranno il Pd?

«Quei due devono trovare il modo di andare d' accordo, e il Pd governerà per vent' anni».

A proposito, quando si vota?

«Nel 2018: il referendum si vince».

E con quale legge elettorale?

«Non credo che si voterà con l' Italicum. D' altronde lo stesso Renzi ha detto che non è un dogma».

A quel punto lei si riattacca al carro del Pd con i Moderati nella coalizione di centrosinistra?

«Guardi che io sono sempre stato cercato. La sfida comunque è fare finalmente un partito nazionale, indipendentemente da qualsiasi legge. Altrimenti, ritirarsi».

E se contrariamente a quanto crede la legge elettorale non dovesse cambiare?

«Proveremo a presentarci ugualmente e vedremo chi si unirà a noi e se gli elettori ci premieranno».

La vedo difficile, siamo in un sistema tripolare… 

«Aspettiamo, due anni sono lunghi. Lasciamo governare Raggi e Appendino e vediamo se gli apprezzamenti per M5s resteranno così alti».

Cosa fa, gufa?

«No, da torinese spero che la Appendino governi bene. Devo dire però che almeno finora non sta portando molta fortuna alla città. In poco più di un mese ha perso Salone del Libro ed Exor, la cassaforte Fiat».

I grillini proprio non le vanno?

«Sono moderato. Comunque una cosa in comune con loro ce l' ho. Anche noi moderati abbiamo rinunciato ai contributi pubblici: 250mila euro che abbiamo destinato a un fondo contro la disoccupazione».

Quante truppe ha il Partito dei Moderati oggi in Parlamento?

«Fini ne aveva decine con lui e ciononostante, malgrado si presentasse da presidente della Camera uscente, non è riuscito a farsi eleggere. C' è la strana convinzione che ai passaggi in tv e ai parlamentari che si riescono a mettere insieme in Parlamento, magari con una secessione o strappandoli da altri partiti, corrisponda una forza elettorale direttamente proporzionale. Mi sembra che questa convinzione abbia fatto solo grandi vittime».

D' accordo, ma quanti siete?

«Quattro, ma io in realtà come le ho detto sto nel Pd. Gli altri sono Fornisano, che arriva dall'Italia dei Valori, e i socialisti Di Lello e Di Gioia».

Come sta l' Italia oggi?

«Meglio di tre anni fa».

Perché da noi la crisi non finisce mai?

«Perché abbiamo un debito pubblico mostruoso».
Che Renzi ha aumentato… «Renzi ha tagliato, ma se il Paese non cresce c' è poco da fare».

Come fa a crescere se è massacrato di tasse per coprire il debito?

«Guardi che i guai iniziano negli anni '90, quando le nostre aziende sono state aggredite da tedeschi e francesi, che le hanno comprate a pezzi e noi siamo stati costretti a cederle sotto il ricatto del debito: "volete che vi compriamo il debito? Vendeteci i gioielli", il gioco era questo».

Ricatto anche nel 2011, per far cadere Berlusconi?

«Nel 2011 i bot italiani rendevano il 9%. Come mai Deutsche Bank se ne è liberata dall' oggi al domani per un valore di 7 miliardi? Nessuna azienda lo farebbe senza avere un secondo fine, sono veramente poche quelle che realizzano utili annui del 9%».

La madre si Stasi, dà il suo cellulare "Chiamatemi. Qualcuno sa, ma non..."

"Chiamatemi al 333-253...". L'appello della madre di Stasi: "Qualcuno sa, ma non parla"



"Sono Elisabetta Ligabò. Mio figlio Alberto è in carcere da otto mesi. E se lo meritasse, credetemi, lo sopporterei. Ma io sono certa che lui è innocente e sono anche certa che qualcuno sa la verità ma non la dice. Per questo ho deciso di rompere il silenzio di questi lunghi anni e di rivolgermi direttamente a chi sta custodendo questo terribile segreto: parlate, vi prego”. Inizia così l'appello della madre di Alberto Stasi, in un pezzo pubblicato sul settimanale Giallo. Si parla, ovviamente, dell'omicidio di Chiara Poggi, per il quale Stasi, lo scorso dicembre, è stato condannato in via definitiva a 15 anni di reclusione.

Mio figlio è in carcere e io non ci dormo la notte, perché so che qualcuno sa la verità ma non la dice. La mia non è una speranza: Garlasco (Pavia) è una certezza. Quindi mi rivolgo direttamente a voi, che sapete chi ha tolto la vita a Chiara. Io vi prego: so che avete paura, lo capisco, ma mettetevi una mano sulla coscienza. Alberto ha 33 anni ed è in prigione. Non vi chiedo di mettere a rischio la vostra vita. Non pretendo che siate coraggiosi: ci sono molti modi anonimi per farmi arrivare informazioni e notizie. Per questo voglio darvi una mail e un numero di telefono. La mail è aiutiamoalberto@yahoo.com, il numero è 333.2537691. Scrivetemi, chiamatemi. Non voglio sapere chi siete, voglio solo sapere quello che avete visto. Stando zitti non fate un torto solo a Chiara, che merita giustizia, ma distruggete un’altra persona, mio figlio, che non è ancora morto, ma che non ha più una vita".

Un clamoroso appello, quello di mamma Elisabetta, che mette a disposizione addirittura il suo numero di cellulare e dei suoi riferimenti privati, convinto che qualcuno possa sapere cosa è successo a Chiara Poggi. "Nemmeno i giudici sono riusciti a dire per quale motivo mio figlio avrebbe ucciso Chiara. Lui la chiamava 'amorino', stavano per andare qualche giorno in vacanza assieme, la sera prima avevano mangiato la pizza, erano giorni felici, lei lo incoraggiava, lui stava per laurearsi, aveva il futuro a portata di mano e nessun motivo per giocarsi la vita. E poi io lo conosco da trent’anni, mio figlio: un assassino dagli occhi di ghiaccio? Ma per carità. Se lo pensassi, se avessi anche solo un minimo dubbio, ve lo giuro, lo amerei lo stesso e allo stesso modo e non lo abbandonerei mai e poi mai, ma lo guarderei scontare la sua pena, in silenzio, perché sarebbe giusto così", conclude il suo disperato appello.

Napoli, aumentano i ricoveri estivi negli ospedali per anziani e clochard

Napoli - Aumentano i ricoveri Si moltiplicano le richieste d’aiuto al “Call center della solidarietà”. 


Salvatore Isaia
Presidente di Federsociale

NAPOLI - "Nel periodo estivo centinaia di anziani vengono letteralmente ‘parcheggiati’ negli ospedali campani, attraverso ricoveri ‘impropri’, spesso effettuati dai familiari per poter andare in vacanza”. L’allarme viene lanciato da Salvatore Isaia, presidente di Federsociale e dell’Osservatorio per la Terza età. 

“Il boom dei ricoveri estivi nei nosocomi, causato anche dell’aumento delle temperature registra, in molti casi, l’esaurimento dei posti letto disponibili, costringendo i sanitari alla degenza in barella e addirittura nelle corsie, in tal modo si aggravano i metodi di soccorso e crescono ulteriormente i costi della spesa sanitaria. Purtroppo non ci sono nella nostra regione strutture intermedie pubbliche o convenzionate – ha aggiunto Isaia - in grado di garantire l’assistenza ai clochard e agli anziani fragili e ormai aumentano sempre più i familiari che ‘adottano’ lo stratagemma del nonno che ha un malore e necessita delle indispensabili cure ospedaliere, anche in presenza di rischiose patologie. Per contrastare questi fenomeni occorre il contributo di tutti, innanzitutto delle Istituzioni che dovrebbero intervenire attraverso la realizzazione di piani strategico-operativi contro la solitudine degli anziani e non attraverso singole iniziative. Occorre potenziare l’offerta dei servizi sociali nei territori dove l’isolamento è più accentuato, avendo una chiara mappa delle fragilità presenti nella nostra regione, che consenta provvedimenti concreti, in particolare dopo i notevoli tagli imposti dalla spending review anche a questo complesso segmento”.

"Aumentano sensibilmente anche le richieste di aiuto al “Call Center della solidarietà”, attivo 24 ore al giorno dal primo agosto, allo scopo di dare informazioni agli anziani e ai cittadini che rimangono in città sulle strutture socio-sanitarie aperte. Grazie alla collaborazione con Federfarma, le farmacie consegnano medicinali agli anziani impossibilitati a muoversi. Non dobbiamo dimenticare - ha continuato Isaia - che il 35% degli anziani in Campania non ha assistenza sanitaria. Basti pensare che le case di riposo sono solo 231 contro le 876 della Lombardia e le 810 della Sicilia. Gli anziani over 65 in Campania sono più di 940mila. La percentuale di disabili, tra questi, è del 22,6%".

“Ad agosto le persone anziane hanno necessità di un’assistenza maggiore perché tendono a disidratarsi per la dispersione di liquidi con la sudorazione ed il primo consiglio dei medici di base è di far bere almeno due litri di acqua nel corso della giornata. Anche l’assunzione dei farmaci si complica per la scarsa idratazione: i medicinali assorbiti nel sangue trovano una componente liquida ridotta e quindi potrebbero subire una maggiore concentrazione e un effetto controproducente. In alcuni casi, senza un'opportuna assistenza, si rischia solo di far peggio, tentando il ‘rimedio fai da te’, ovvero riducendo autonomamente il dosaggio delle cure o addirittura interrompendo le terapie, senza l'indispensabile consultazione del medico. Poi, in alcuni casi - ha concluso il numero uno di Federsociale -, abbiamo anche registrato che i pensionati non acquistano i farmaci e non si sottopongono ai necessari esami diagnostici perché non hanno i soldi per pagare il ticket”.

Perché questi due ci hanno scocciato Boldrini e Grasso? Ci faranno invadere

Perché questi due ci hanno scocciato. Boldrini e Grasso? Ci faranno invadere


di Marco Gorra



La cosa strepitosa è che sono riusciti a far rimpiangere predecessori di cui mai nessuno si sarebbe sognato di provare anche solo la più blanda nostalgia.

Ad appena tre anni dall’insediamento al vertice delle rispettive assemblee, i presidenti di Senato e Camera Pietro Grasso e Laura Boldrini risultano infatti non solo avere dissipato il non poco credito di cui godevano all’elezione (erano pur sempre i campioni della società civile, che diamine) ma addirittura essere finiti sul gozzo di un numero sempre crescente di cittadini ed elettori. In altre parole: dei Cip e Ciop del civismo prestati alla politica, della loro spocchia, della loro banalità e del loro ditino perennemente alzato non se ne può più.

L’ultimo exploit è ancora fresco. Commemorazioni di Marcinelle, consueto cerimoniale di mandarini officianti e retorica sulle valigie di cartone e il sogno dell’Europa. Non bastassero, i nostri provvedono ad operare il salto di qualità: tra gli italiani in miniera degli anni ’50 e gli immigrati in barcone di oggi, dicono, gran differenza non c’è. Più esplicita la Boldrini, che l’altro giorno ha deviato dal discorso sui minatori per ricordare che è nostro dovere accogliere «i migranti, i rifugiati» i quali «sono costretti ad andare via». Più sottile Grasso: «Ripensare a come eravamo e vivevamo», ha buttato lì ieri, «rafforza la nostra determinazione ad accogliere con spirito di solidarietà chi oggi è costretto a migrare».

PIETÀ DI NOI
Di buono c’è che l’accostamento tra i nostri paisà di allora andati a spaccarsi la schiena sotto la terra e ad essere cittadini irreprensibili sopra e gli immigrati di oggi venuti qui ad approfittare dell’Europa nell’ipotesi migliore o a farne saltare per aria un pezzo nella peggiore è talmente lunare che non necessita di essere approfondito. Lasciando così maggiore spazio alla panoramica delle gesta dei nostri.

I quali agiscono in curiosa simbiosi: pur differendo quanto a cavalli di battaglia, aree di riferimento, mire personali ed altre quisquilie, i due colpiscono sempre uniti. Quale che sia la questione che finisce loro a tiro, si può stare sicuri che la loro risposta sarà sempre quella più politicamente corretta, quella più conformista, quella più lisciapelo dell’opinione pubblica, quella più ipocrita.

Prendiamo Grasso. Che da ex magistrato predilige il campo della giustizia. E che non perde occasione di strizzare l’occhio ai settori più manettari del Parlamento (e relative propaggini mediatiche) facendo sfoggio di giacobinismo. Per dire, la settimana scorsa è arrivato ad invertire d’autorità l’odg dei lavori per anticipare le votazioni sull’arresto del senatore Antonio Caridi, onde evitare la possibilità che il tutto slittasse a dopo le ferie con relative polemiche sulla Casta che salva gli inquisiti. Giammai: agenda ribaltata, Caridi a Rebibbia e ddl sull’editoria (evidentemente meno importante) rinviato a settembre.

Delle forzature procedurali, d’altronde, il nostro è virtuoso: si tratti della decadenza di Silvio Berlusconi o degli emendamenti al salva-Roma, della cacciata di Augusto Minzolini o della discussione sulle unioni civili, l’unica certezza è che Grasso farà il possibile per piegare l’Aula alla propria convenienza. Cioè il risultare sempre come il più intransigente, il più puro, il più inflessibile.

Ed è naturale: prevedendo per se stesso una luminosa carriera nel firmamento delle istituzioni (Colle o Palazzo Chigi), Grasso non perde occasione per cementarsi il consenso: ed essendo parimenti malvisto da centrodestra e Pd renziano, non potrà che bussare da sinistra e grillini, cui non par vero di aprire la porta a tanto alleato. In questa continua, sfiancante opera di auto-accreditamento il nostro ha trascorso - si mormora anche sobillato dalla signora Maria Fedele, di cui narrano un’ambizione pari solo all’influenza esercitata sul consorte - l’intera legislatura, e non c’è motivo di credere che da qui al termine si cambierà registro.

Discorso simile per Laura Boldrini. Che arriva al vertice di Montecitorio da paladina delle minoranze e non cessa di atteggiarsi a tale. Tra una seduta e l'altra, infatti, è tutto un sensibilizzare, un rampognare, un lanciare moniti.

Leggendarie le sue battaglie sulle questioni di genere: fondamentali campagne sulla necessità di dire “sindaca” e “presidenta” perché altrimenti il patriarcato trionfa; decisivi bracci di ferro con l’amministrazione della Camera onde sanare lo sconcio della prevalenza di busti e dipinti maschili su quelli dedicati al gentil sesso; risolutive campagne contro le tv che insistono a mandare in video le ragazze troppo scollacciate. Una specie di commissaria dell’Udi fuori tempo massimo, teoria da mullah e pratica da beghina.

UNO VALE ONU
Ma è sul comparto immigrazione che la presidenta dà il meglio di sé. Tutta compresa nel proprio ruolo di coscienza unica della nazione, la nostra non perde occasione per spandere quel misto di pietismo, volemose bene e senso di colpa che della sua visione del mondo è l’architrave: ecco che gli immigrati sono «una risorsa», che accoglierli indiscriminatamente «è un dovere morale», che chi la pensa diversamente è ovviamente propalatore di «odio e razzismo», che deve diventare migratoriamente corretto anche il linguaggio con «la parola clandestino che andrebbe cancellata dal vocabolario perché carica di pregiudizio e negatività».

Anche nel suo caso, non è estraneo il calcolo personale. Alla signora lo scranno di Montecitorio inizia ad andare stretto, e non è mistero che immagini per sé approdi più prestigiosi, siano essi il Palazzo di Vetro dell’Onu o addirittura il Quirinale. Profili il cui raggiungimento passa necessariamente attraverso la costruzione di un personaggio ad hoc: sempre perbene, sempre serioso, sempre rigido, sempre dalla parte giusta e sempre ostentante il fardello di avere da drizzare a mani nude i torti del mondo. Un personaggio tanto perfetto da spingere chi di dovere - Camere riunite o Assemblea generale dell’Onu sarà uguale - ad eleggerlo perché terrorizzati di passare per villanzoni in caso contrario.

Eccoli, Grasso e Boldrini. Seconda e terza carica dello Stato da tre anni e destinati a restare tali fino alla fine della legislatura. Poi dice che uno tifa per le elezioni anticipate.

Schwazer "ucciso", la sentenza choc Niente Giochi e la squalifica-monstre

Schwazer "ucciso", la sentenza choc : niente Giochi e la squalifica-monstre



Punito. Anzi, massacrato. Non solo niente Olimpiadi per Alex Schwazer, ma anche otto anni di squalifica, così come chiesto dalla Iaaf. Eliminato, cancellato, fatto fuori. Per sempre, perché l'atleta, oggi, di anni ne ha già 32. Ma tant'è, questa sospetta vicenda di doping, il secondo doping, significa fine di tutto, non solo dei giochi di Rio. La sentenza del Tas, il Tribunale Arbitrale dello Sport che lo ha ascoltato a Rio de Janeiro in un clima di caccia alle streghe, non lascia appello. La speranza di Alex era quella di correre alla 20 e alla 50 km di marcia. Chi sperava che il rinvio della decisione fosse di buon auspicio sbagliava. Chi non sbagliava, invece, era chi dall'entourage di Schwazer diceva che la sentenza era già scritta. Sentenza appellabile soltanto presso un tribunale federale svizzero. Ma tanto ormai l'Olimpiade se n'è andata. Schwazer ci aveva creduto. Fino all'ultimo. Fino a questa mattina, dove è stato fotografato, solo e sotto alla pioggia, mentre correva, mentre ostinatamente si allenava.

Schwazer era stato trovato positivo in un controllo antidoping a sorpresa effettuato ordinata dalla Iaaf presso la sua abitazione di Racines, in provincia di Bolzano. Dopo un primo esame negativo, la federazione internazionale - in base alla raccolta dei dati del passaporto biologico steroideo - aveva ordinato un esame di secondo livello che aveva evidenziato la presenza di testosterone. Ma alcune modalità dell'iter della vicenda - anzi, moltissime modalità -, dalla violazione dell'anonimato all'allungamento dei tempi di comunicazione dell'accaduto all'atleta, combinati con i dati di tutti gli altri 14 controlli che non avevano evidenziato alcuna anomalia, avevano portato la difesa del marciatore a denunciare l'ipotesi di dolo. Un'ipotesi che ora resta in piedi soltanto per la giustizia penale visto che la procura di Bolzano ha aperto un fascicolo sulla denuncia contro ignoti presentata dall'avvocato di Schwazer, Gerhard Brandstaetter.

Per Schwazer, questa è la seconda positività. La prima risale all'estate 2012, a pochi giorni dall'Olimpiade di Londra, quando il marciatore ammise l'assunzione di Epo in una straziante conferenza stampa. Confessò tutto, dall'inizio alla fine. In questo secondo caso, invece, non ha confessato nulla. Perché non aveva nulla da confessare, ha ripetuto più volte, convincendo tutti. O quasi. Già, perché i giudici non si sono fatti convincere. Per loro, Schwazer, è un recidivo. Un atleta da cancellare. Con questa enorme, spropositata e, forse, ingiusta sentenza.