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lunedì 10 novembre 2014

Finisce alle ortiche la storia d'amore di Rosalinda: "Io e Simona ci siamo lasciate". Volevano sposarsi ma...

Rosalinda Celentano, fine della storia con Simona Borioni




"Signora". Così, con un pizzico di cattiveria di troppo, Rosalinda Celentano dichiara pubblicamente chiusa la sua storia con la compagna Simona Borioni. "Incapace, attualmente, di amare ho deciso di lasciare libera sentimentalmente la signora Simona Borioni, augurandole di cuore tutto il bene del mondo". Sono queste le parole a cui Rosalinda Celentano affida il saluto alla compagna Simona, dopo una relazione prima di amicizia e poi di passione che però "da qualche giorno è definitivamente terminata". Le due (43 anni la Borioni e 45 la Celentano) erano legate dal 2010 e mesi fa avevano detto di essere intenzionate a sposarsi.

Il Papa rimuove il cardinale Burke: brutto colpo ai conservatori in Vaticano

Vaticano, Papa Francesco rimuove dalla Segnatura apostolica il cardinale conservatore americano Raymond Burke




l cardinale statunitense Raymond Burke è stato rimosso da Papa Francesco dalla guida del supremo tribunale della Segnatura apostolica, la corte suprema della Santa Sede. La sua rimozione era prevista. Burke è stato trasferito all'Ordine dei Cavalieri di Malta, come patrono. Burke è tra i massimi esponenti dell'ala conservatrice della chiesa cattolica, è infatti tra coloro che sostengono il divieto di dare la comunione ai divorziati risposati e che ha messo in dubbio la denuncia di Papa Francesco sugli eccessi del capitalismo, oltre che un fervente oppositore dell'aborto e dei matrimoni gay. Proprio in relazione ai contrasti tra cardinali progressista e conservatori al Sinodo, nei giorni scorsi era circolata la voce clamorosa di possibili, imminenti dimissioni del Pontefice in risposta alle pressioni sul Soglio provenienti da entrambi i fronti.

Contromossa sulla legge elettorale Ecco cosa dirà Silvio a Renzi

Legge elettorale, Silvio prepara lo sgambetto ad Alfano




Domenica sera, intervistata al Tg1, il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi ha gettato altra benzina sul fuoco della riforma elettorale. "Il cambiamento della legge elettorale non fa parte del patto che abbiamo stretto con Forza Italia. Per cui, per procedere ci rivolgeremo al parlamento...". Come a dire: il tempo stringe, noi vogliamo fare a modo nostro, se Forza Italia ci sta bene, altrimenti.... Certo, potrebbe essere tutto un bluff, perchè andare a cercare maggioranze in Parlamento su una legge di modifica costituzionale non è come andare a bere un caffè. Ma il messaggio è quello dell'ultimatum. La risposta di Forza Italia dovrebbe arrivare tra lunedì o martedì.

E le ultime news da Palazzo Grazioli rivelano un Silvio Berlusconi ben lungi dall'appiattito sulle posizioni del governo e del Pd in particolare. Anzi. In queste ore, come riporta il Corriere della Sera, il Cavaliere starebbe mettendo a punto una controproposta da girare a Renzi e compagnia che avrebbe il suo fulcro nell'innalzamento delle soglie di accesso per i piccoli partiti: "Siamo pronti a discutere delle modifiche alla legge elettorale in senato. A discutere anche del premio di maggioranza alla lista, a patto che le soglie di accesso per i piccoli partiti vengano alzate al 5% o anche oltre" avrebbe confidato Berlusconi ai suoi collaboratori nelle scorse ore.

La mossa che studiano ad Arcore, dunque, potrebbe essere quella di provare a spaccare la maggioranza. A dividere Renzi da Alfano, che faticherebbe ad accettare soglie troppo alte, obbligando al tempo stesso il presidente del Consiglio a scegliere tra Forza Italia e il Nuovo centrodestra come partner esclusivo per proseguire lungo il percorso delle riforme. Sempre che Renzi, invece, non miri già ad andare alle urne nei primi mesi del prossimo anno.

"Napolitano via a dicembre": ecco perché

Giorgio Napolitano "lascia a dicembre". Quirinale, la partita tra Renzi, Berlusconi e Grillo




Il presidente Giorgio Napolitano lascerà molto probabilmente a fine dicembre, magari con l'annuncio in diretta tv per il discorso della sera di Capodanno. Poi, per l'addio ufficiale, bisognerà attendere qualche settimana, magari febbraio, quando scatteranno i 15 giorni canonici per la convocazione delle Camere. Dopo le voci esplose sabato su Repubblica (a firma di Stefano Folli, storicamente vicino al Colle) e sul Fatto quotidiano, arriva la conferma quasi "istituzionale" del quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda, che lancia anche un'ipotesi sui tempi. 

Fine del secondo settennato - E su Repubblica un amico personale di Re Giorgio, Emanuele Macaluso, aggiunge: "La questione è chiusa, Napolitano ha detto sempre che avrebbe chiuso non concludendo il suo settennato ma avviando un percorso politico nuovo. Percorso impostato". D'altronde, che Napolitano volesse lasciare a inizio 2015 era cosa nota. Era stato lo stesso presidente della Repubblica a lanciare segnali da qualche mese e come ha sottolineato Macaluso il suo secondo settennato (irrituale) era già nato come mandato a termine. "Non ce la faccio più", sarebbe la confidenza fatta da Napolitano ai collaboratori più vicini, magari anche per pressione della moglie Clio cui il capo dello Stato quasi 90enne nel 2013 aveva promesso di ritirarsi a vita privata. Il problema, ora, è la reazione dei principali attori politici. Perché a qualcuno l'uscita di scena del Grande Garante converrebbe, a qualcun'altro no. Ma a seconda di come si metteranno le cose, la situazione potrebbe ribaltarsi.

Tra Italicum e nuovo presidente - "Un ricatto", l'ha definito Beppe Grillo. Matteo Renzi e il Pd "Napolitano è una garanzia", mentre Giovanni Toti per Forza Italia il suo addio sarebbe "prematuro". Renato Brunetta aggiunge un particolare significativo: l'addio del presidente sarebbe la fine anticipata della legislatura. E qui si gioca tutto, perché le trattative sull'Italicum tra Renzi e Berlusconi si lega la questione dell'erede di Napolitano e l'eterno dubbio sul doppio forno del premier: mollare Berlusconi e allearsi con Grillo, anche in vista di una possibile candidatura condivisa per il Colle? Da più parti si sottolinea come la volontà di Napolitano, al di là delle dimissioni, sia quella di non sciogliere le camere ma è logico che una volta trovato un nome comune per il Quirinale, Renzi e Grillo potrebbero non opporsi e anzi favorire il ritorno alle urne. Altro punto importante: sicuramente Napolitano non lascerà prima che sulla nuova legge elettorale non sia stato trovato un accordo definitivo, possibilmente già con il voto di approvazione al Senato. E visto che i tempi di Re Giorgio non saranno infiniti, anche questo è un pungolo piuttosto scomodo per Berlusconi, pressato non solo dalla fretta di Renzi, ma anche dalla scelta del Capo dello Stato.

Marino torna a Roma, figuraccia capitale Inaugurare la Metro C, ma il treno...

Roma, la Metro C debutta: subito ferma per un guasto. Che figuraccia per Ignazio Marino




Che figuraccia per Ignazio Marino. La metro C da 6 miliardi di euro tanto attesa (era in programma da 20 anni) debutta con un flop: il primo convoglio, partito alle 5.30 da Centocelle, si è fermato per un guasto tecnico a quattro fermate del capolinea Pantano/Montecompatri (zona dei Castelli romani), con una sosta non prevista di 11 minuti alla stazione Due Leoni-Fontana Candida. Secondo i testimoni oculari i passeggeri (più giornalisti e addetti ai lavori che cittadini) sono stati fatti scendere dai vagoni e fatti salire sul treno successivo (frequenza di 12 minuti), mentre secondo Atac "non c'è stata alcuna interruzione nella corsa del primo treno partito, che si è fermato solo alcuni minuti per consentire la soluzione di un problema tecnico proprio per evitare limitazioni e completare la corsa. I passeggeri hanno raggiunto il capolinea senza bisogno di cambiare treno".

Weekend di gaffe - Al di là del giallo molto capitolino, resta la figura barbina del sindaco. Nei giorni dell'alluvione era a Milano (per un vertice con il premier Renzi, a cui si è aggiunto un pasto a sushi), quindi è tornato a Roma sia per controbattere alle accuse di 8 multe non pagate in centro storico con toni complottistici alla Watergate ("I dati della mia Panda sono stati manomessi") sia per inaugurare in pompa magna un'opera pubblica su cui ha messo il cappello senza avere effettive responsabilità. La beffa (o giustizia divina, secondo i suoi critici) era però dietro l'angolo.

Renzi dà il via libera ai sindaci: alzeranno le tasse quanto vorranno

Local Tax, il governo Renzi toglie il tetto alle aliquote: i Comuni ci potranno massacrare di tasse

di Fausto Carioti 



Con l’annuncio della «local tax», la tassa unica comunale sugli immobili che ha promesso per il 2015, il governo di Matteo Renzi ha compiuto un doppio capolavoro di illusionismo. Primo. È stato rivenduto agli elettori come taglio della spesa pubblica centrale quello che si rivelerà un aumento della pressione fiscale locale. Secondo. Dietro un’apparente operazione di moralizzazione, rivestita dal nobile principio per cui i sindaci saranno - finalmente - i soli responsabili delle tasse cittadine, c’è una verità che di etico e responsabilizzante non ha proprio nulla: la piena libertà per gli amministratori comunali di fissare le aliquote che preferiscono. Senza che lo Stato ponga alcun limite. Della local tax si sa che, come ha detto Renzi, entrerà in vigore il prossimo anno e a partire dal 2016 dovrebbe arrivare nelle nostre case precompilata. Si sa anche che accorperà tributi locali attualmente esistenti, e dunque rappresenterà una meritoria opera di semplificazione. 

L’ufficio studi della Cgia di Mestre ha fatto il conto: se dovesse sostituire Imu e Tasi (valore 18,8 miliardi di euro), la tassa sull’asporto rifiuti (Tari, valore 7,3 miliardi), l’addizionale Irpef (4,3 miliardi), l’imposta sulla pubblicità (426 milioni), la tassa sull’occupazione di spazi e aree pubbliche (218 milioni), l’imposta di soggiorno (105 milioni) e quella di scopo (14 milioni), questa maxi gabella unica avrebbe un peso di oltre 31 miliardi. Non tutti questi prelievi, però, confluiranno nella nuova tassa: la Tari, ad esempio, essendo basata sui metri quadrati e i componenti familiari anziché sulle rendite catastali, con ogni probabilità resterà fuori.

Oggi una famiglia con reddito da lavoro di 22.000 euro per coniuge e un figlio a carico, in una casa accatastata come A2 (abitazione di tipo civile), di dimensioni medie, nel capoluogo di regione più caro, Bologna, paga 867 euro di Tasi, 308 euro di addizionale comunale Irpef e 435 euro di Tari, per un totale di 1.610 euro. A Milano le stesse voci, sommate, arrivano a 1.379 euro, a Roma a 1.294, a Napoli a 1.289. Ma la local tax non si limiterà ad accorpare queste imposte: sarà qualcosa di nuovo e di diverso. «Una grandissima rivoluzione», promette Graziano Delrio, sottosegretario alla presidenza del Consiglio.

La novità è infiocchettata da belle parole come «autonomia» e «federalismo». All’assemblea dell’Anci che si lamentava per i tagli ai trasferimenti decisi dal governo, Renzi ha illustrato la sua ricetta: «Noi vi diamo degli obiettivi e voi fate come vi pare, è evidente che poi ne risponderete di fronte ai cittadini». Pochi giorni prima aveva annunciato agli industriali bresciani l’arrivo di «un’unica tassa che faccia funzionare i servizi e sia affidata al sindaco, senza che lo Stato ci metta bocca. Federalismo è dare al sindaco la possibilità di decidere». 

Concetti ribaditi venerdì da Delrio: «La cosa importante», ha detto ai sindaci, è che ci sia «autonomia fiscale dei Comuni completa». Cosa che oggi non avviene, perché le città hanno pezzi di Irpef e lo Stato ha un pezzo dell’Imu. Il governo, ha spiegato il sottosegretario, vuole invece restituire la categoria D dell’Imu ai Comuni e l’Irpef allo Stato, così «ognuno saprà a chi dare la colpa se le tasse sono troppo alte». I tempi per varare la local tax, ha avvisato, saranno gli stessi della legge di stabilità: poche settimane, in teoria. 

La bellezza della mossa di Renzi è tutta qui: il governo, semplicemente, si limita a strizzare l’occhio ai sindaci e a togliere loro il guinzaglio, rendendoli liberi di tassare le case come vogliono («autonomia fiscale completa» questo vuol dire). Oggi, invece, un freno alla voracità degli amministratori locali è previsto, sebbene ancora per poco. La legge di stabilità votata lo scorso anno prevede infatti per la Tasi che grava sull’abitazione principale un limite pari al 2,5 per mille, che può salire di un altro 0,8 a patto che sia compensato da detrazioni. Questo tetto è comunque valido solo per il 2014; dal 2015 l’aliquota Tasi sull’abitazione principale potrebbe salire fino al 6 per mille. Non solo, dunque, il governo Renzi non intende rimettere il «calmiere» alla Tasi, ma promette di assorbirla in una nuova imposta gestita dai Comuni in totale libertà.

Si spiega così, con la promessa di una tassa «no-limits», il rinnovato clima d’intesa tra sindaci e governo. Piero Fassino, presidente dell’Anci, ieri ha detto di ritenere «positive» le risposte date del premier, perché sul tema della local tax e dell’autonomia degli enti locali «corrispondono a quello che chiediamo». Chi non ha alcun motivo per dirsi soddisfatto è il contribuente, vittima immolata sull’altare dell’accordo. Quanto alla possibilità di sapere «di chi è la colpa se le tasse sono troppo altre», che bontà sua Delrio concede ai soliti spennati, sai che soddisfazione. Perché un’idea chiara su chi siano i colpevoli ormai l’hanno tutti. Perché la possibilità di vendicarsi nelle urne ha senso solo se il sindaco è al primo mandato e si ricandida per il secondo, e comunque nulla ti garantisce che l’alternativa non sia peggiore. E poi perché il ragionamento per cui gli elettori sono liberi di reagire a certe vessazioni fiscali «votando con i piedi», cioè spostandosi in un Comune meno esoso, funziona solo nelle favole. Trasferirsi ha un costo (pure dal punto di vista fiscale) e la casa schiacciata da imposte troppo alte, inevitabilmente, perde valore di mercato.

domenica 9 novembre 2014

"Salvini provocatore, se l'è cercata" La sinistra sta coi picchiatori

Lega Nord, Matteo Salvini aggredito nel campo rom. Il Pd: "Se l'è cercata, è un provocatore"




"Salvini se l'è cercata", "ora basta con le provocazioni leghiste". Sono due commenti a caso tra le decine di rappresentanti della sinistra e del governo, tra Pd e Ncd, sull'aggressione subita dal segretario della Lega Nord Matteo Salvini a Bologna. Un tranquillo sabato di terrore al campo rom dove il leader del Carroccio si era recato in visita "contestata" dall'ultra-sinistra cittadina. E infatti ecco, puntuale, la guerriglia fisica contro Salvini, la cui auto è stata assalita da alcuni esponenti dei centri sociali, tra insulti e sassi lanciati contro il parabrezza, sfondato. Immediata la polemica leghista con il ministro degli Interni Angelino Alfano, che non avrebbe saputo gestire una situazione "a rischio" ben nota a tutte le autorità. Il capogruppo del Carroccio al Senato Centinaio ha chiesto le dimissioni dello stesso Alfano.

La stampa di sinistra - "Bastardi", è stata la reazione su Facebook del leghista. Eppure, per la sinistra, il colpevole e il violento, il "provocatore", è proprio lui, Salvini. Che non avrebbe dovuto fare quello che ogni politico in realtà dovrebbe fare, e cioè visitare luoghi sensibili, come appunto un campo rom. "Salvini provoca, ma viene respinto a sassate", titolava il sito HuffingtonPost diretto da Lucia Annunziata, con linguaggio a metà strada tra la lotta partigiana (decisamente fuori tema) e barricate stile Lotta Continua. E anche altri siti ufficialmente "meno schierati" puntavano il dito contro Salvini che avrebbe cercato di "investire" i suoi aggressori, semplicemente perché ha tentato di procedere con la sua auto oltre il cordone di esagitati che gli erano saliti sul cofano.