Visualizzazioni totali

lunedì 18 maggio 2015

Mattarella dà l'esempio e si taglia la doppia pensione

Sergio Mattarella, la verità sulla pensione del Presidente





Sergio Mattarella ha deciso di rinunciare volontariamente al cumulo delle pensioni.  Il capo del Quirinale avrebbe potuto cumulare la pensione "da professore, da deputato di lungo corso, da giudice della consulta e, un domani, da senatore a vita". Ma dal Quirinale fanno sapere tramite una lettera mandata a Il Giornale che: "In quanto parlamentare a vita, non potrà percepire neppure pensione o vitalizio quale ex deputato. Va aggiunto che la condizione di ex giudice della Corte Costituzionale non comporta pensione. Pertanto l' unica pensione di cui, oggi e in futuro, potrà usufruire il presidente Mattarella è quella di professore universitario". Non solo. L'assegno come prof universitario viene detratto "integralmente" dalla retribuzione da presidente della Repubblica.  "Dato che il presidente Mattarella, nei primi giorni del suo mandato, ha deciso il recepimento, per la presidenza della Repubblica, del divieto di cumulo tra stipendio e pensioni erogate da pubbliche amministrazione". La lettera si conclude con un auspicio: speriamo che serva da esempio ad altri. 

Pansa contro politici e papponi: "Ecco perché non vado più a votare"

Giampaolo Pansa: "Elezioni? No, inutile delirio. io a votare non ci vado più"


di Giampaolo Pansa 



Ma si tengono ancora le elezioni in Italia? Se devo stare a quel che leggo sui giornali, sembra di no. Tra due domeniche si dovrebbe votare in sette regioni, ma la battaglia tra i partiti assomiglia sempre di più a un inutile delirio. Sento parlare di futuri presidenti in teoria eccellenti, ma circondati da un corteo di impresentabili. Le cronache politiche diventano bollettini di cronaca nera. Emergono scandali a ripetizione. Dopo il voto, scommetto che in tanti urleranno ai brogli commessi dagli avversari.

Se fossi un reduce delle Brigate rosse, mi fregherei le mani: quello che non siamo riusciti a fare noi, l’hanno realizzato i partiti. E senza neppure lasciarsi alle spalle qualche morto ammazzato e un po’ di gambizzati. Ma sono sempre state così le elezioni? Un signore che si chiamava Benito Mussolini le definiva «ludi cartacei». Però lui non aveva bisogno delle urne. Una volta varata la legge Acerbo, la nonna dell’Italicum di Matteo Renzi, inchiodò gli italiani al suo regime. E tirò diritto lungo una strada che avrebbe portato l’Italia verso la catastrofe della seconda guerra mondiale.

Dove ci porterà il premier oggi in carica non lo sa nessuno, tanto meno il suo imponente staff di Palazzo Chigi. Dunque voglio rimanere con i piedi per terra. E rievocare le prime elezioni del dopoguerra. Quelle che videro una novità rivoluzionaria: l’irrompere sulla scena politica di una forza strapotente che avrebbe cambiato il volto dell’Italia e deciso a chi sarebbe andato il governo del paese. Questa forza erano le donne. In casa nostra, per secoli non avevano mai votato. Andare alle urne era prerogativa dei maschi, «come il pisciare in piedi», rognava la più giovane delle mie zie. Poi un decreto firmato da Umberto di Savoia il 1° febbraio 1945, tre mesi prima della Liberazione, stabilì che anche le signore potevano presentarsi ai seggi.

Il primo effetto fu il raddoppio del corpo elettorale, da 11 a 23 milioni di iscritti alle liste. Un notorio dongiovanni della mia città bofonchiò a una delle sue amanti: «Non immaginavo che foste così tante. Adesso vi monterete la testa, comincerete a fare le preziose e ce la mostrerete con il lanternino!». La più spavalda delle sue morose, gli replicò: «Adesso dovrai votare il partito che ti dirò io. Altrimenti scordati il mio indirizzo». Un altro effetto fu di consentire a mia madre di andare al seggio come non aveva mai fatto. Erano le prime elezioni dell’Italia liberata. Accadde il 31 marzo 1946 e lo scopo era di decidere chi avrebbe amministrato le città. Le urne si aprirono in cinque domeniche diverse e per grandi raggruppamenti. Il motivo era semplice: occorreva presidiare i seggi, ma siccome la forza pubblica era molto scarsa, bisognava lasciarle il tempo di spostarsi da una zona all’altra.

Fu una corsa a tappe e si svolse nella più assoluta normalità. Con un’affluenza alle urne assai alta per l’epoca: il 71,6 per cento, un’utopia nell’Italia del 2015. Nella mia città, un comune di 35 mila abitanti in Monferrato, si presentò al voto addirittura l’88 per cento del corpo elettorale. Contribuirono a quel record anche mio padre Ernesto e mia madre Giovanna. Lei era una femminista inconsapevole perché guadagnava più di papà. Lui un uomo dolce, operaio guardafili del telegrafo.

L’arrivo di Giovanna al seggio, aperto nelle scuole elementari di via Cavour, fu memorabile. Si era messa in ghingheri come per andare a un matrimonio. In più si fece accompagnare da due giovani clienti che erano uno schianto. Disse alle ragazze: «Tiratevi su le calze, donne, perché dobbiamo mandare al tappeto gli scrutatori, soltanto maschi e di quelli stagionati!».

L’ingresso in sezione del Trio Lescano lasciò tutti a bocca aperta. E non avevano ancora visto il cartello che Giovanna aveva appeso alla saracinesca abbassata del suo negozio. Diceva: «La proprietaria di questa modisteria finalmente va a votare per la prima volta. Alla bella età di 42 anni!». Mio padre Ernesto osservò: «Non ti sembra di agitarti un po’ troppo?». Giovanna gli replicò: «Mio caro Netu, oggi il troppo o il poco lo decido io!». Di quelle prime elezioni del dopoguerra ricordo un’armonia sociale che nel 1948 sarebbe svanita a causa dello scontro all’ultimo voto tra la Dc e il Fronte democratico popolare. Pur essendo una tifosa di De Gasperi, mia madre stravedeva per una nipote, figlia dell’ultimo fratello di mio padre, Francesco. Dopo essere andato a lavorare in Argentina, era tornato in Italia e aveva sposato la tredicesima figlia di un pescatore del Po, Giuseppina, detta Pinota. Piccola, mora, occhi vivaci, carattere da comandante, portava in dote soltanto una cosa di valore: la licenza per aprire una trattoria.

Nacque così l’Osteria del Ponte, di fronte al Po. Francesco era comunista e quando si trattò di inaugurare la bandiera della sezione di Porta Po, lo fece in pompa magna. E chi era la madrina? Mia cugina Luigina, sedici anni, un viso incantevole, capelli neri lunghi sulle spalle, labbra perfette, sguardo da stendere tre giovanotti. Indossava un vestito intero, con la gonna plissettata che lasciava intuire una silhouette da sballo. Giovanna le aveva suggerito di tenere in mano un bouquet di fiori.

Insieme all’armonia, c’era anche molto pragmatismo. Alle comunali del 1946 vinsero i socialisti con sette mila voti. I democristiani ne ebbero appena trecento in meno. Terzi i comunisti. Sindaco della città divenne il socialista Paolo Angelino, professore di inglese, con una data di nascita impossibile da scordare: 1° gennaio 1900.

Giovanna confessò a mio padre: «Anch’io ho votato per Angelino». Sorpreso, lui osservò: «Ma non sei una tifosa di De Gasperi?». Lei alzò le spalle: «Che c’entra? Adesso si tratta di rimettere in ordine la città, dopo tanti anni di guerra. Il professor Angelino è l’uomo giusto per riuscire a farlo. Sai come lo chiamano? Pietrischetto Bitumato. E sai perché?». Ernesto sbuffò: «Sei tu quella che sa sempre tutto». Allora mia madre gli spiegò: «Il sindaco controlla di nascosto che i cantonieri lavorino a dovere sulle strade. Arriva a nascondersi dietro le piante o nei portoni e si accerta della consistenza dell’asfalto con la punta della scarpa. Ho fatto bene a votarlo. Quando sceglieremo il Parlamento mi comporterò in un modo diverso».

Pietrischetto Bitumato era di un’onestà a tutta prova. Voleva il bilancio sempre in pareggio. Ci teneva al buon nome del municipio di fronte agli elettori che continuarono a votarlo, anche quando si presentò alla Camera dei deputati. Era un socialista colto, ottimo parlatore, lettore infaticabile di buoni libri. Com’era fatale, teneva molto alle sue tre cariche: sindaco, deputato, capo dei socialisti cittadini. Per noi ragazzacci era il Califfo. Quando gli chiedemmo la tessera del Psi, ci cacciò dal suo studio strillando: «Non sono mica matto! In un mese voi mi distruggete il partito!». Che cosa è rimasto di quel tempo? Nulla. Tanto che mi domando se devo ritornare a votare. La mia risposta è che non ci andrò più. Non ho niente da spartire con i partiti di oggi, se non i torti che potrebbero farmi. E adesso il compagno Renzi mi iscriva pure nella lista nera dei gufi e dei rosiconi. Non me ne potrebbe fregare di meno.

domenica 17 maggio 2015

Caivano (Na), Politica: Quando i voti di Vanacore, Chioccarelli e Bernardo erano dignitosi.....

Caivano (Na), Politica: Quando i voti di Vanacore, Chioccarelli e Bernardo erano oro colato.....


di Gaetano Daniele




Ieri Oggi....... e domani.....?

Non c'è niente da fare, ad ogni tornata elettorale, ad ogni campagna elettorale, si elogiano i propri sostenitori, i propri candidati, ma la storia ci insegna che, subito dopo aver ottenuto i propri vantaggi politici, si abbandonano i singoli amici per puntare all'obiettivo successivo. Tutti sono bravi, tutti sono buoni, ma prima!?. Ieri erano buoni Vanacore, Bernardo e Chioccarelli, oggi sono buoni Acerra e Marzano, e domani?  Eppure, questa nel Post è una foto di pochi anni fa, proprio quando l'attuale candidato Sindaco di Forza Italia, dott. Simenone Minopoli, vinceva le elezioni provinciali con Italia di Centro, grazie anche ai voti di Vanacore e Bennardo, all'epoca persone serie e dignitose come appunto, riportava lo stesso Monopoli (vedi slogan), apprezzamenti che si assomigliano di anno in anno, solo che a cambiare poi, sono i corridori. 

Le luci e le ombre della Campagna elettorale, però, si rincorrono anche e soprattutto nelle accuse che al momento escono solo da una parte politica, cioè quella della destra locale rappresentata appunto, dal dott. Simenone Minopoli. Accuse pesanti rivolte ai competitori, e cioè di tenere in lista politici vecchi e non degni di rappresentare Caivano nel migliore dei modi, ma Minopoli dimentica che nella sua coalizione ci sono esponenti politici attivi e non come i fratelli Califano, artefici di non aver voluto il centro commerciale Campania, occasione che ha fatto perdere ai caivanesi decine e decine di posti di lavoro. Candidati come l'ex. consigliere della giunta Semplice, Luigi Falco. Ancora l'ex diessino Alfonso Castelli, e tanti altri ancora. Politici che hanno seduto in consiglio comunale per anni, appunto, passando da uno schieramento politico all'altro. Ebbene, ci domandiamo, a questo punto, come è  possibile puntare il dito contro tutta la parte politica avversa, accusandoli proprio di detenere candidati vecchi, quando i vecchi della politica sono anche in casa propria? Ci sono vecchi politici di serie A e vecchi politici di serie B? oppure si ha la presunzione e l'arroganza di stilare una classifica dei buoni e dei cattivi credendosi l'alter ego della politica?!. 

Insomma, chi giudica di solito viene giudicato, chissà se i caivanesi questa volta sapranno fare la scelta giusta...

Tasse, sarà un 2016 da incubo: ecco quanto pagheremo in più

Cgia Mestre, allarme sulle tasse: un futuro da incubo, nel 2016 imposte per 16 miliardi in più





Nel 2016 rischiamo 16 miliardi di nuove tasse: a lanciare l’allarme è la Cgia di Mestre. "Oltre a trovare le risorse per rimborsare i pensionati (si parla di un importo minimo oscillante tra i 2,5 e i 3 miliardi di euro) e per far fronte all’eventuale bocciatura da parte dell’Ue dei nuovi regimi di fatturazione (split payment ed estensione del reverse charge alla grande distribuzione, che ci costringerebbero ad un aumento delle entrate pari a 1,7 miliardi di euro), il governo Renzi", spiega la Cgia, "dovrà individuare altri 16 miliardi di euro: in caso contrario, dal 2016 scatterà la clausola di salvaguardia che innalzerà le aliquote Iva e ridurrà le detrazioni/agevolazioni fiscali in capo ai contribuenti italiani, con un conseguente aumento delle imposte per questi ultimi".

I conti non tornano - "Il Governo ipotizza una ripresa economica superiore a quella prevista nel Def con un conseguente incremento delle entrate fiscali, una contrazione dei tassi di interesse che dovrebbe ridurre il costo del debito pubblico e un rilevante apporto di gettito dal rientro dei capitali illecitamente esportati all’estero. Tuttavia", segnala Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia, "se queste ipotesi non si dovessero verificare, vi sarebbero effetti negativi su famiglie e imprese". Gli impegni assunti con la legge di Stabilità 2015, comunque, non terminano qui, prosegue l’associazione. Nel 2017 la clausola di salvaguardia sfiorerà i 25,5 miliardi di euro e nel 2018 l’importo salirà a 28,2 miliardi di euro.

I vincoli Ue - "Con l’Ue", prosegue Bortolussi, "abbiamo preso degli impegni per rispettare i vincoli di bilancio che non sarà facile onorare senza mettere mano nelle tasche dei contribuenti". Nel caso in cui non fossimo in grado di sterilizzare queste clausole di salvaguardia, dal 1 gennaio dell’anno prossimo l’aliquota Iva del 10 per cento aumenterebbe di 2 punti e, dal 1 gennaio 2017, di un altro punto, attestandosi così al 13 per cento. L'aliquota ordinaria, attualmente è al 22 per cento, dall’inizio dell’anno prossimo si alzerebbe di 2 punti, dal 1 gennaio 2017 di un altro punto e dall’1° gennaio 2018 di un altro mezzo punto. Pertanto, dal 2018 l’aliquota ordinaria si attesterebbe al 25,5 per cento.

Meccanismo diabolico - "Il meccanismo", conclude Bortolussi, "che giustifica l’impiego delle clausole di salvaguardia è a dir poco diabolico. Se il Governo non sarà grado di chiudere gli enti inutili, di risparmiare sugli acquisti, di tagliare gli sprechi e gli sperperi che si annidano nella nostra Pubblica amministrazione, a pagare il conto ci penseranno i contribuenti italiani che già oggi subiscono un carico fiscale tra i più elevati d’Europa". In passato, ricorda la Cgia, abbiamo già subito gli effetti della mancata "sterilizzazione" delle clausole di salvaguardia. Nell’ottobre del 2013, infatti, l’aliquota ordinaria dell’Iva è salita dal 21 al 22 per cento, con un aumento del carico fiscale per gli italiani di 4 miliardi di euro.

"Ecco come (e qaundo) finirà il mondo" Lo studio da Oxford sull'Apocalisse

La fine del mondo, ecco i dodici scenari dell'Apocalisse





Il cambiamento climatico, la guerra nucleare, un virus sconosciuto, l'eruzione di un vulcano, l'impatto della Terra con un asteroide. Ecco come, secondo gli studiosi del Global Challenges Foundation dell'Università di Oxford potrebbe finire il mondo nei prossimi cento anni. L'università britannica ha  fatto una classifica di come potrà arrivare l'Apocalisse. Hanno poi fatto due elenchi: nel primo hanno messo i fenomeni che sono già cominciati, nell'altra gli eventi misteriosi che al momento non sono prevedibili. Nell'elenco al primo posto c'è il cambiamento climatico che potrebbe essere determinato dallo scioglimento dei ghiacci, dal buco dell'ozono, dal riscaldamento della Terra e anche dall'inquinamento. C'è anche l'ipotesi di una guerra nucleare e della diffusione di un virus potentissimo (uno scenario questo che ha cominciato a far tremare quando lo scorso autunno è esplosa l'epidemia di Ebola in alcuni paesi africani. Al quarto e al quinto posto la caduta di un asteroide sula terra e l'eurizione di un vulcano. 

La guida per trovare subito lavoro Tutte le mosse per farsi assumere

Lavoro, che laurea conviene scegliere per non rimanere disoccupati





Laurearsi conviene ancora. Secondo i dati riportati dal rapporto 2015 di Almalaurea, il 70% dei laureati magistrali ha trovato lavoro entro un anno dalla laurea, l’86% entro cinque. Il vero problema però è a quale facoltà iscriversi, in un paese dove vi è una netta discrepanza tra le materie scientifiche e quelle umanistiche.

La scienza conviene - I più avvantaggiati sono coloro che possiedono una laurea tecnica. Infatti solo il 10% di chi ha scelto un percorso in ingegneria o nelle discipline medico-sanitarie e scientifiche è disoccupato a un anno dal conseguimento della laurea. Fra questi sono i medici quelli nettamente più avvantaggiati, con un tasso di occupazione dell’84%; bene anche gli ingegneri, con un 67%.

Umanisti in crisi - Più buia invece la situazione per i letterati. Come scrive Il Giornale, a un anno dal diploma è disoccupato il 35% di quelli che hanno scelto una laurea nel gruppo disciplinare giuridico o psicologico e letterario. Inoltre spesso i laureati in materie umanistiche sono costretti a scendere a patti, accettando lavori dequalificanti o non coerenti con gli studi fatti. Tuttavia, nonostante il percorso di assunzione sia più lento e sottopagato rispetto a lavori più “scientifici”, il 71% di quelli che hanno scelto la carriera da insegnante ha trovato lavoro a un anno dalla laurea.

Viaggiare non spaventa - Sarà l’Erasmus, la caduta delle frontiere in Europa o una maggiore apertura mentale. Sta di fatto che le nuove generazioni sono pronte a partire per cercare lavoro, il 48% dei giovani nati fra il 1984 e il 2000 è pronta a andare all’estero. Secondo il rapporto Italiani nel mondo 2014 della fondazione Migrantes, a lasciare l’Italia sono soprattutto i giovani fra i 18 e i 34 anni. Le mete più gettonate sono il Regno Unito, la Germania, la Svizzera e la Francia, mentre che va in altri continenti sceglie gli Stati Uniti, l’Argentina e il Brasile.

sabato 16 maggio 2015

Candidato con Fratelli d'Italia nei guai: trovano gli islamici dentro casa sua ma...

Bergamo, moschea abusiva nella casa di un esponente di Fratelli d'Italia





Doppia sorpresa per i poliziotti di Bergamo, che, quando sono andati a ispezionare un appartamento in centro, hanno prima scoperto che si trattava di una moschea abusiva, poi che il proprietario è un esponente del partito Fratelli d’Italia che da tempo si batte contro la realizzazione di una vera moschea in città.

La denuncia di Forza Italia - Il blitz è scattato dopo un’interrogazione di Forza Italia sui risultati dei controlli della polizia locale sulle presunte moschee abusive a Bergamo. L’assessore alla Sicurezza Sergio Gandi aveva denunciato che un appartamento di via San Bernardino, ufficialmente sede dell’associazione Al Madinahun, veniva invece usato come centro di preghiera. Immediatamente sono scattate le sanzioni previste per utilizzo dell’unità immobiliare in maniera difforme dagli strumenti urbanistici sia per l'affittuario che per il proprietario. Si è così scoperto che la casa apparteneva appunto a Rey Brembilla, candidato alle ultime elezioni amministrative con Fratelli d’Italia.

La difesa - In una nota Fratelli d'Italia, Alleanza Nazionale Bergamo parla di "una strumentalizzazione vergognosa, fatta apposta per distrarre dal vero nocciolo della questione. Respingiamo al mittente la pietosa strumentalizzazione della sinistra bergamasca circa il caso di Rey Brembilla. Come già spiegato dal suo legale, lo stesso Rey Brembilla era totalmente ignaro che all'interno dei locali regolarmente affittati l'associazione in questione svolgesse attività di preghiera non autorizzate. Anzi, Brembilla è parte lesa: appena scoperto cosa accadeva nei suoi locali aveva inviato delle diffide, già protocollate a gennaio, e tramite il suo legale si era messo a disposizione del Comune per le procedure di sgombero. Come lo si può far passare per colpevole?" "La sinistra bergamasca - continua la nota - vuole distrarci dai temi seri, speculando politicamente su vicende estranee alle responsabilità di Brembilla? Ci spieghi allora se non ci sia conflitto d'interessi politico e se sia solo un caso il fatto che l'avvocato difensore del centro islamico illegale sia quell'Hegazi che era anch'egli candidato per il comune, ma nelle lista del sindaco Gori. Il centrosinistra renda conto alla città delle attività di monitoraggio che sta mettendo in opera per prevenire situazioni di degrado e pericolo sociale, invece di gettare in pasto ai giornali notizie tendenziose".