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giovedì 13 agosto 2015

Caivano (Na): Immondizia Come mai non si risolve il problema?

Caivano (Na): Immondizia Come mai non si risolve il problema?




Una vergognosa vicenda quella che ha colpito Caivano e i caivanesi in questi ultimi due mesi sotto il profilo di tutela ambientale. Una vergognosa vicenda che dimostra la qualità dell'attività amministrativa svolta appunto, in questi ultimi due mesi da esponenti politici che, se avessero un minimo di decenza, rassegnerebbero già da subito le dimissioni. Nessuno dei politici locali ha deciso di interrompere le attività amministrative, questo si, è vero, ma non per garantire come promesso dall'attuale sindaco Monopoli, la salvaguardia ambientale e la salute dei cittadini, ma per garantire un posto come capo di Staff, all'amico di merenda del Sindaco, Giovanni De Cicco, ovviamente tutto regolare.

Monopoli, è davvero il peggior Sindaco, nonostante il suo brevissimo mandato, degli ultimi 30 anni. Decantano il WiiFi, portato avanti dalla passata amministrazione Falco. Decantano l'affidamento di spazi verdi, anche questo portato avanti dall'ex amministrazione Falco, ma non riescono a decantare la risoluzione del problema rifiuti nonostante il supporto di un dirigente che porta il nome di Vito Coppola.  

Si è pagato una ditta, la Buttol, regolarmente, applicando una penale di soli 2.400 euro, su 391 mila euro. Monopoli, all'epoca dei fatti, due settimane fa, uscì con un manifesto dove appunto, decantava di averci messo la faccia, per cosa? Decantava di affidare i lavori, anche se per un solo giorno, ad altra ditta, ma la spazzatura è ancora per le strade. La puzza è aumentata. Il rischio epidemia è dietro l'angolo, e cosa si fa? si parla di Roma e del problema nazionale. Si parla di altro. Si vuole distogliere in tutti i modi il problema come se la munnezza per le strade profumasse e non puzzasse maledettamente. 

Questa amministrazione non va. Monopoli non riesce nemmeno ad ingranare la prima marcia, quella a favore dei cittadini, viceversa, ingrana bene la retromarcia, quella marcia che vede favorire amici, come appunto, Giovanni De Cicco, e dirigenti comunali di cui lo stesso sindaco si affida (Caso Vito Coppola). 

Si pagano manifesti 70/100 al prezzo di 150 euro iva esclusa, quando secondo una nostra recente ricerca, 100 manifesti 70/100 su 10 tipografie contattate, 8 li offrono, quindi li garantiscono a 90 euro iva esclusa. Se il piccolo è discutibile, figuriamoci il grosso. Manovre che non ci convincono, come le ultime assunzioni della Buttol, ditta appunto, che, mentre non riesce a garantire un regolare servizio al Paese, da indiscrezioni, assume 11 persone di Caivano  a contratto determinato. 

Insomma, quali grandi manovre politiche ha messo in campo il tanto e decantato atteso sindaco della discontinuità, Monopoli, se non quella della stampa a sua favore, ovviamente tutta straniera? Purtroppo il problema ambientale come altri problemi non si risolve riempendo pagine di giornali (PRO-MONOPOLI), la gente è stufissima, la puzza c'è e si sente, e come ricordavamo poc'anzi, il rischio epidemia è dietro l'angolo. 

L'intervista / La proposta del re delle discoteche: "Contro la droga servono due cose "

Claudio Coccoluto: "Bisogna tesserare chi va in discoteca"


Intervista a cura di Edoardo Cavadini 



Claudio Coccoluto è un king della consolle. Dj da trent'anni, legame affettivo particolare con il vinile nell'epoca di Spotify e del download disperato, uno dei pochi italiani entrati nel firmamento dei dancefloor internazionali.

Lo disturbiamo mentre ricarica le pile nella sua Cassino, a poche ora dalla partenza per le prossime tappe della maratona estiva nei top club in Sardegna, Ibiza, Formentera. «Questo Pedica è stato contagiato dalla sindrome dell'annunciate. Se la sua soluzione alla droga nei locali è la chiusura permanente, temo non sappia proprio di cosa parla». Il riferimento è all'uscita di Stefano Pedica, ex senatore Idv travasato nel Pd, che dopo l'escalation di morti di giovanissimi, collegate più o meno direttamente allo sballo (i casi del Cocoricò di Riccione e del Guendalina in Salento, ndr), ha proposto la serrata per un anno intero di tutte le discoteche. «Sembra Tsipras che in Grecia voleva chiudere gli stadi per i fenomeni di violenza. Da un politico mi aspetterei maggior oculatezza nelle esternazioni e soprattutto informazione: dove pensa che andrebbero gli italiani? Volerebbero, low cost, a ingrassare i portafogli degli spagnoli o dei greci ovviamente: a Ibiza e Mikonos non aspettano altro per fare ancora più soldi. Senza contare i danni economici».

Dietro le luci strobo ci sono Pil e posti di lavoro.

«Certo. Quello della notte è un pezzo fondamentale dell' industria e del turismo italiano, con migliaia di assunti e centinaia di milioni di euro di giro d' affari».

La morte dei ragazzi però pesa come un macigno.

«Sono tragedie enormi, ma non si affronta il problema della droga e dello spaccio colpendo l' ultimo anello della catena. Perché questo sono le discoteche».

In disco di droga ne circola parecchia, questo è innegabile.

«Vero, come però è troppo poca l' azione di repressione e controllo delle forze dell' ordine. Serve un giro di vite da parte del ministro dell' Interno Alfano, chiudere i locali è perfettamente inutile: la droga si trova ovunque a qualunque ora. Pure in Parlamento temo».

Nei Paesi anglosassoni i «club» sono veramente tali. Si entra iscrivendosi, attraverso la carta di identità, così che le autorità sanno chi frequenta questo o quel locale. In Italia questo è impossibile?

«Tutt' altro, io lo propongo da tempo. Siamo pieni di circoli Arci, trasferire il modello alle discoteche servirebbe a fidelizzare la clientela e aumenterebbe la sicurezza».

Una sorta di tessera del discotecaro, sul modello di quella del tifoso?

«Perché no. In questo modo il proprietario avrebbe gli strumenti per allontanare gli indesiderati, oggi non è così: la presunta selezione è irregolare, se io voglio entrare non puoi tenermi fuori, è un locale pubblico».

Cosa altro si può fare?

«Io ho due figli (uno fa il dj, ndr), li ho educati al clubbing fin da piccoli portandoli con me nelle serate e insegnando loro cosa, e chi, evitare sempre. Però dico: in discoteca solo dai 18 anni in su. A 16 sei troppo esposto, non è un posto per ragazzini».

Marò, spuntano delle lettere segrete In che modo c'entra Napolitano

Marò, l'arbitrato internazionale poteva essere intrapreso nel 2013




Era il 15 febbraio 2012, quando Salvatore Girone e Massimiliano Latorre spararono a due pescatori indiani, scambiati per pirati, uccidendoli. È al 2012 che si trascina la vicenda dei due fucilieri italiani, un tira e molla lungo più di tre anni fra Italia e India. Ma ci sono troppi punti oscuri, troppe omissioni che spingono questa faccenda al limite della comprensibilità. Saltano fuori alcune mail dei vertici politici e diplomatici italiani risalenti al 2013, quando ai due marò venne concesso di tornare in Italia per poter votare alle elezioni politiche. Un rientro della durata di quattro settimane, che la classe dirigente cercò di sfruttare per trovare il giusto appiglio per poterli trattenere in Italia, evitando loro il ritorno a Nuova Delhi. L'allora ministro della giustizia Paola Severino scriveva che ce lo imponeva la Costituzione di tenerci i fucilieri, di non rispedirli in pasto alla fantozziana giustizia indiana, aggiungendo poi che l'azione di bloccare nel paese l'ambasciatore italiano era priva di un qualsiasi supporto giuridico. Fu un braccio di ferro: voi non ci rimandate i fucilieri? Noi ci teniamo il diplomatico in ostaggio; questa la tattica messa in campo dall'India.

Occasione persa - L'Italia aveva la possibilità di far valere le sue ragioni, trattenendo Massimiliano e Salvatore in territorio nazionale e gestendo le redini del gioco. Pare che la strategia avesse inizialmente l'avallo dell'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Tanto che in una mail inviata il 13 marzo 2013 a Palazzo Chigi e ai ministeri coinvolti da Stefano Stefanini, consigliere diplomatico del presidente, si legge: "Questa, posso garantire, è anche l'opinione del presidente Napolitano". Giulio Terzi, ministro degli affari esteri del governo Monti, credeva davvero in questa tattica, capitanando l'intera compagine ostruzionista nei confronti del ritorno dei marò in India. Tanto che l'11 marzo del 2013 il ministro degli esteri dichiarò pubblicamente che i due fucilieri non avrebbero fatto ritorno a Nuova Delhi alla scadenza del permesso accordato loro dalla corte indiana. Il suo obiettivo era di attivare un arbitrato internazionale sfruttando il trattato Onu sulla navigazione (Unclos). Ma le cose chissà come cambiarono a quel punto, e come lui stesso dichiarò in diverse interviste, la sua visione dei fatti si rivelò distante da quella del presidente Monti, ed evidentemente del presidente Napolitano, che tutto vedeva e tutto scrutava. Così Latorre e Girone, visto che la tensione fra India e Italia era diventata densa e incandescente, tornarono a Nuova Delhi per una decisione del governo. Tutti cambiarono bandiera, l'unico a rimanere convinto che mandare via i marò fosse una decisione insulsa fu proprio Terzi, che qualche giorno dopo la partenza dei fucilieri si dimise dalla sua carica di ministro, dichiarando apertamente il proprio dissenso nei confronti della strategia adottata dal governo.

Con due anni di ritardo - La beffa è che ora, e per ora si intende il luglio del 2015, è stato intrapreso il percorso inizialmente tracciato da Giulio Terzi, ovvero quello dell'arbitrato internazionale; solo il mese scorso l'India ha accettato il procedimento. Due anni sprecati, due anni buttati al vento. Due anni che sono costati a Latorre un'ischemia e a Girone una detenzione da ostaggio nello stato indiano, nel quale non sono ancora stati espressi formalmente i capi d'accusa. Quali interessi c'erano dietro la rinuncia a tenere in Italia i due fucilieri già nel 2013? Per quale motivo il presidente Napolitano e il governo decisero di sventolare bandiera bianca al braccio di ferro con l'India? E per quale motivo l'Italia inizia a far sentire solo adesso la sua voce, rimettendo a una corte internazionale il caso di due suoi soldati? Le responsabilità non si contano più. Ma la gravità delle scelte della classe politica pesano su due italiani, traditi dalla stessa patria che hanno scelto di servire.

Nascondeva nel caveau 1,5 mln di euro Per il Fisco era nullatenente: chi è

Monza, beccato evasore dalla Guardia di finanza: nascondeva quasi un milione e mezzo in contanti




Nascondeva un vero e proprio tesoro in un caveau ricavato dietro il vano di un ascensore. La Guardia di finanza di Monza hanno scoperto un malloppo di quasi un milione e mezzo di euro, appartenente a un uomo che risultava nullatenente agli occhi del Fisco. Adesso l'uomo è indagato dalle procure di Monza e Milano.

Il fatto - L'uomo è un imprenditore brianzolo di Mezzago in provincia di Monza, che in passato era già stato condannato per bancarotta fraudolenta e reati fiscali. L'indagine dei finanzieri è partita da una segnalazione di una banca su strani movimenti di denaro contante. Così si è analizzata una ditta di Mezzago, e il risultato è stato aver scoperto che la tal ditta non aveva mai presentato una dichiarazione al fisco, e ammontavano a un milione di euro le imposte mai pagate. La ditta era ufficialmente intestata alla madre di 68 anni dell'uomo. Approfondendo le indagini i finanzieri hanno scoperto il tesoro di quasi un milione e mezzo in un nascondiglio ricavato dietro il vano di un ascensore di un ristorante. È stata decisa una misura di prevenzione patrimoniale nei confronti del soggetto, in quanto recidivo e fiscalmente pericoloso.

Auto va a fuoco a due passi da Gardaland Dentro aveva bombe e armi da collezione

Peschiera, nel parcheggio di Gardaland prende fuoco una macchina piena di residuati bellici




Una passione che poteva tramutarsi in tragedia. Un uomo di 45 anni appassionato di collezionismo di residuati bellici -che raccoglieva grazie a un metal detector sulle Dolomiti bellunesi- di ritorno da una delle sue spedizioni ha pensato di farsi un giro a Gardaland, il parco divertimenti a Peschiera del Garda. Ha dunque lasciato proiettili, bombe a mano e altri armamenti di diverso tipo nella sua auto alimentata a gas sotto il solleone estivo. Si è sfiorata la tragedia, perché l'auto a causa probabilmente di un cortocircuito di uno dei fanali aveva cominciato a prendere fuoco. Per fortuna l'intervento immediato di operatori antincendio ha scongiurato il pericolo. Ora l'uomo è stato denunciato dai carabinieri di Peschiera per detenzione di munizionamento da guerra.

mercoledì 12 agosto 2015

Strade allagate, frane e 30 scout bloccati Nubifragio mette in ginocchio la Calabria

Maltempo, nubifragio in Calabria: strade allagate e frane




Strade allagate (foto da Twitter), frane e pure trenta scout bloccati. E' il bilancio del nubifragio che si è abbattuto in Calabria. I ragazzi sono stati colti di sorpresa dai temporali mentre si trovavano in contrada di Rinacchio, a Rossano, sulla costa ionica, in provincia di Cosenza.

Inoltre da Anas comunicano che a causa delle intense precipitazioni ancora in corso sulla tratta della statale 106 Jonica, tra Rossano e Cassano allo Jonio (Cosenza), è stato consentito temporaneamente solo il traffico locale e, per questa ragione, si consiglia di procedere con prudenza. Al momento anche la viabilità locale è interessata da forti allagamenti.

E’ italiano ed è il più giovane e miglior cardiochirurgo di Londra. L’Italia lo ha rifiutato

Un cervello in fuga: Si chiama Simone Speggiorin, ha 37 anni ed è il più giovane e famoso cardiochirurgo italiano nel Regno Unito. L’Italia lo ha rifiutato



Dott. Simone Speggiorin 

Si chiama Simone Speggiorin, ha 37 anni ed è il più giovane cardiochirurgo italiano nel Regno Unito. La sua è una storia comune a migliaia di suoi coetanei, “rifiutati” dal nostro paese ed accolti a braccia aperte all’estero, ed è stata raccontata dal Sole 24 Ore. Simone oggi lavora al Glenfield Hospital di Leicester, a 140 chilometri da Londra, è un medico chirurgo strutturato, ovvero con una sua equipe di supporto e una sala operatoria. Opera tutti i giorni bambini al cuore aperto o con malformazioni alla trachea e, tre o quattro volte all’anno, prende qualche giorno di ferie per andare a fare la stessa cosa in India, dove opera in collaborazione con l’organizzazione di beneficenza “Healing Little Hearts”. Quando qualcuno esagera con gli elogi lui si schernisce: “Non sono un eroe. Sono uno dei tanti che se n’è andato dall’Italia perché in Italia non c’era spazio”.

Il 37enne ha operato oltre 500 bambini in quattro anni: un traguardo che nel nostro paese gli sarebbe stato precluso, malgrado il suo curriculum fosse sempre stato impeccabile. Figlio di un ex calciatore veneto, Speggiorin si è laureato in medicina in soli sei anni all’Università di padova, per poi specializzarsi in cardiochirurgia: “Dentro di me – racconta al quotidiano finanziario – c’è sempre stata una voce che mi ripeteva: cosa faccio dopo? Cosa faccio dopo? Il mio primo mentore, il professor Giovanni Stellin, sapeva che finita la specialità non avrebbe potuto offrirmi un lavoro in Italia e mi invitava a partire per completare il training. I cardiochirurghi pediatrici sono passati tutti da un’esperienza all’estero. Uscire ti apre la mente, capisci come si fa e poi ti metti alla prova”. Così Simone studia inglese, si trasferisce prima a Boston poi a Londra e a 28 anni torna a bussare negli ospedali italiani. Nessuno però gli offre una possibilità.

Così si rimette “sulla strada” e segue il professor Martin Elliott, direttore del Great Ormond Street Hospital di Londra, uno dei cinque migliori ospedali pediatrici del mondo: “Sono partito lasciando a casa tutto. Gli affetti e le sicurezze del “sistema Italia”. Arrivato a Londra già specialista in cardiochirurgia mi hanno detto: ok, ora ricominci da zero. Si dice junior, in pratica ti rimbocchi le maniche e ritorni a fare lo specializzando”. Mentre impara il mestiere accanto ai migliori del mondo partecipa a un concorso per un posto all’ospedale di Ancona, ma la risposta gli arriverà tre anni dopo. “Avrei dovuto mettere la mia vita in modalità pausa per tre anni e aspettare la loro risposta? Non era nei miei piani”. Ora che è uno dei cardiochirurghi più apprezzati spiega: “In Italia? Non torno, non ora. Me ne sono andato perché il nostro non è un Paese per giovani. I miei compagni di università sono quasi tutti all’estero. Eravamo un gruppo di persone consapevoli che, se volevamo qualcosa, dovevamo andare a prendercelo. Del gruppo, io non sono il più bravo. Tra i miei amici c’è Paolo De Coppi, lo scienziato di 41 anni che ha scoperto le cellule staminali nel liquido amniotico. Lavora a Londra. Ho un amico in Silicon Valley che crea una startup dopo l’altra. Un altro mio coetaneo di Padova è professore di economia in Australia”.