Bail-in, primo caso in Italia: i 100mila bastonati
di Francesco De Dominicis
Non è un’operazione di fronte alla quale togliersi il cappello, ma è il solito pasticcio all’italiana. Forse però il male minore. Il salvataggio di Banca Marche, CariChieti, Carife e PopEtruria è stato messo a punto dai grandi gruppi bancari e dalla Banca d’Italia. Sul tavolo del governo, domenica, è arrivato un pacchetto a scatola chiusa, solo per dare l’ok a un decreto necessario a rendere utilizzabili, in anticipo rispetto al 2016, le regole Ue sulla risoluzione delle crisi bancarie. La soluzione prevede la creazione di una bad bank per le sofferenze (svalutate di oltre l’80%) e di quattro banche fresche (avranno il vecchio nome, preceduto da «Nuova») operative da ieri. Ma ecco alcuni aspetti di rilievo.
1) Il paracadute aperto ieri è di fatto il primo caso di bail in in Europa. Non è vero che è stato evitato il meccanismo «interno» di salvataggio delle banche: a pagare il conto (700milioni di euro), in linea con le nuove norme Ue, sono azionisti e possessori di obbligazioni subordinate (in tutto fino a 100mila investitori); mentre non è previsto un sacrificio per i bond «normali» né per i conti correnti con saldo superiore a 100mila euro.
2) Le banche non sono diventate filantropiche all’improvviso. Nessun atto di generosità, ma solo calcoli di convenienza: il quadruplo fallimento degli istituti avrebbe costretto il resto del sistema finanziario a garantire, così come previsto per legge, i depositi fino a 100mila euro. E sarebbe stato un bagno di sangue: in ballo c’erano oltre 12 miliardi di euro, molto meno rispetto ai 3,6 miliardi complessivi versati a partire da ieri al Fondo di risoluzione di Bankitalia. Il «sì» dei banchieri, dunque, è arrivato da un lato guardando al risparmio secco (8-9 miliardi), dall’altro guardando al terremoto, sul versante della fiducia, che sarebbe stato cagionato dal default: Obiettivo: evitare la corsa agli sportelli.
3) Il piano di salvataggio ha un impatto negativo sui conti pubblici (nonostante il «verbo» di palazzo Chigi): gli istituti recuperano sotto forma di sgravi Ires una parte dei 3,6 miliardi di aiuti girati via Nazionale. L’aliquota per la defiscalizzazione è pari al 27,5%. Ne consegue che quest’anno lo Stato incasserà meno Ires per 990 milioni. Ma il governo non avrebbe dovuto individuare coperture finanziarie? Mettiamola così: l’ammontare esatto dei versamenti non è stato definito nel provvedimento dell’esecutivo (anche se erano già noti) e a palazzo Chigi hanno fatto finta di non accorgersi (tant’è che nel decreto non si menzionano gli apporti finanziari precisi, citati solo in un comunicato stampa di Bankitalia). A fine anno, si tireranno le somme: ma è certo è un «buco» da 1 miliardo.
4) Spuntano aiuti di Stato, sotto forma di garanzia pubblica. Lo dice ufficialmente una nota della Commissione Ue che ha comunque avallato il sussidio: «Il beneficio connesso a tale garanzia è di 400 milioni di ulteriore supporto del fondo di risoluzione. Tali interventi del Fondo di risoluzione costituiscono aiuti di Stato ai sensi delle norme europee sugli aiuti di stato». Comprese le minori entrate Ires, le risorse pubbliche ammontano a 1,4 miliardi.
5) Il futuro è al buio e senza scudi. I 3,6 miliardi sono stati chiesti come anticipi dei prossimi contributi (3 o 4 anni). Vuol dire che il Fondo di risoluzione ha bruciato risorse future. E se una banca sarà vicina al fallimento l’anno prossimo? Serviranno versamenti extra.
6) La manovra, concertata in quattro giorni di negoziati segreti tra banchieri e regolatori col silenzio del governo, mortifica il mercato.