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venerdì 21 novembre 2014

Napoli non si libera di De Magistris: Giggino esulta: farà ancora il sindaco

Luigi De Magistris resta sindaco: il consiglio di Stato dà ragione al Tar




Resta sindaco Luigi De Magistris. Il Consiglio di Stato ha confermato la decisione del Tar Campania che un mese fa lo ha reintegrato al Comune di Napoli, bloccando la sospensione prevista dalla legge Severino in caso di condanna in primo grado. "Sono molto contento", ha commentato il sindaco.  "La giustizia amministrativa di primo e secondo grado - ha proseguito il sindaco di Napoli - ha sanato una ferita molto dolorosa che ha rischiato di metterci seriamente in difficoltà in queste settimane. Oggi è una bella giornata".  "Napoli ti amo - scrive ancora de Magistris su Twitter - Sindaco di strada tra la gente per sempre". 

Quelle frasi al Papa Francesco: "Ancora non ti ammazzano?"

Quelle frasi a Papa Francesco: "Ancora non ti hanno ammazzato?"




Dopo l'allarme in Vaticano per le minacce a Papa Francesco e la paura per un possibile attentato al Pontefice, emergono nuovi particolari sui rischi che corre Bergoglio. Secondo quanto racconta il Corriere della Sera sembra che i suoi collaboratori a volte scherzino con il Papa Francesco sulle minacce di morte. "Santo Padre, ancora non l’hanno ammazzata oggi?", lo apostrofano superando il timore reverenziale che pure incute. "Jorge, ti proteggono abbastanza?", gli gridano i connazionali alle udienze, sotto gli occhi inquieti degli agenti in borghese. Il pontefice secondo gli esperti di intelligence, ha imposto un modello di religiosità che significa distruzione di qualunque diaframma tra il papa-re ed i suoi sudditi: uno stile che lo ha reso un mito delle folle, e un obiettivo terroristico potenzialmente "facile". 

"Se mi ammazzano..." - E ad alimentare le paure per un attentato arrivano anche le indiscrezioni de la "Nacion". Juàn Carlos Molina, un prete argentino di un’organizzazione che combatte il traffico di droga, la Sedronar, il 12 novembre, secondo quanto racconta il quotidiano, è stato a colloquio con Francesco per quaranta minuti. Hanno sorseggiato insieme con la cannuccia il mate caldo, l’infuso tipico del loro Paese. E Molina ha raccontato di avere detto al Papa, dandogli del tu come fanno molti sacerdoti che lo conoscono dai tempi in cui era arcivescovo di Buenos Aires: "Attento, ti possono ammazzare. Francesco mi ha risposto: 'È la cosa migliore che mi potrebbe capitare. E anche a te...'. Non erano parole rassegnate. Sembrava dire, più semplicemente, che bisogna essere pronti anche al martirio". 

Evasione, le nuove multe: fino a che cifra non si rischia il carcere

Evasione fiscale, cambiano le sanzioni: niente carcere fino a 200mila euro




Rivoluzione sulle sanzioni fiscali. La dichiarazione infedele sarà penalmente rilevante solo se l'imposta evasa supera i 200mila euro e non più 50mila euro. Come racconta il Sole 24 Ore, a differenza di quanto avviene adesso in cui la condizione congiunta per far scattare il reato di dichiarazione infedele (articolo 4 del Dlgs 74/2000) è che l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti a tassazione è superiore al 10% dell'importo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, è superiore a 2 milioni di euro. È un'altra delle novità che dovrebbero entrare nell'attuazione delle norme su abuso del diritto e sanzioni previste dalla delega fiscale (legge 23/2014).

Le nove norme - Il testo è atteso all'esame del Consiglio dei ministri la prossima settimana. Sull'abuso del diritto si va verso un'applicazione delle nuove norme per i comportamenti abusivi già commessi alla data di entrata in vigore delle nuove regole ma solo a condizione che il fisco non abbia già notificato un avviso di accertamento. Ma tra i fronti in ambito fiscale c'è anche la questione della proroga dei versamenti in scadenza a dicembre nelle aree colpite dalle alluvioni degli ultimi giorni. "La stima dell'ammontare della sospensione dei versamenti tributari per il solo periodo 10 ottobre - 20 dicembre 2014 è di circa 3 miliardi", ha spiegato ieri il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, rispondendo al question time in Aula alla Camera. "La normativa è oggetto di valutazione". Da un lato, infatti, "la cancellazione totale delle cartelle di pagamento – ha aggiunto - non solo avrebbe effetti sui saldi di finanza pubblica ma anche creerebbe disparità di trattamento con riferimento a situazioni analoghe in passato". Dall'altro, ha precisato Padoan, misure agevolative sarebbero "soggette anche alla normativa europea sugli aiuti di Stato". 

Tasse e maltempo - Per quanto riguarda, invece, gli incassi da riscossione il titolare di via XX Settembre ha precisato che "in merito all'osservazione secondo cui l'importo complessivo delle cartelle di pagamento derivanti dal mancato versamento di tasse, tributi locali e contributi previdenziali che lo Stato deve ancora incassare ammonterebbe a circa 530 miliardi, gli uffici tecnici riferiscono che a legislazione vigente si può confermare quale previsione di incasso l'importo globale di circa 7 miliardi di euro, di cui 4miliardi riferito a carichi erariali". 

Provvedimenti retroattivi - Infine nel nuovo pacchetto che prepara il governo c'è anche la questione norme tributarie retroattive. Padoan ha riconosciuto che la congiuntura non favorevole ha talvolta portato a una deroga della previsione di irretroattività delle disposizioni tributarie. Ora, con la delega fiscale, "viene ribadito il principio dell'irretroattività e già il Dlgs semplificazioni fiscali "si muove in questa direzione, è il primo passo per la realizzazione di un sistema chiaro e trasparente". 

L'indiscrezione della Rossi sul voto: "A maggio si andrà alle urne"

Forza Italia si rassegna al voto: "Ecco quando si andrà alle urne"

di Franco Bechis 


]Erano da poco passate le quattro del pomeriggio di ieri, quando da un vicolo dietro piazza del Parlamento sbuca con passo svelto un ex parlamentare  di Forza Italia, all’epoca piuttosto noto, oggi ancora più noto per la professione che fa: l’avvocato, uno dei primi avvocati di Italia, Maurizio Paniz. Lo conosco da molto tempo, è cortese come pochi uomini politici, e avendo una passioncella comune per la Juventus, appena ci si vede, di quello si parla subito. Poi si passa alla politica. È stato proprio mentre Paniz scuoteva la testa e raccontava della caduta rovinosa del suo partito, specie in quel Triveneto che ben conosce, che all’improvviso per strada è passato un macchinone scuro con una donna a bordo. Frenata, un po’ di retromarcia, e dall’Audi Q3 è scesa la senatrice Mariarosaria Rossi (l’auto è di sua proprietà), seguita da un body guard. Baci e abbracci con Paniz, e il discorso sulla politica è proseguito a tre voci. Anzi, due silenzi (quello di chi scrive e di Paniz) tesi a cogliere ogni sfumatura di quel che stava raccontando la senatrice.

La Rossi non è una qualunque peone: è oggi forse la parlamentare più vicina a Berlusconi (e a Francesca Pascale), che l’ha voluta anche alla guida di FI, di cui lei è amministratore straordinario. Si stava chiacchierando di Renzi, della curva di popolarità del premier che sta per la prima volta scricchiolando, del dilemma che agita il Palazzo: elezioni anticipate nella prossima primavera o no? Ed è proprio la Rossi a sciogliere decisa ogni dubbio in proposito: «Certo che si voterà. Se non va alle urne Renzi ha finito la sua storia politica, è chiarissimo a tutti noi. Per cui ci sarà l’election day nel maggio 2015, e con ogni probabilità alle elezioni regionali e alle politiche si uniranno quelle per il Comune di Roma, sempre che il Pd ce la faccia a resistere fino ad allora».

La Rossi prosegue la chiaccherata con Paniz raccontando tutta la sua indignazione per come stia governando la capitale Ignazio Marino, e si capisce come le debba essere poco simpatico il sindaco: «Ma lo sai», si sfoga, «che per mesi la sua principale preoccupazione era fare controllare tutte le auto intorno a Palazzo Grazioli per cercare di pizzicare una delle nostre fuori posto e appiopparci una multa?». I due parlottano poi di vicende più personali e si salutano affettuosamente.

Dalla Rossi dunque è arrivata una sorta di notizia, sia pure priva di grandi dettagli: Renzi pensa di andare al voto nel maggio 2015, probabilmente dopo avere fatto eleggere dal Parlamento attuale il successore di Napolitano, e con una Forza Italia che se non proprio rassegnata, sembra non volersi mettere di traverso. Sarà un caso, ma mentre la Rossi disegnava quegli scenari, le agenzie battevano parole di Berlusconi da piena campagna elettorale, legate al No tax day lanciato da Forza Italia, con un invito ai pensionati a non disertare le urne, e una promessa loro rivolta: quando il centrodestra tornerà al governo, le pensioni minime verranno subito portate a mille euro netti al mese e le tasse sulla prima casa eliminate.

Davvero Renzi ha questa tabella di marcia verso l’election day? E con quale legge elettorale, visto che al momento l’Italicum è ancora ai primi passi in Senato e in ogni caso varrebbe solo per la Camera? Proprio pochi minuti dopo l’incontro con la Rossi lo chiedo in Transatlantico a un renziano doc come Emanuele Fiano, oggi relatore alla Camera della riforma del Senato. Premette di non credere che a Palazzo Chigi si pensi ad elezioni anticipate, e questo è scontato per un fedelissimo del gruppo: se lo si pensa e magari anche lo si prepara, certo non lo si dice apertamente. Ma accadesse con quale legge si potrebbe votare? «Anche con due leggi diverse», spiega da tecnico Fiano, «e cioè con l’Italicum per la Camera e il Consultellum per il Senato. Ci sono autorevoli costituzionalisti che lo ritengono possibile». Altrimenti con il Consiltellum - e cioè con la legge esistente scritta dalla Corte Costituzionale - per entrambi i rami del Parlamento. «Anche se io credo davvero difficile», mette le mani avanti Fiano, «che possa sciogliere le Camere questo presidente della Repubblica. E ancora di più che possa farlo il successore come suo primo atto...».

Così il governo ha speso i nostri soldi Voce per voce i conti in tasca a Renzi

Renzi, ecco come il governo ha speso i soldi

di Franco Bechis 


La spending review non c’è più. E dopo il calcio nel sedere dato a Carlo Cottarelli, si capisce anche perché Matteo Renzi arrivato a palazzo Chigi si è subito romanizzato: il suo inglese è un po’ casereccio, e così nei suoi primi mesi di governo ha sperimentato la "spending de più", che con l’originale farà pure rima, ma procede nella direzione opposta. Secondo i numeri ricavabili dalla banca dati Siope nei primi nove mesi del 2014 la spesa corrente del governo centrale è ammontata a 218,15 miliardi di euro. Fra il primo gennaio e il 30 settembre del 2013 invece era stata di 214,7 miliardi di euro. Invece di ridursi di 7-8 miliardi di euro è aumentata di 3,5 miliardi. Una variazione che percentualmente non è enorme (+1,58%), ma lo diventa per il fatto che ribalta tutte le previsioni: avrebbe dovuto esserci il meno davanti a una cifra significativa.


Tutt’altro che scontate le variazioni di spesa anche dando un’occhiata approfondita ai vari capitoli di bilancio. Perché la realtà racconta una storia assai diversa da quella dipanata in questi mesi attraverso slides, conferenze stampa e interviste dello stesso presidente del Consiglio. Ad esempio la spesa per il personale del governo è significativamente aumentata quest’anno, superando in nove mesi i 400 milioni di euro solo per competenze fisse e premi di risultato, contro i 332 milioni spesi l’anno precedente (in un periodo in cui sono stati premier prima Mario Monti e poi Enrico Letta). Ma non solo è schizzata in alto, è pure peggiorata in qualità. Sono infatti aumentate del 63,61% le competenze fisse, vale a dire gli stipendi base garantiti ai dipendenti, mentre si sono ridotti del 50,61% (più che dimezzate quindi) le componenti variabili dello stipendio legate al risultato come i premi produzione. Con Renzi quindi meno meritocrazia e più filosofia burocratica. Il contrario dei suoi slogan.


GETTONI DI PRESENZA
Sempre in tema di personale anche alcuni altri capitoli tradizionalmente legati al taglio dei costi della politica hanno avuto ben altro destino. È aumentata del 32,81% la spesa per incarichi speciali alle dipendenze del governo, e sono addirittura quintuplicati i gettoni di presenza per la partecipazione a consigli e commissioni governativi, visto che la spesa è passata da un milione e 58 mila euro del 2013 a 5 milioni e 603 mila euro nel 2014. Clamoroso pure il dato sui buoni pasto: nei primi nove mesi del 2014 si sono spesi per quelli garantiti ai dipendenti dei ministeri 40,2 milioni di euro. Nello stesso periodo dell’anno precedente la spesa era stata di 25,1 milioni di euro: è dunque cresciuta senza una ragione chiara del 60 per cento. Renzi offre così un assist clamoroso a chi ha sempre pensato che a Roma l’unico sport praticato nel palazzo fosse quello del “magna-magna”, con gran rumore di mascelle. Riporta indirettamente al capitolo del personale anche un’altra spesa per collaborazioni professionali esterne: quella per servizi di interpretariato e traduzioni, che è quasi raddoppiata passando da 1,8 milioni di euro del 2013 a 3,33 milioni di euro. Può avere inciso la scarsa propensione per le lingue di alcuni nuovi protagonisti del governo, ma anche l’inizio del semestre europeo a guida italiana che ha occupato tre dei primi nove mesi dell’anno. Ancora nel capitolo del personale di Stato due altre spese che hanno un andamento assai curioso: quella per l’assistenza medico-sanitaria e quella per l’assistenza psicologica e religiosa. A guardare le cifre c’è da pensare che con l’avvento del renzismo al potere i dipendenti pubblici abbiano acquistato una salute fisica di ferro, ma sono sprofondati in crisi psicologiche o mistiche. Fatto sta che si spende il 7,60 per cento di meno in assistenza medica, mentre è aumentata del 28,56% la spesa per assistenza psicologica e religiosa.

CARTA CANTA
Sorpresina anche nel capitolo dei consumi intermedi dello Stato: proprio con l’arrivo di un presidente del Consiglio che sembrava attratto solo dal virtuale (web e social network), è cresciuta a dismisura la spesa per l’acquisto di carta e di prodotti di cancelleria. Entrambe sono più che raddoppiate: quella di acquisto di carta è cresciuta del 135,74%, quella per la cancelleria poco meno: +120,84%. Scontato invece il taglio delle mazzette di giornali, vista la scarsa simpatia che il presidente del Consiglio ha per la carta stampata: la riduzione in nove mesi è stata del 5,66%. Fra i consumi di Stato aumenta quasi dell’11% la spesa per telefonia (6 milioni di euro in più), ma scende del 4,13% quella per la bolletta elettrica. 

Nel capitolo dei trasferimenti ancora cifre che nessuno si sarebbe atteso. Con Renzi lo stato litiga di più con fornitori e cittadini comuni, e perde: la spesa per contenzioso è lievitata del 53,58% con i fornitori e del 16,72% con i cittadini. Ma i grandi numeri colpiscono soprattutto per i trasferimenti agli enti locali e agli organi costituzionali. Renzi non ha perso occasione per rivendicare il taglio delle province. Una bugia grossa come una casa: le province costavano l’anno prima quando c’erano 503,2 milioni di euro in nove mesi. Quest’anno che sono sparite costano nello stesso periodo al contribuente italiano 518,8 milioni di euro, e cioè 18,5 milioni di euro più di prima. Bella operazione. Sono aumentati i trasferimenti dello Stato anche alle Regioni (+3,09%) e soprattutto ai Comuni (+46,66%) a cui la manovra per il 2015 però darà una gran sforbiciata. Prendono più soldi anche Camera, Senato e la stessa presidenza del Consiglio, e invece di tagliare i costi della politica, il nuovo premier ha sforbiciato i trasferimenti a famiglie (-0,34%) e alle imprese (-20,30%).

Palazzo Chigi studia la fuga dall'euro: ecco il piano del premier

A Palazzo Chigi stanno studiando l'uscita dall'euro

di Mario Giordano 


Renzi sta pensando di far uscire l’Italia dall’euro nell’estate 2015? È evidente che si tratterebbe di una notizia clamorosa, destinata a cambiare radicalmente il futuro del nostro Paese e dell’intera Unione. A lanciarla è una fonte attendibile, l’economista francese Jacques Sapir, uno dei grandi sostenitori del no euro, che a inizio mese ha partecipato a un seminario in Italia organizzato dal Pd. Nell’occasione ha incontrato alcuni di quelli che lui definisce «consiglieri economici del governo Renzi» che gli hanno comunicato ciò che starebbe bollendo nella pentola di Palazzo Chigi. È lo stesso Sapir a raccontarlo sul suo blog: «I consiglieri economici di Renzi», scrive, «sono molto pessimisti sull’avvenire del Paese. Stimano che, se non ci sarà quest’inverno un forte cambiamento della politica economica tedesca, l’Italia non avrà altra possibilità che uscire dall’euro verso l’estate 2015». Non sappiamo chi siano i consiglieri economici (gufi?) che ha incontrato Sapir. E immaginiamo che da Palazzo Chigi si affretteranno a smentire rapidamente, perché l’uscita dall’euro magari la si prepara, ma di sicuro non la si annuncia con dieci mesi d’anticipo. Resta però il fatto che l’economista francese è un docente autorevole, riconosciuto a livello internazionale. Nel suo articolo intitolato «Se l’Italia esce dall’euro…», si preoccupa di analizzare le possibili conseguenze per gli altri Paesi di questa eventualità. Che evidentemente, dopo i colloqui con gli esponenti del Pd, ha avuto modo di considerare qualcosa più di un’eventualità.

Qualcosa si muove - Che qualcosa si stia muovendo nel Pd sul fronte della moneta unica, del resto, è evidente. Se fino a qualche tempo fa, il partitone difendeva in modo compatto l’euro e ogni voce contraria era considerata come frutto di colpo di sole o improvvisa follia, ora si moltiplicano i segnali di apertura ai no euro. È nota la presa di posizione contro la moneta unica di Stefano Fassina, che ha fatto molto discutere nei giorni scorsi, così come ha fatto discutere la sua partecipazione e quella di Gianni Cuperlo al convegno organizzato l’8-9 novembre a Montesilvano (Pescara) dal grande guru dei no euro, il professor Alberto Bagnai. Ed è stato lo stesso Bagnai, in quell’occasione, a raccontare di essere stato invitato a seminari e incontri, rigorosamente riservati, con esponenti della sinistra di governo. Tutti della minoranza Pd? O c’è anche qualche renziano doc che comincia a studiare la pratica?

Non sarebbe una novità. È noto che uno dei più ascoltati consiglieri economici di Renzi, già militante della Leopolda e oggi beneficiato con la poltrona nel consiglio d’amministrazione dell’Eni, è Luigi Zingales, autore di un libro molto scettico sulle possibilità dell’euro di poter continuare a vivere così come è messo ora. Bisognerebbe cambiare rotta, ha ripetuto Zingales a più riprese. Ma per cambiare rotta, ha spiegato in un articolo sul Sole 24 Ore lo scorso 21 agosto, occorrerebbe dare alla Bce «quegli elicotteri che non ha» e che nessuno vuole darle. Insomma: bisogna cambiare, ma non si riesce a farlo. E dunque…. Più o meno le cose che Sapir si è sentito dire a inizio mese durante il citato convegno con gli esponenti del Pd.

La situazione - La situazione pertanto è chiara. Ed è esattamente quella che i sostenitori del no euro, tanto sbertucciati fino a qualche mese fa, avevano previsto da tempo: il sistema così non regge. A ciò si aggiunga che: a) la trasformazione della Bce in una vera banca centrale (cioè dotata degli «elicotteri», secondo la metafora di Zingales) è impossibile perché per farla ci vorrebbe anche un’unione fiscale che i tedeschi non accetteranno mai; b) anche la svalutazione dell’euro nei confronti del dollaro porterà pochi benefici all’economia italiana, dal momento che quest’ultima realizza il 64 per cento del suo export proprio nella zona euro. Quello che noi dobbiamo fare è diventare competitivi con gli altri Paesi dell’Unione.

Abbattere la moneta unica - E dunque non ci sono molte altre strade percorribili: bisogna abbattere la moneta unica. Altrimenti si abbatterà presto da sola: l’arresto della crescita della Germania (notizia economica delle ultime settimane) è la dimostrazione che tutto procede, come previsto verso il crack finale, già anticipato da tutti gli esperti e anche da un rapporto di Mediobanca dell’anno scorso. L’Italia aspetterà quel momento? O si muoverà prima? Se Renzi stesse davvero preparando un’opzione del genere, beh, forse sarebbe la cosa più intelligente che sta facendo in questo momento. Bisogna vedere però se glielo lasciano fare. O anche solo studiare. Pure il semplice pensiero di uscire dall'euro, in effetti, come insegna la storia italiana recente, può essere assai pericoloso per chi siede a Palazzo Chigi…

Arriva la tassa sul maltempo Colpisce tutti i proprietari di casa....

Salasso fino a 2.000 euro con la polizza anti-alluvione

di Sandro Iacometti 


Un’altra bella tassa sulla casa che può arrivare, per chi abita nella zone più a rischio, a sfiorare i 2mila euro l’anno. È questo il piano del governo per fronteggiare l’emergenza delle calamità naturali. Non riuscendo a prevenire le catastrofi, l’esecutivo sta pensando di risolvere a valle il problema dei danni provocati e dei costi della ricostruzione costringendo i cittadini ad assicurarsi contro alluvioni e terremoti. L’idea di favorire la diffusione di polizze anticalamità non è nuova. La prima proposta risale al 1993 a firma del senatore della Dc Cesare Golfari. Poi il progetto è rispuntato nel 2005, sotto il governo Berlusconi, e nel 2012, con una norma comparsa nel decreto di riordino della Protezione civile varato da Monti e poi sparita nel corso dell’esame parlamentare. Negli ultimi due casi, però, l’ipotesi era quella di una copertura volontaria nell’ambito di un sistema misto pubblico-privato. Ben diverso, sembra, il dossier aperto a Palazzo Chigi. Come ha rivelato un paio di giorni fa il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, nell’ambito di «un grande piano nazionale» sul rischio idrogeologico il governo «sta valutando l’ipotesi di introdurre l’assicurazione obbligatoria per soggetti pubblici e privati contro le calamità naturali».

Il progetto c'è - Ieri fonti non ufficiali di Palazzo Chigi hanno preso le distanze dalle parole del sottosegretario. «Non stiamo valutando alcuna ipotesi di polizze obbligatorie perché siamo contrari a nuove tasse», hanno fatto trapelare alcuni collaboratori del premier Matteo Renzi. Ma il progetto continua a circolare con insistenza. Agli inizi di novembre la proposta era stata rilanciata con forza (inutile spiegare perché) dalle compagnie assicurative. «Su questo tema», ha detto il presidente dell’Ania, Aldo Minucci, «continuano a prevalere posizioni preconcette, che portano ad assimilare l’assicurazione catastrofale a una nuova tassa sulla casa». Ma «la polizza anticalamità», ha spiegato, «è un tema all’attenzione del governo e c’è un approfondimento in corso dei ministeri competenti». Attività confermata qualche giorno fa dal viceministro alle Infrastrutture, Riccardo Nencini, che ha parlato di un accordo tra Palazzo Chigi e le compagnie «per consentire ai proprietari di casa o ai titolari di negozi che abbiano un polizza legata a danni di natura ambientale di scaricare una parte del costo dalle tasse».

Polizza cara - Gran parte del progetto ruota intorno all’illusione che l’onere per i cittadini sia abbastanza contenuto. Secondo uno studio realizzato un paio di anni fa dall’Ania insieme al broker Guy Carpenter, l’introduzione dell’obbligatorietà avrebbe un costo medio per unità abitativa di circa 75 euro. In realtà, i prezzi attualmente offerti dal mercato sono ben diversi. Innanzitutto, ben poche compagnie offrono coperture di questo tipo. La maggior parte delle polizze sulla casa copre i danni provocati dagli agenti atmosferici, ma non dalle catastrofi naturali. Alcune compagnie estendono la protezione ai terremoti, pochissime alle alluvioni. Tra queste c’è Genertel, che con la polizza Quality Home offre una copertura per l’abitazione a 360 gradi. Abbiamo provato ad effettuare alcune simulazioni di polizze per un appartamento di 100 metri quadri con un massimale per i danni provocati da alluvioni, inondazioni o terremoto di 100mila euro e una responsabilità civile (abbinata obbligatoriamente) di 500mila euro in diverse località italiane. I premi, ovviamente, non sono uguali per tutti. Un po’ come accade con l’auto, più è alto il rischio di un sinistro più si paga. A fare la differenza, nel caso delle abitazioni, è sostanzialmente il fattore geografico. A Milano, ad esempio, si pagano 300 euro l’anno, a Roma 344, a Bologna 333 Firenze 362 (413 se si abita al piano terra). Il conto sale un po’ a Genova (403 euro, 475 per il piano terra), ad Alessandria (447, 519) e a Reggio Emilia (923 euro). E schizza letteralmente in zone a forte rischio come L’Aquila e Messina, dove la polizza costa rispettivamente 1.577 e 1.670 euro (1.721 per il piano terra). Con l’obbligatorietà i costi potrebbero calare un po’, con la beffa, però, che alcuni cittadini dovranno farsi carico in parte di quelli che abitano nelle zone meno sicure. E non è tutto. La tassa anticalamità sarebbe addirittura un doppione. Come ha spiegato Corrado Sforza Fogliani, «gli italiani già pagano ogni anno quasi 600 milioni, di cui più di 200 a carico dei proprietari urbani, ai consorzi di bonifica per essere difesi dalle calamità naturali». Come si può pensare, ha tuonato il presidente di Confedilizia, «di imporre ai cittadini di pagare due volte per la medesima ragione?».