Visualizzazioni totali

martedì 27 gennaio 2015

Renzi tra "Vietnam" e "sfiducia": cosa succederà dopo il Quirinale

Matteo Renzi tra Italicum, Quirinale e Nazareno. Cosa succede dopo l'elezione del presidente: lo scenario

di Claudio Brigliadori 



Sabato mattina, con ogni probabilità, il Parlamento eleggerà il nuovo presidente della Repubblica. Lo pensano in tanti, e lo auspicano altrettanti. Matteo Renzi ha già annunciato che le prime tre votazioni saranno interlocutorie, con gli onorevoli del Pd che presenteranno scheda bianca. Altrettanto faranno quelli di Forza Italia, parola di Giovanni Toti. O almeno questi sono gli ordini di scuderia, per depotenziare eventuali imboscate dei "franchi tiratori" presenti sia nel centrodestra sia nel centrosinistra. 

"Salta il Nazareno? Vietnam" - L'intenzione di Renzi è quella di trovare un nome che piaccia a tutto il Pd, o che comunque metta in condizione i "dissidenti" di non poter dire no. Il guaio è che non è così sicuro che quel nome vada bene anche a Silvio Berlusconi. Il Cav vuole blindare il patto del Nazareno, che sulla questione Quirinale prevederebbe un accordo su "un solo nome forte e credibile", che resterà coperto fino all'ultimo momento utile per non bruciarlo. Unico paletto posto ad Arcore: va bene anche un presidente di sinistra, "Basta che non ci sia ostile". Di più forse si saprà martedì sera, quando Berlusconi, forse Toti e i capigruppo Renato Brunetta e Paolo Romani si recheranno al vertice con il premier Renzi per le consultazioni di rito. E "se dovesse saltare il Nazareno, il Parlamento si trasformerà in un Vietnam e Renzi andrà contro un muro", è il messaggio servito dagli azzurri. La partita è sfaccettata e complessa: c'è il Colle, sì, ma prima ancora c'è la legge elettorale il cui sì definitivo è atteso per martedì pomeriggio al Senato. Su questi temi Forza Italia appoggia Renzi, ma è pronta a fare ostruzionismo durissimo su tutto il resto nel caso ci scappi la (brutta) sorpresa sull'elezione del presidente. Se per ipotesi (inverosimile, per il momento) a determinare il nuovo presidente sarà una convergenza tra Pd e M5S, per esempio, gli azzurri lasceranno il Pd in balìa dei grillini. Effetto domino: anche Ncd, a quel punto, mollerebbe il governo e risulterebbe molto, molto complicato per Renzi restare a Palazzo Chigi, anche con eventuale rimpasto o nell'ipotesi di un Renzi-bis.  

Il Pd: rischio di sfiducia - Una parte del Pd, invece, il problema di una crisi di maggioranza lo porrà già da domani sera. Perché come detto al Senato arriverà il via libera definitivo all'Italicum e dopo settimane di violenti scontri interni e minacce di scissione, sembra altamente improbabile che i dem si ricompattino votando il testo del governo sulla riforma elettorale. Se come probabile i dissidenti voteranno l'emendamento Gotor entrando di fatto nell'opposizione insieme a M5S, Lega Nord, Sel e parte di Forza Italia, Renzi si troverà nella paradossale di essere sostenuto da una maggioranza trasversale e diversa da quella che gli ha votato la fiducia nel gennaio 2014. E a metterlo in guardia da questa ipotesi è stato Davide Zoggia, deputato del Pd: "Se l'Italicum al Senato passerà con una maggioranza diversa da quella del governo, garantita solo dai voti di Forza Italia perché una discreta parte dei senatori Pd non l'avrà votata, sarà necessario un passaggio parlamentare per verificare la maggioranza di governo". Verifica, dunque, con la possibilità di una sfiducia. Altro pane per i franchi tiratori di ogni colore.

Salerno, De Luca come De Magistris: condannato, sospeso, fa il sindaco

Salerno, De Luca come De Magistris: condannato, sospeso, fa ricorso al Tar e vince





Gigi De Magistris ha fatto scuola. Oggi anche Vincenzo De Luca, condannato e dunque sospeso dalla carica di sindaco di Salerno per via della legge Severino, ha presentato ricorso al Tar contro il provvedimento di sospensione dopo la condanna per abuso di ufficio nel processo per la costruzione di un termovalorizzatore che doveva sorgere nella periferia di Salerno. E i giudici amministrativi, come hanno fatto per De Magistris, hanno annullato la sospensione reintegrandolo sullo scranno più alto del Comune: De Luca è di nuovo sindaco di Salerno. 

La legge Severino - Nel ricorso, appunto, è stata sollevata una eccezione di incostituzionalità della legge Severino, chiedendo l’emanazione di un decreto monocratico nelle more dell udienza collegiale. I legali di De Luca puntano ad ottenere fra una decina di giorni la sospensione della disposizione della legge Severino. A firmare il decreto di sospensione di De Luca dalla carica di sindaco era stato nei giorni scorsi il vice prefetto di Salerno, Giovanni Cirillo, dopo la condanna a un anno di reclusione e a un anno di interdizione dai pubblici uffici, con pena sospesa, emessa dal Tribunale di Salerno per abuso di ufficio.

Il tweet - "Il tar ha accolto il mio ricorso. Continuerò ad essere sindaco". È il post messo su facebook dal sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, non appena reintegrato nelle sue funzioni.

Le tappe della vicenda - Ecco le tappe della vicenda relativa alla sospensione del sindaco di Salerno Vincenzo De Luca, ora reintegrato nelle sue funzioni dal Tar. Il 21 gennaio erano stati i giudici del secondo collegio della seconda sezione penale del Tribunale di Salerno a emettere a carico del sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, la sentenza di condanna per abuso di ufficio a un anno di reclusione e a un anno di interdizione dai pubblici uffici con pena sospesa. Il giorno dopo la cancelleria del Tribunale ha inviato il dispositivo di sentenza in prefettura per l’applicazione della legge Severino.  Il 23 gennaio il vice prefetto vicario, Giovanni Cirillo, ha firmato l’ordinanza che ha sospeso De Luca dalla carica di sindaco fino ad oggi, quando il Tar ha emesso un decreto monocratico che lo ha reintegrato nelle sue funzioni, in attesa di una udienza nel merito del ricorso, basato su presupposti di incostituzionalità della norma. Il processo in cui De Luca è stato condannato per abuso d’ufficio nasce da una vicenda del 2008, quando, da commissario delegato per la realizzazione di un impianto di trattamento finale dei rifiuti (decreto dell’allora premier Romano Prodi firmato il 16 gennaio di quell’anno), nomina project manager del progetto per il termovalorizzatore un componente del suo staff. Nomina irregolare per mancanza di requisiti, con una richiesta di rinvio a giudizio per il sindaco e altre due persone firmata ad aprile 2011 dall’allora procuratore di Salerno Franco Roberti, e prima udienza del processo l’8 novembre di quell’anno.

Bossetti, la voce dalla procura: clamoroso ribaltone su Yara e il Dna

Omicidio Yara Gambirasio, possibile svolta. Indiscrezione dalla Procura: "Il dna mitocondriale non è quello di Bossetti"





Possibile svolta nel caso di Yara Gambirasio: sul corpo della vittima non c'è traccia del Dna mitocondriale di Massimo Giuseppe Bossetti, in carcere dal 16 giugno scorso con l'accusa di aver ucciso, con crudeltà, la 13enne di Brembate di Sopra. Emerge dalla relazione del consulente della procura in possesso dell'agenzia Adnkronos. Si è sempre parlato della traccia mista - Dna della vittima e di Ignoto 1 - trovata sugli slip di Yara come la prova regina contro il muratore 44enne, dopo che il corpo della ragazzina scomparsa il 26 novembre 2010 fu trovato in un campo di Chignolo d'Isola tre mesi dopo, ma la scienza sembra sconfessare se stessa. Pochi giorni fa era stato Claudio Salvagni, legale di Bossetti, a sostenere la stessa tesi in tv a Quarto grado. E ora l'avvocato torna alla carica: "Basta arrampicarsi sugli specchi: non c'è nessuna prova regina e Massimo Giuseppe Bossetti va scarcerato". Nei prossimi giorni l'avvocato presenterà una nuova istanza di scarcerazione.

"Il Dna non è quello di Bossetti" - Secondo la relazione in cui Carlo Previderè, ricercatore responsabile del laboratorio di genetica forense dell'Università di Pavia e chiamato dal pm di Bergamo Letizia Ruggeri ad analizzare la presenza di peli e capelli sul corpo della vittima, il Dna mitocondriale di Bossetti, estratto dal campione 31G20 della relazione del Ris (la traccia trovata sugli slip della vittima, ndr), non coinciderebbe con quello di "Ignoto 1". A Previderè spetta il compito di comparare i capelli e i peli trovati sul corpo della vittima con il Dna della vittima e con "Ignoto 1", il cui profilo del campione mitocondriale è reso disponibile dal Ris di Parma che a loro volta lo rilevano dalla relazione a firma del consulente Emiliano Giardina. 

La "svista" - Per risalire invece al profilo di Yara si chiede un campione di tessuto osseo dello spessore di circa due centimetri prelevato dal femore. Ma qui sorge la prima anomalia: il "semplice confronto di tali profili aplotipici consentì di realizzare immediatamente di essere in presenza di un unico profilo apolitico mitocondriale", scrive Previderè nella sua relazione e tale profilo "era certamente attribuibile alla vittima e non al soggetto definito Ignoto 1, come indicato nella relazione del consulente del pm, dottor Giardina". Un errore che vuol dire che il Dna di 532 persone, o meglio di 532 donne, non è stato confrontato con quello della persona sospettata di aver ucciso Yara ma con quello della vittima. Una svista, ma le anomalie non finiscono qui. 

Il giallo del Dna cellulare - La traccia trovata sugli slip della vittima mostra una traccia abbondante del Dna cellulare del4 4enne muratore, ma inspiegabilmente secondo i genetisti non contiene una quantità tale di Dna mitocondriale tanto che i Ris di Parma non sono stati in grado di dire, con certezza, se sul corpo della vittima ci fosse sangue, saliva o sperma di "Ignoto 1". Un risultato difficile da spiegare: il Dna cellulare, unico per ciascun individuo, contiene  al suo interno il Dna mitocondriale che caratterizza la "linea femminile" della discendenza. Non solo il Dna cellulare di Bossetti non coincide con quello mitocondriale, ma scientificamente risulta complicato giustificare una traccia abbondante di Dna cellulare e l'assenza di quello mitocondriale.

lunedì 26 gennaio 2015

Aereo greco si schianta su base Nato 10 morti in Spagna, coinvolti italiani

Spagna, F-16 greco si schianta contro base Nato: 10 morti e 13 feriti





Dieci persone sono morte e altre 13 sono rimaste ferite, tra cui 9 italiani, nello schianto di un caccia F-16 greco sulla base aerea della Nato a Los Llanos, nella Spagna centrale vicino ad Albacete. Lo ha reso noto il ministero della Difesa spagnolo, precisando che sette dei feriti sono in condizioni gravi. Il generale Francisco Javier García Arnáiz, capo di stato maggiore dell'aeronautica, si è subito recato alla base, sede di una scuola di addestramento della Nato. L'incidente sarebbe avvenuto in fase di decollo, quando durante una manovra di esercitazione l'aereo sarebbe andato fuori controllo schiantandosi sulla pista e colpendo alcuni velivoli parcheggiati. Fonti della Difesa hanno riferito che i piloti dell'F-16 sono fra i morti e che dei 13 feriti sette sono gravi, cinque sono in prognosi riservata e uno è stato dimesso. Nella zona sono intervenuti elicotteri di soccorso, ambulanze e vigili del fuoco.

Il naufragio, la fuga, i morti Per Schettino chiesti 26 anni

Per Schettino chiesti 26 anni di carcere





A conclusione della requisitoria durata ben tre giorni, ala procura della Repubblica di Grosseto ha chiesto 26 anni di carcere per il comandante della Costa Concordia, affondata all'isola del Giglio il 12 gennaio 2012. Nell'incidente, per il quale Schettino è l'unico imputato a processo, morirono 30 persone e altre decine rimasero ferite. Nove anni sono stati chiesti per il naufragio colposo, 14 per l'omicidio colposo e 3 per l'abbandono della nave. "Che Dio abbia pietà di Schettino perché noi non possiamo averne alcuna" aveva concluso la requisitoria il pm Stefano Pizza. I tre sostituti procuratori Maria Navarro, Alessandro Leopizzi e Stefano Pizza hanno parlato per 15 ore, hanno ricostruito le varie fasi del naufragio e le responsabilitá del comandante Francesco Schettino.

Quirinale, Renzi ha paura del Pd: "Scheda bianca per i primi tre voti"

Matteo Renzi: "Per il Colle il Pd voterà scheda bianca alle prime tre votazioni"





Matteo Renzi entra a gamba tesa sulla corsa al Colle. Il premier rompe il silenzio e fa sapere che il Pd "voterà scehda bianca ai primi tre scrutini". Di fatto Renzi vuole arrivare al quarto scrutinio quando basterà la maggioranza semplice per eleggere il Capo dello Stato. Una mossa quella del premier che di fatto forza i giochi e prova d imporre un suo candidato unico. Il Pd voterà scheda bianca alle prime tre votazioni. Lo ha annunciato il premier Matteo Renzi all’assemblea dei deputati alla Camera indicando il metodo per eleggere il Capo dello Stato. "Crediamo nel Pd, luogo di discussione", sono state le parole del segretario con cui ha aperto l’assemblea dei deputati . Chi non condivide il nome del candidato alla Presidenza della Repubblica "dovrà dirlo apertamente". I nomi dei candidati alla presidenza della Repubblica "non li facciamo perché poi decidano altri", ha precisato. Alle prime tre votazioni servono 672 voti su 1009. Mentre dalla quarta in poi ne serviranno solo 505: ovvero la maggioranza semplice.

La mossa - Di fatto in questo modo Renzi vuole tagliare fuori i candidati di bandiera per evitare la conta alle prime tre votazioni ed evitare figuracce dentro il partito. Così sale la temperatura dentro il Pd. La mossa di Renzi prova a stanare i dissidenti e il loro candidato che fa riferimento alla minoranza dem. Indicando al partito di votare scheda bianca chi non sarà d'accordo dovrà comunque indicare il nome del candidato permettendo ai renziani di contare chi dentro al Nazareno rema contro il candidato del premier. Insomma di fatto il presidente verrà eletto alla quarta votazione. Ma Renzi non si fida più del suo stesso partito. E questo è forse il punto su cui dovrebbe riflettere di più il premier. 

Renzi fa fuori la civatiana Lanzetta Via dal governo, ecco dove la spedisce

Renzi licenzia la civatiana Lanzetta (furiosa), e la regala alla Calabria





Quando ha ricevuto la telefonata del presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, che le spiegava: “Ho parlato con Matteo Renzi e mi ha dato il via libera. Ti ho inserita nella lista degli assessori della mia giunta”, Maria Carmela Lanzetta ha immediatamente realizzato di essere stata licenziata dal posto che attualmente occupa, da ministro degli affari regionali. Pur furiosa con il presidente del Consiglio che manco le aveva fatto una telefonata, non si è ribellata, e non se l’è presa con il povero Oliverio che le darà la poltorna da assessore per le riforme, la cultura e l’istruzione della Regione Calabria. Ma ha chiesto un faccia a faccia a Renzi. Un po’ umiliata in effetti la ministra licenziata si sente. Lei, da sempre legata a Pippo Civati, fu tirata da Renzi dentro il suo governo un po’ per cercare di portare a miti consigli l’ex compagno di rottamazione, un po’ per sbeffeggiare Civati: “vedi che se voglio porto via con nulla i tuoi?”. Civati ci restò male, e ne fece all’epoca una questione di educazione: “Matteo poteva almeno farmi una telefonata”, disse. Chissà se questo confino deciso in fretta e furia della ministra in Calabria non abbia ancora una volta le stesse ragioni: una vendetta di Renzi per il Civati che amoreggia con Nichi Vendola, visto che la Lanzetta era rimasta nella sua area politica. Di certo il premier libera una poltrona in un momento in cui può servire a mille giochi. Perchè anche quella poltroncina può avere il suo peso nella complicata partita per il Quirinale