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venerdì 6 novembre 2015

Ecco la misteriosa telefonata tra Renzi e Mineo sulla Boschi

Ecco la misteriosa telefonata Renzi-Mineo sulla Boschi




La data è 11 giugno 2014, l’ora poco prima di cena. E’ in quel momento che a Corradino Mineo, ancora senatore del Pd arriva una telefonata inattesa da parte del presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Quel pomeriggio Mineo è stato sostituito dal Pd nella commissione affari costituzionali del Senato che sta affrontando la celebre riforma costituzionale. Anche senza Mineo- che vuole un Senato elettivo- la maggioranza in commissione ci sarebbe, per cui quella sostituzione sembra solo punitiva…“Pronto, Corrado? Sono Matteo…”, l’esordio della telefonata ha tono cordiale. Renzi prosegue: “sei furioso, eh? Ti capisco…”. Mineo lo interrompe: “…avete preso una decisione tanto antipatica quanto inutile, certo che sono furioso…”. Renzi sospira: “… beh, avete… Non è così. Io sinceramente ero pure contrario…”. Mineo si arrabbia: “… dai, non questo. Almeno non prendermi in giro!”. Renzi: “no, no… dico davvero… Non sono stato io. L’ha voluto a tutti i costi Maria Elena, ed è lei che si è irrigidita sul Senato non elettivo. A me andava bene la riforma anche eleggendo i senatori, ma lei si è impuntata. Se dicevo di no, poi facevo la pazza… Comunque è una sostituzione tecnica, solo temporanea.. Mi capisci, no…?”.

Ecco, è questa la telefonata cui si riferiva Mineo in quello che è sembrato un antipatico pizzino: “Renzi è succube di una donna bella e decisa…”, in cui il senatore fuoriuscito dal Pd sembrava alludere a ben altro confessato in privato. Il giorno dopo Mineo ha fatto una parziale marcia indietro, fingendosi stupito che la stampa avesse interpretato quel pizzino con “allusioni sessuali”, quando lui si riferiva a questioni politiche. In effetti così è stato. E non è affatto detto che Renzi sia politicamente succube di Maria Elena Boschi. E’ assai più probabile che come con tanti altri si sia fatto beffe di Mineo, raccontando la prima favola che gli è venuta in mente…


giovedì 5 novembre 2015

Terrorismo, stop ai voli da Milano La compagnia che ferma gli aerei

Stop a tutti i voli da Milano a Sharm El Sehik. La decisione della compagnia low cost




La compagnia aerea Easyjet ha deciso di annullare da oggi i voli programmati da Milano verso Sharm El Sheikh, così come già deciso per quelli da Londra e Manchester. La compagnia inglese si è così adeguata alla raccomandazione del governo di David Cameron che aveva sconsigliato ai voli civili di sorvolare l'area a sud della penisola del Sinai dopo lo schianto dell'Airbus russo nel quale hanno perso la vita 244 persone. Nonostante lo scetticismo del governo egiziano, sulla strage sta crescendo la convinzione in ambito internazionale che a far cadere l'aereo sia stato un ordigno esplosivo. La stessa intelligence americana ha dichiarato di avere forti sospetti che la tragedia sia stata causata da una bomba custodita in una valigia, probabilmente caricata a bordo attraverso il semplice imbarco dei bagagli all'aereoporto di Sharm.

L'ultima soffiata da Apple: cambia tutto Ecco come sarà il prossimo iPhone

Apple, l'ultima indiscrezione: l'iPhone torna mini




Le ultime voci da Apple parlano di un ritorno al passato. Il prossimo iPhone, infatti, potrebbe tornare mini. Sarà di 4 pollici e verrà lanciato nell'autunno del 2016. In sostanza sarebbe come l'iPhone 5 per quanto riguarda la misura ma con un sistema operativo potenziato.

L'indiscrezione è apparsa sul sito Appleinsider: il nuovo iPhone più piccolo e con un prezzo più contenuto non sostituirà la misura standard e quella Plus, ma sarà un'altra opportunità per i clienti Apple. Avrà un processore di ultima generazione A9 e uno chassis in metallo mentre non avrà la tecnologia 3D Touch (per questo il prezzo sarà più basso). La produzione dovrebbe cominciare a metà 2016, quindi è probabile che sarà lanciato in contemporanea con gli iPhone 7 (che avranno pare un display in zaffiro).

"Tu sai che io so. Con quella donna..." Dall'ex Pd il pizzino mafioso a Renzi

Corradino Mineo, il pizzino mafioso a Matteo Renzi: "Sei subalterno a una donna. Tu sai che io so"


di Paolo Emilio Russo



Tutto si può dire di Corradino Mineo, tranne che non sia un consumato uomo di comunicazione, un giornalista di grande esperienza. È dunque impensabile che abbia voluto scrivere le sue pesanti allusioni nero su bianco in un comunicato stampa senza immaginare le conseguenze. Per rispondere alle critiche di Matteo Renzi, il senatore ha preparato una lunga nota sguaiata e dal sapore ricattatorio: «Renzi non si fa scrupoli, rivela conversazioni private, infanga per paura di essere infangato. E sa che io so». E ancora: «So quanto si senta insicuro quando non si muove sul terreno che meglio conosce, quello della politica contingente. So quanto possa sentirsi subalterno a una donna bella e decisa. Fino al punto di rimettere in questione il suo stesso ruolo al governo. Io so, ma non rivelo i dettagli di conversazioni private. Non mi chiamo Renzi, non frequento Verdini, non sono nato a Rignano».

Il senatore eletto col Pd, ma dimessosi dal gruppo dem ad ottobre, allude a una presunta «subalternità» del premier ad una signora: si riferisce alla first lady Agnese oppure, come ha pensato qualcuno, al ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi? L’aggettivazione usata e il link tra aspetto estetico e ruolo politico farebbero propendere per la seconda ipotesi, ma - in fondo - poco importa. Quello che importa è il tono mafioso e sessista utilizzato dall’ex direttore di RaiNews. Un attacco meschino che questo giornale, il quale non ha certo risparmiato critiche al premier-segretario del Pd, considera inaccettabile. Se Mineo ha qualcosa da denunciare lo faccia, ma non può permettersi messaggi e allusioni di questo tipo.

Fortunatamente, i toni dell’accusa del senatore non hanno urtato solo noi. Hanno causato una ondata di sdegno che ha travalicato gli schieramenti e pure i sessi, sollecitato reazioni critiche nel Pd, in Fi, specie tra le donne, ma anche tra gli uomini. «Sono pizzini», dice per esempio la senatrice dem Laura Cantini. «Mineo è misogino», le ha fatto eco il deputato Edoardo Patriarca e il vicepresidente della Camera, Roberto Giachetti parla di «volgarità e delirio». Prende le distanze per conto della minoranza anche un bersaniano come Miguel Gotor, che parla di «meschinità», mentre pure Stefano Fassina chiede che il senatore «si scusi». Risponde a nome del governo Luca Lotti: «L’odio personale nei confronti di Renzi supera ormai ogni decenza. Il linguaggio allusivo di Mineo si commenta da solo». Il solitamente taciturno sottosegretario di Palazzo Chigi la prende con ironia: «Gli amici stiano vicini a Mineo; ne ha bisogno». Infine una postilla: «Chi conosce Renzi può definirlo in vario modo, anche colorito. Etichettarlo come subalterno, a noi, suoi amici, fa sorridere di gusto», ha concluso. Anche tra i forzisti si levano voci critiche, come quella di Elvira Savino: «È una frase criptica e imprudente».

La “vendetta” dell’ex direttore di RaiNews24, giornalista dal 1971, senatore alla prima legislatura, voleva essere la risposta alle parole sprezzanti che il presidente del Consiglio gli aveva riservato nell’intervista rilasciata a Bruno Vespa per il suo nuovo libro. «Corradino? Un anno fa annunciò le dimissioni da senatore dopo aver offeso in modo squallido i bambini autistici. Disse: ho sbagliato, me ne vado. È sempre lì. Al massimo si dimette dal Pd, ma la poltrona non la lascia».

Mineo l’ha presa male. «Non ho mai manifestato l’intenzione di dimettermi dal Senato, se non in un sms che mandai proprio a lui (Renzi, ndr), disgustato dall’attacco volgare che mi aveva mosso dopo la vittoria alle Europee», ricorda il senatore nella nota. «Fu Gianni Cuperlo a riprendermi e spiegarmi che la politica, ahimè, è anche questo: scorrettezza cialtrona, e che bisogna saper resistere. Io non ho bisogno della poltrona, a differenza di qualcun altro. Ho lavorato per 40 anni, salendo passo dopo passo il cursus honorum, da giornalista fino a direttore». A quel punto è scattata l’allusione - pesante - e quel “tu sai che io so” che ha lasciato sgomenti tutti gli osservatori. Cosa potrebbe mai sapere il senatore che è stato sin dall’inizio anti-renziano, che ha condiviso per un po’ le posizioni di Pippo Civati, ma non ha avuto la prontezza di seguirlo fuori dal partito, e poi ha guidato la fronda dem contro le riforme istituzionali scritte proprio dal ministro Boschi e che, in quel ruolo, è stato sconfitto? Mistero.

«Hai toccato il fondo», è il commento - tipo che Mineo - finito ieri pomeriggio tra i trending topic di Twitter, cioè tra gli argomenti più discussi - ha rimediato con la sua uscita. Cosa lo aspetti, invece, è chiarissimo. Nel pomeriggio di ieri, mentre ancora fioccavano le proteste sui social dei suoi ex elettori, il giornalista ha pubblicava su Facebook l’invito alla presentazione di un libro scritto con due altri ex piddini come Walter Tocci e Stefano Fassina. Da ieri i “fuoriusciti” hanno tre nuovi compagni di strada: i fedelissimi di Pier Luigi Bersani, Alfredo D’Attorre, Vincenzo Folino e Carlo Galli hanno lasciato il Pd in direzione di un’ipotetica nuova Cosa Rossa. E la Boschi? «Tranquillissima», garantisce chi le ha parlato. Tanto che ieri sera si è presentata in un cocktail bar a due passi da Montecitorio e, col super-renziano Ernesto Carbone, s’è fatta un aperitivo open air.

"Vivo in una casa di 296 metri, e...". Incredibile difesa del cardinale Bertone

"Vivo in una casa di 296 metri, e...". Incredibile difesa del cardinale Bertone





"Non so come difendermi, è una vergogna. Difendersi dalle calunnie è quasi impossibile. Le vittime sono impotenti". Il cardinale Tarcisio Bertone in una intervista al Corriere della Sera ribadisce che l'appartamento in cui vive non lo ha ristrutturato con i soldi della Fondazione Bambin Gesù per i bimbi malati. L'alloggio gli è stato "assegnato d'accordo con Papa Francesco" ma per la ristrutturazione, "ho sostenuto io le spese", "come risulta da una precisa documentazione, ho versato al Governatorato la somma: dal mio conto". Bertone ha pagato "300 mila euro: ho pagato con i miei risparmi per un appartamento che non è di mia proprietà e resterà al Governatorato".

Ma la Fondazione Bambin Gesù avrebbe versato 200 mila euro: "Così dicono. Solo dopo ho saputo che erano state presentate fatture anche alla Fondazione. Io non ho visto nulla", "ho dato istruzioni al mio avvocato, Michele Gentiloni Silveri, di svolgere indagini per verificare cosa sia realmente accaduto".

La polemica è anche sul fatto che il Papa vive in 50 metri quadri mentre lui in un "appartamento di 296". Ma "non ci vivo da solo", mette le mani avanti Bertone: "Abito con una comunità di tre suore che mi aiutano, c'è anche una segretaria che il Santo Padre mi ha concesso per scrivere la memoria di tre Papi, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. C'è la biblioteca, l'archivio, le camere per tutti...". Più un terrazzo con vista San Pietro... "Non esiste nessun attico. Io abito al terzo piano e il terrazzo non è mio, è stato risanato durante i lavori ma è quello condominiale, in cima al palazzo. E' di tutti gli inquilini, cardinali e arcivescovi, che ci vivono".

"Il Papa verso le dimissioni" Autorevole soffiata dal Vaticano

Vatileaks, Luigi Bisignani: e se ci trovassimo presto con tre Pontefici?




L'assunto del pensiero di Luigi Bisignani, sempre assai informato su intrighi ed intrallazzi, è chiaro sin dal titolo che campeggia sulla prima pagina de Il Tempo: "Ci ritroveremo con tre Pontefici?". Quella di Bisignani è una lettera rivolta al direttore Gian Marco Chiocci, una lettera che pone una domanda dal sapore retorico, ribadita in attacco: "E se ci trovassimo presto anche con tre Papi?". Dunque L'uomo che sussurrava ai potenti ripercorre in sintesi i fatti degli ultimi giorni, il "rigurgito" di Vatileaks, cita il libro di Gianluigi Nuzzi, e sottolinea come "pagina dopo pagina si viene immersi in un universo fatto di riti e regole solo apparentemente antiche il cui denominatore comune finora è stata l'inerzia".

Le frasi nel libro - Dunque Bisignani cita la domanda posta nell'ultima pagina del libro di Nuzzi: "Il Papa riuscirà a vincere la sua battaglia?". Una domanda, ad ora, senza risposta. Eppure Bisignani mostra di avere quantomeno un'idea su come possa andare a finire, e cita ancora Nuzzi: "La sua è una strada obbligata e di certo il Pontefice non si farà intimidire, a meno che le pressioni diventino insopportabili, tali da indurlo alle dimissioni, come ogni tanto si lascia sfuggire". Chiosa Bisignani: "Parole come pietre, quelle scritte da Nuzzi che ben conosce i personaggi chiave all'interno delle mura leonine che gli hanno fornito uno spaccato ancora più drammatico rispetto alla crisi. C'è solo da augurarsi che quello che viene paventato rimanga solamente un rischio". Eppure, a leggere la lettera del faccendiere, sembra che il rischio sia più che concreto, e che la possibile conseguenza sia il passo indietro di Francesco. A quel punto, con due Papi emeriti - Ratzinger e Bergoglio -, come da titolo ci "ritroveremo con tre Pontefici".

domenica 1 novembre 2015

Pansa svela gli altarini di Fazio, "il sultano comunista della Rai"

Pansa demolisce Fabio Fazio: "Non fidatevi dell'Abatino, resta un sultano della Rai"


di Giampaolo Pansa



Confesso che Fabio Fazio mi sta sui corbelli. Il motivo è in parte banale: non mi ha mai invitato nella sua trasmissione televisiva, «Che tempo che fa», sulla Rete Tre della Rai, a presentare uno dei libri che vado pubblicando. Nelle case editrici italiane circola da sempre una giaculatoria. Dice: Fazio non si limita a presentare un libro, lo promuove. Se ne parla e ne discute con l’autore, puoi stare sicuro che quel libro, qualunque sia, anche il più inutile e il più becero, partirà a razzo con grande soddisfazione dell’autore, dell’editore e dei librai.

Negli ultimi anni ho lavorato per due editori importanti, la Sperling & Kupfer e la Rizzoli. E ho domandato a entrambe le case: «Ma è possibile che non riusciate a mandarmi alla trasmissione di Fazio? Sarebbe anche nel vostro interesse!». La risposta era sempre la stessa, melanconica e rinunciataria: «È impossibile. Fazio si comporta come un dittatore. Decide soltanto lui chi invitare. E tu non gli piaci per niente. Sei colpevole di revisionismo sulla guerra civile. Ti considera un anti-antifascista. Non ti chiamerà mai. Mettiti il cuore in pace». 

Era fatale che non piacessi a Fazio. È un signore di sinistra integrale, dalla testa ai piedi. Uno dei suoi autori-consiglieri è ancora più rosso di lui: Michele Serra. Anche la Rete Tre è un feudo dei compagni. Tutti connotati che azzerano l’obbligo di essere imparziali, come dovrebbe comportarsi un qualsiasi programma della Rai, pagato con il canone da tanti signori nessuno. Su Fazio influiva molto il sinistrismo di Serra, rimasto il vecchio satirico rosso di un tempo. Intendo l’epoca del vecchio Pci, quando il nemico da distruggere era la Balena bianca democristiana. 

Scomparsa la Dc, Serra si inventò un altro nemico: Silvio Berlusconi. Non perdeva nessuna occasione di maledirlo. Per citare un esempio solo, nel settembre del 2010, intervistato da Luca Telese per il Fatto quotidiano, spiegò che Berlusconi e il berlusconismo erano «una forma estrema di individualismo amorale, di spregio per le regole, di superficialità puerile. Anche se Berlusconi finisse, l’humus che lo ha fatto prosperare rimarrebbe». 

Ma ben più interessante di Serra, risultava il personaggio di Fazio. Il suo sinistrismo era fondamentalista. Nonostante questo, amava interpretare il ruolo opposto al televisionaro settario. Era quello dell’abatino estraneo a qualsiasi parrocchia, amico di tutti e nemico di nessuno. Con l’aria dimessa, l’espressione sempre stupita, il vestito strafugnato del ragazzo di provincia capitato per caso in un posto e in una funzione che non ritiene di meritare.

In realtà Fazio era, ed è, uno dei sultani della Rai. E immagino che lo resterà anche nell’era della presidente Maggioni e del nuovo direttore generale Campo Dall’Orto. La riforma, una specie di araba fenice, non incrinerà il suo potere. E lui rimarrà uno dei pochissimi a fare come cavolo gli pare e piace.

Se il passato può ammaestrarci sul futuro, vedremo cose turche. Come accadde la sera che presentò un libro del direttore dei giornali radio Rai unificati, Antonio Caprarica, già redattore dell’Unità e poi condirettore di Paese sera, un quotidiano filo Pci destinato a sparire. Era il maggio 2007, sotto il governo di Romano Prodi. Quella sera gli utenti della Rai ebbero sott’occhio un’ammucchiata tutta rossa: rete di sinistra, autore di sinistra, conduttore di sinistra, consigliere di sinistra. Un conflitto d’interessi sfacciato, fra compagnucci che si strizzavano l’occhio a vicenda. Felici di averci preso per i fondelli ancora una volta. 

In altri casi, lo spettacolo si rivelò penoso. Fazio aveva invitato Pietro Ingrao a presentare l’autobiografia, Volevo la luna, pubblicata da Einaudi. In preda a un vuoto di memoria, il vecchio capo comunista sostenne che il Pci aveva preso aspre distanze dall’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956. Non era vero, anzi era vero l’opposto. Ma Fazio e il pubblico si guardarono bene dall’obiettare. Nemmeno un mormorio, un colpo di tosse, un’occhiata di imbarazzo. 

Il perché lo spiegò sull’Espresso Edmondo Berselli, un’intellettuale libero, oggi purtroppo scomparso: «In quel momento si stava celebrando l’apoteosi senescente, ma non senile, di un comunismo impossibile, l’utopia, il grande sogno, l’assalto al cielo. Quindi tanto peggio per i fatti, se i fatti interrompono le emozioni». Adesso si scopre che Fazio ha pagato ben 24 mila euro a un ex politico greco, Yanis Varoufakis, un sinistro al cubo, già ministro dell’Economia, espulso dal governo di Atene dai suoi stessi compagni. E i soldi versati dalla Rai sono assai di più. Si parla di cinquanta mila euro lordi, più l’hotel e il viaggio in aereo di andata e ritorno dalla Grecia, in business class. 

Vediamo come si comporterà la nuova Rai. Dove tutti parlano di risparmi. Nel frattempo mi sorge un dubbio. Forse non sono mai riuscito a entrare nel salotto di Fazio perché i miei editori non hanno pensato di fare un presente al signore del tempo che fa. L’ex ministro greco ha incassato, noi potevamo sborsare mille euro al minuto.