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sabato 20 dicembre 2014

Cornuti sì, ma quanto guadagnano Ecco gli incassi degli arbitri italiani

Arbitri, ecco quanto guadagnano quelli italiani

di Francesco Paolo Giordano 


I più bravi se lo possono permettere: girano in Ferrari, vestono abiti firmati e ogni domenica scendono in campo per il campionato. Ma preferiscono la discrezione: non sono calciatori ma arbitri, non devono (ma qui il condizionale è preferibile) essere al centro dell’attenzione, ma limitarsi a far rispettare le regole. I direttori di gara della nostra Serie A potrebbero essere habitué del jet set, visto il lauto stipendio che spetta a quelli più in carriera: c’è chi, in un anno, riesce a raggiungere la somma di 200.000 euro lordi, solamente grazie al loro lavoro di fischietti. Che si accompagna alla professione autonoma, slegata dal mondo del calcio, esercitata da ogni giacchetta nera.

Bisogna ricordare che non tutti gli arbitri riescono a guadagnare una cifra del genere: dipende dall’esperienza accumulata. È in base alle gare dirette in carriera che cambia l’indennità fissa stagionale. Gli internazionali guadagnano 80mila euro, gli arbitri che hanno fischiato in almeno 70 gare di A percepiscono 70mila euro, 45mila euro per chi ha all’attivo almeno 25 gare di A e 3mila euro per i debuttanti nel massimo campionato. Infine, agli assistenti vanno 23mila euro annui. A queste somme, vanno aggiunti i compensi per ogni singola partita di campionato. Un arbitro guadagna 3.800 euro a gara, cifra che si riduce a 1.080 per gli assistenti e a 800 per il quarto uomo. Per la Coppa Italia, il tariffario varia a seconda dell’importanza della partita: dai mille euro dei primi turni si arriva ai 3.800 della finale, quanto una gara di Serie A. È la Federcalcio a versare i contributi agli arbitri, in quanto l’Aia, l’Associazione Italiana Arbitri, è la settima componente della Figc. In più, gli internazionali hanno la possibilità di arbitrare match gestiti dall’Uefa, dove il tariffario è ancora più remunerativo: 4.800 per ogni gara fischiata, 5.800 se la partita riguarda la fase finale di una manifestazione. 

La questione dei compensi per gli arbitri ritorna dopo l’ultimo Consiglio Federale: è stato approvato il budget 2015 della Figc (ma gli arbitri, insieme ad allenatori e calciatori, si sono astenuti dalla votazione), ma è stato previsto un passivo di 10 milioni di euro. «Ampiamente coperto dalle nostre risorse interne», si è affrettato a dire il presidente Tavecchio. Il segno meno è dovuto alla decurtazione dei contributi Coni decisa ad ottobre: si è passati dai 62,5 milioni di euro del 2014 agli attuali 40,1. Per questo, il numero uno della Federcalcio ha prontamente annunciato: «Ci sarà una riduzione dell’8% della spesa arbitrale, che su circa 50 milioni a disposizione equivale a 4 milioni di euro». La cura non è ancora definita, ma il paziente è già disteso sul lettino. Però, in fin dei conti, buona parte della spesa per gli arbitri viene destinata alle categorie minori: in Italia, ogni anno, si disputano 700.000 partite. Una stagione di Serie A, dal punto di vista del pagamento degli associati Aia, costa circa quattro milioni di euro, cinque se si considerano anche Coppa Italia e Supercoppa. 

Nello stesso Consiglio, è stato deciso di costituire un gruppo di lavoro che valuti l’introduzione della goal-line technology, il sistema per evitare i gol fantasma, già adottato nei Mondiali brasiliani. In Inghilterra lo usano già, in Germania arriverà a breve. Il presidente dell’Uefa Michel Platini è sfavorevole all’utilizzo della tecnologia sui campi di calcio, ma il fronte a favore sta raccogliendo sempre più consensi. Tra cui lo stesso Tavecchio, convinto anche da alcuni suoi sponsor, come Galliani, furioso per la mancata concessione del gol fantasma di Rami in Milan-Udinese dello scorso 30 novembre. Se si dovesse continuare su questa strada, la Figc potrebbe decidere di abolire gli arbitri di porta, che fin qui non hanno mai convinto fino in fondo. Il loro impiego costa alla Federcalcio, ogni anno, 1,6 milioni di euro. L’installazione della goal-line technology invece, come ha ribadito Carlo Tavecchio, sarebbe esclusivamente a carico delle società, e costerebbe tra i 200.000 e i 250.000 euro a stadio.

venerdì 19 dicembre 2014

Beffa sulle pensioni: via più tardi Ecco quando potrete lasciare il lavoro

Pensioni, dal 2016 si lascerà il lavoro 4 mesi più tardi




Dal 2016 si andrà in pensione quattro mesi più tardi. Età anagrafica per la pensione di vecchiaia e anni di contribuzione per quella anticipata saranno aumentati di quattro mesi. E' - come ricorda Il Giorno l'effetto del collegamento, previsto dalla riforma, tra incremento dell'aspettativa di vita e requisiti pensionistici. Per il 2015 saranno confermati i requisiti già validi: l'età pensionabile delle donne lavoratrici private e quelle autonome (commercianti, artigiane) rimane fissata rispettivamente a 63 anni e 9 mesi e a 64 anni e 9 mesi. L'età delle dipendenti pubbliche e quella degli uomini, rimarrano quelle del 2013 fissate a 66 anni e tre mesi. Restano invariati i requisiti della pensione anticipata che ha sostituito la vecchia pensione di anzianità: 42 anni e 6 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e sei mesi per le donne.

Il quadro - Ma come  dicevamo, il 2016 sarà un anno di stretta previdenziale. L'obiettivo della riforma Fornero è quello di fissare una soglia di età uguale per tutti, ma a questo traguardo arriveremo nel 2018, quando la soglia minima uniforme sarà almeno di 66 anni. Oggi lo è per i dipendenti pubblici di entrambi i sessi: nel 2016 è fissato un nuovo scalino. Il principio ispiratore è quello secondo cui a mano a mano che si vivrà più a lungo si dovrà lavorare di più e si alzerà quindi l'età pensionabile. Il primo adeguamento c'è stato nel 2013 ed è stato di 3 mesi. Il secondo partirà dal 2016: i quattro mesi in più di lavoro sono stati certificati dal decreto che - come scrive iIl Giorno - attende la pubblicazione. Ecco quindi il quadro per il 2016: le lavoratrici private passeranno da 63 anni e 9 mesi a 65 anni e 7 mesi; 64 anni e 9 mesi a 66 anni e anni e un mese per quelle autonome. 

Arriva la multa sul termosifone, cosa cambia: le sanzioni

La multa del termosifone: le sanzioni per chi non installa valvole termostatiche




Entro il 31 dicembre 2016, così come previsto dal decreto di recepimento della direttiva 2012/27/Ue sull’efficienza energetica, scatterà l’obbligo, per tutti gli italiani che risiedono in condomini con riscaldamento centralizzato, di installare su ciascun termosifone del proprio appartamento le valvole termostatiche con i contabilizzatori di calore. Che permetteranno di risparmiare, ma avranno anche costi d'installazione piuttosto alti e sanzioni altrettanto pesanti. Le valvole di fatto sono meccanismi di termoregolazione che permettono una suddivisione del calore nelle diverse stanze dell'appartamento, consentendo di escludere automaticamente il termosifone una volta che la camera ha raggiunto la temperatura desiderata in base al livello impostato, da 0 a 5. I contabilizzatori o ripartitori di calore sono, invece, apparecchiature che quantificano il calore effettivamente consumato. Grazie a questo intervento di risparmio energetico, si prevede di consentire un risparmio medio annuale tra il 10% e il 30% del totale del combustibile utilizzato da ogni condominio.

Costi e sanzioni -  Secondo una simulazione fatta dal Sole 24 Ore, per un appartamento di 80 mq dotato di 6 caloriferi servono 1.055 euro di spesa per installare le valvole termostatiche (in media si tratta di un'operazione che costa 120 euro a calorifero), compresi i costi per adeguare le pompe di circolazione dell'impianto condominiale da portata fissa a variabile. I condomini che non osserveranno la legge saranno soggetti ad una sanzione amministrativa compresa tra i 500 e i 2500 euro, a seconda delle disposizioni adottate dalle singole Regioni.

L'intervista/La ricetta anti-terrorismo di Dambruso per fermare gli infiltrati tra gli immigrati

Stefano Dambruso: "Ecco come possiamo battere il terrorismo"

Intervista a cura di Francesco Borgonovo 



Stefano Dambruoso, deputato di Scelta civica e questore della Camera, è uno dei maggiori esperti al mondo di terrorismo. Nel 2003, Time lo inserì nella lista degli «eroi moderni» per il suo impegno contro al-Qaeda. Nei suoi libri ha raccontato - e previsto - casi come quello australiano. 

Lei spesso nei suoi libri ha parlato dei cosiddetti "lupi solitari". 

"Stiamo sempre parlando di persone che appartengono a un’area di musulmani radicali di seconda o terza generazione. E si tratta di soggetti solitari, che non sono inseriti in una cellula associativa con una strategia preordinata, diversamente dal fenomeno che abbiamo conosciuto durante il ventennio di al-Qaeda. Sono soggetti che agiscono grazie a un impulso personale, che trovano confermato in tutta la prateria web del radicalismo islamico. Un impulso che sfogano nella loro pericolosa jihad individuale. Stiamo parlando di percentuali minime, che non appartengono all'intera area musulmana e che oggi possono trovare sul web ragioni di autoreclutamento. Sul web trovano tutte le conferme alle ragioni che li hanno spinti a cercare quel tipo di stimolo, di impulso". 

E' quello che lei ha definito terrorismo "homegrown". Perché questi soggetti si radicalizzano?

"Da noi è più diffusa la seconda generazione di musulmani. In altri Paesi siamo già alla terza generazione. Si tratta di persone che sono arrivate in Europa, in Italia, Inghilterra o Francia e che hanno mandato i loro figli nelle scuole di questi Paesi. Uno su mille avverte il disagio della mancata integrazione. E questa percentuale minima non può essere la testimonianza del fatto che ci siano cattive politiche di integrazione. Certo, queste politiche possono essere migliorate, ma le percentuali di individui radicalizzati sono troppo basse per poterle associare a cattive politiche di accoglienza".

Lei ha scritto che l'immigrazione irregolare può rappresentare un pericolo per via delle "incontrollate infiltrazioni estremistiche". 

"L'immigrazione irregolare presenta due fenomeni. Da un lato costituisce un parziale finanziamento al terrorismo da parte dei gruppi che la organizzano ad esempio in Nord Africa e in Egitto. Ci sono trafficanti di esseri umani che pagano il pizzo agli islamisti locali. Le associazioni terroristiche non sono in grado di organizzare l'immigrazione, come quella che vediamo per esempio a Lampedusa. Ma sono presenti sul territorio in cui operano i trafficanti di esseri umani. Poi c'è il fatto che, con decine e centinaia di migliaia di immigrati irregolari, può aumentare il rischio che qualcuno viva il disagio della cattiva accoglienza. E a quel punto possa decidere di passare all'auto immolazione facendosi saltare da qualche parte. Ma anche in questo caso il problema è legato ai singoli e non a gruppi criminali". 

C'è chi vive il disagio della cattiva accoglienza. Ma c'è anche il caso di Mohammed Game, che nel 2009 fece esplodere una bomba artigianale a Milano davanti a una caserma. Lui era, o sembrava, integrato. 

"Era integrato. Ma poi viene licenziato. E a quel punto non ha appigli o comunque strutture a cui rivolgersi in una fase di difficoltà personale. Come molti, è andato in moschea, sperando di trovare maggior aiuto nella preghiera. Ma ha trovato anche un imam, o comunque un predicatore, che lo ha indotto a compiere un sacrificio personale. Si è trovato in una situazione di fragilità e non ha trovato altro aiuto se non nella pratica terroristica. Fortunatamente è un caso su migliaia di persone che vivono in una situazione di disagio". 

Le percentuali sono basse, però lei ha parlato anche di rischi per l'Italia, in particolare per città come Milano, Napoli e Roma, dove è maggiore la concentrazione di musulmani. Dove può verificarsi una situazione come quella vista in Australia? 

"Obiettivamente può accadere davvero ovunque, appunto perché non stiamo parlando di organizzazioni con una base specifica. Questo non ci deve allarmare, ma dobbiamo sapere che abbiamo di fronte un fenomeno che esiste. E che va fronteggiato con misure diverse rispetto alla prevenzione classica, che continua a funzionare contro piccoli gruppi. I quali esistono ancora ma non sono strutturati come lo fu al-Qaeda per un ventennio". 

Proprio dagli stessi qaedisti - lei ha citato l’ideologo Abu Musab al-Suri e il portavoce Azzam al-Amriki - sono venuti appelli al terrorismo fai da te, dopo la morte di Bin Laden. 

“Proprio perché il fenomeno si diffonde grazie alla forte presenza sul web di retoriche jihadiste, qualche leader ha cercato di impadronirsene in termini assolutamente propagandistici, giusto per attribuire alla sua chiamata qualunque episodio sul modello di quello avvenuto in Australia”.

Anche l’Is, qualche mese fa, ha invitato i musulmani a uccidere gli infedeli ovunque e con ogni mezzo. 

“Questo appello ha avuto un peso in episodi che sono occorsi uno dietro l’altro in Canada. Prima un estremista ha investito due soldati uccidendone uno. Poi un altro ha dato l’assalto al parlamento uccidendo un militare. Ma ormai l’Isis non è più una organizzazione, è appunto uno Stato. Ha occupato uno spazio più grande di intere regioni italiane. Stiamo parlando di territori che posseggono strutture proprie come banche, amministrazioni locali e risorse naturali come il petrolio che sono nella disponibilità dei nuovi gestori della cosa pubblica. Che in questo caso sono gli uomini dello Stato islamico”.

Pensa che la comparsa sulla scena dello Stato islamico e tutta l’attenzione che ha ottenuto sui media possano stimolare l’azione di altri “lone fighters”?

“Assolutamente sì. Ci sono persone che si legano allo Stato islamico non solo perché vivono un disagio personale in una società a cui non sentono di appartenere, nonostante gli abbia dato i natali e delle possibilità di crescita. C’è anche un aspetto che definirei romantico, che spinge molti ventenni ad andare a immolarsi per una giusta causa. Come i nostri nonni andavano negli anni Venti in Spagna a combattere per un ideale che sentivano proprio”.

Come si fa a combattere questo tipo nuovo di terrorismo? 

"Sono aumentati gli strumenti di monitoraggio. Il controllo sul web si è molto perfezionato rispetto al passato. A livello europeo, nel semestre di presidenza italiana, nel gruppo dell'antiterrorismo si è discusso dell'introduzione di nuove norme. Per esempio quella che punisce l'autoreclutamento. E quella che punisce come attività terroristica il solo fatto di essere andati a combattere in una organizzazione come l'Isis - chiaramente terroristica - in un territorio diverso da quello europeo. Si tratta di due estensioni della penalizzazione. Nel caso dell'autoreclutamento, stiamo parlando di gente che viaggia solo sul web, e magari non fa alcuna attività organizzativa concreta. Mentre il fatto di partecipare a una guerra con una organizzazione criminale, ma all'estero, è estensiva del concetto di terrorismo internazionale. Normalmente, per punire qualcuno si richiede un minimo di collegamento con il territorio in cui poi verrà processato. La settimana scorsa, in Germania, abbiamo avuto il primo esempio di un cittadino tedesco processato per aver combattuto in Siria con lo Stato islamico. Il terzo elemento su cui si è riflettuto a livello europeo è l’introduzione, come misura di prevenzione, del ritiro del passaporto ai soggetti in procinto di partire per la Siria. In questo caso però ci si è trovati a riflettere su un dato che ha sollevato qualche perplessità. In Canada è stato ritirato il passaporto al soggetto che poi è andato ad attaccare il Parlamento. Ci si è chiesto se sia utile mantenere sul territorio persone che hanno un profilo di aggressività. Poi, parallelamente ai nuovi strumenti legislativi da introdurre per punire queste forme di condotta fino ad oggi non punibili con i nostri codici, ci sono altre iniziative”. 

Quali? 

“Iniziative e programmi di recupero sociale dei cittadini europei che hanno deciso di andare a combattere in Siria. Che puntano a far scoprire loro i valori di una società -
quella occidentale - in cui non si riconoscono. E’ uno degli obiettivi di questa campagna di deradicalizzazione che è stata promossa durante la presidenza italiana del semestre europeo. E’ un obiettivo difficile, certo, ma già la Germania, la Francia e la Danimarca hanno esempi avanzati di questo tipo di progetti”.

Abbiamo parlato dell’Europa. Ma per l’Italia, concretamente, che cosa si può fare?

“Si può finalmente creare l’ufficio di coordinamento nazionale delle Procure che si occupano di antiterrorismo, così come esiste la Direzione nazionale antimafia. Questa esigenza si avverte da anni, ma per ragioni prevalentemente politiche questo coordinamento non è mai stato creato. Anche se, dopo l’11 settembre, siamo arrivati ad affrontare il terrorismo islamista che ha natura transnazionale e impone un coordinamento fra l’azione sulle cellule presenti in Italia e quelle presenti all’estero. In oltre dieci anni, però, i suggerimenti degli esperti non sono mai stati ascoltati dal legislatore. Oggi abbiamo una rara possibilità: quella di portare a termine la creazione di un ufficio unico di coordinamento. C’è una proposta di legge pendente presso la commissione Giustizia che prevede l’estensione al terrorismo delle prerogative della Direzione nazionale antimafia, nella consapevolezza della diversità dei due fenomeni, ma anche tenendo presente la vicinanza riscontrata fra questi. Specie nei rapporti internazionali. Speriamo che sia la volta buona”.

Beppe Grillo all'assalto di Napolitano: "Dimissioni? Re Giorgio deve costituirsi"

Beppe Grillo all'assalto di Napolitano: "Dimissioni? Lui deve costituirsi"




"Le dimissioni di Napolitano? Lu non deve dimettersi, deve costituirsi": sono dure le parole di Beppe Grillo sul presidente della Repubblica, che oggi ha definito "imminente" la conclusione del proprio mandato. Nel corso di una conferenza alla stampa estera, il leader del Movimento Cinque Stelle ha aggiunto: "Stiamo dentro una struttura dei partiti dove ci hanno messo in un angolo, si sono alleati grazie al Presidente della Repubblica. Dovevamo governare noi che avevamo preso il 25%, perché non ci hanno dato l’incarico?". E ancora: "E' una persona che ha gravissime responsabilità. Ha firmato qualsiasi cosa, si è chiuso nell'ombra e si è inventato le larghe intese per allungarsi la carriera".

Il prossimo presidente... - Beppe Grillo ha tracciato l'identikit del prossimo presidente della Repubblica ideale: "Deve essere una persona che non firmi qualsiasi cosa, una persona di buon senso, normale e al di fuori degli schieramenti politici". Secondo Grillo, le condizioni dell'Italia sono pessime: "Questo paese ogni giorno che passa peggiora, mentre i partiti parlano di cose che non hanno più senso: parlano del presidente o della Corte Costituzionale o della Legge elettorale. E intanto stiamo peggiorando in tutti i campi". Grillo ha ribadito che, a suo parere, "l'Italia deve uscire dall'euro il prima possibile", e ha rivendicato il ruolo del suo movimento: "Noi stiamo proteggendo la democrazia. In Germania, in Francia, in Grecia stanno venendo su delle destre che non fanno i banchetti, vanno con i bastoni: noi non siamo razzisti, la destra ha lucrato sugli immigrati. Noi andiamo in mezzo alla gente, noi siamo la gente". Poi l'affondo su Romano Prodi: "Basta, non se ne può più. Sceglieremo un nostro candidato con le Quirinarie". 

Marò, l'erroraccio di Matteo Renzi che mette nei guai Latorre e Girone

Marò, l'erroraccio di Renzi che mette nei guai Latorre e Girone




Ancora un "erroraccio" nella complicata vicenda marò. Se Salvatore Latorre e Massimiliano Girone sono ancora oggi ostaggi della giustizia di Nuova Delhi la colpa questa volta è di Matteo Renzi. Dagospia che riporta infatti un retroscena su quello che accadde il 15 novembre scorso, quando il premier e il presidente indiano Narendra Modi si sono appartati per discutere appunto sulla questione marò. Al termine dell'incontro il presidente del Consiglio italiano sottolineò con i giornalisti che era importante evitare le polemiche sui marò per non mettere a repentaglio i molti rapporti con l’India. Quello che Renzi non disse è che Modi lo incoraggiò a seguire la strada delle trattative informali, quelle che vengono condotte attraverso i servizi segreti. Cosa che l’Italia ha puntualmente fatto, con l’impegno costante del sottosegretario Marco Minniti e del capo dell’Aise, Alberto Manenti. Un "erroraccio" secondo Dagospia. Renzi si sarebbe infatti fatto fregare perché la giustizia indiana però è indipendente dal governo e i due marò restano nei guai. In pratica il presidente del Consiglio Renzi è caduto in una mezza trappola e si è perso tempo prezioso per sollevare invece un arbitrato internazionale su tutta la vicenda, strada che ovviamente è incompatibile con quella dei negoziati riservati.

Nomi azzurri per la corsa al Colle: "No alla Severino, ecco chi vogliamo"

Forza Italia, Giovanni Toti: "La Severino non va bene per il Quirinale"




Dopo l'annuncio delle "imminenti dimissioni" di Giorgio Napolitano, Giovanni Toti parla del prossimo presidente della Repubblica. L'eurodeputato di Fi e consigliere di Berlusconi ne ha parlato oggi a Un Giorno da Pecora, il programma di Rai Radio2 condotto da Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro. C'è anche il patto per il Colle in quello del Nazareno? “Il Patto del Nazareno è una cosa seria. E non comprende l'elezione del Presidente della Repubblica”. 

I nomi - Accettereste Romano Prodi come nome per il Quirinale? “Lo escludo assolutamente, per noi no”. Berlusconi ha detto che voleva Amato. “Lui è un moderato che ha un curriculum di tutto rispetto. Il Presidente non ha fatto il suo nome per bruciarlo”. E la Severino? “Ritengo che la Severino abbia fatto parte di un governo che abbia fatto danni a questo paese, non mi pare possa esser una candidata”. E Casini? “Un centrista che viene dalla nostra area politica”.