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giovedì 2 ottobre 2014

Pier Luigi Bersani a Matteo Renzi: "Nel voto finale sul jobs act sarò leale. Ma diritto di promuovere emendamenti"

Pier Luigi Bersani a Matteo Renzi: "Nel voto finale sul jobs act sarò leale. Ma diritto di promuovere emendamenti"




Pier Luigi Bersani si piega. L'ex segretario del Pd prova a tendere una mano a Matteo Renzi sulla Riforma del Lavoro. Parlando alla Camera dei deputati coi giornalisti, spiega di "aspettarsi che il governo presenti l'emendamento e che poi a seconda del testo ci sia la possibilità di presentare sub-emendamenti", possibilità esclusa dall'apposizione della fiducia. "Nei gruppi parlamentari - afferma Bersani - ci deve essere tutto il diritto a promuovere idee e quindi sub-emendamenti". Quanto alle divisioni in direzione, aggiunge, "bisogna tener conto che la minoranza non è un'organizzazione, sono sensibilità, opinioni. Sia chi ha votato contro, che chi si è astenuto, tutti abbiamo pensato che era un passo avanti, ma non sufficiente".

La mossa - Bersani comunque voterà seguendo la linea di partito, quando sarà il momento del pronunciamento finale sul jobs act, al Tg3 l'ex segretario democratico spiega: "Io personalmente all'ultima votazione è ovvio che faccio quello che dice il Pd, non me lo spieghi gente che ha fatto diverso da questo. Però da qui a lì vorrei dire la mia...". "Tfr? Cauti, si mangiano risorse del domani". 

Nodo Tfr - "I soldi del Tfr - dice l'ex segretario Pd - sono soldi dei lavoratori, non del governo. Se si vuole fare qualcosa con i soldi dei lavoratori, bisognerà che si parli con i lavoratori perché non sono soldi del governo né delle imprese". Bersani aggiunge: "Andiamoci molto cauti, quando ci si mangia oggi le risorse di domani".

Il Tfr nella nostra busta paga Ecco vantaggi e fregature

Tfr in busta paga: rischio boomerang

di Antonio Castro 


La liquidazione in busta paga? La trovata di Matteo Renzi (riproposta domenica a “Che tempo che fa” dopo essere stata smentita dal Tesoro dopo lo scoop del Sole 24 Ore), per infilare qualche soldino in più in busta paga rischia di diventare un boomerang micidiale: per lo Stato, per le imprese, per gli stessi lavoratori di oggi (pensionati di domani). L’uovo di Colombo dei renziani (dopo gli 80 euro di bonus per chi guadagna meno di 26mila euro lordi l’anno), ha delle controindicazioni immediate e a lungo periodo. Pier Carlo padoan, parlando ieri della Nota di aggiornamento al Def, ha ammesso solo che «è un argomento in dicussione». Ma nulla di più.

Cicale e formiche - Eppure Renzi vorrebbe - anticipando il 50% del Trattamento di fine rapporto (per gli statali Tfs, Trattamento di fine servizio) - aumentare già da gennaio i salari disponibili. Intento meritorio anche per rilanciare i consumi e iniettare circa 12 miliardi nell’economia nazionale. Secondo i calcoli degli economisti de lavoce.info (che già nel 2011 bocciarono l’idea di Tremonti), ogni anno i lavoratori italiani accumulano 26,9 miliardi in salario differito. Sostanzialmente la vecchia liquidazione non è altro che una fetta della retribuzione accumulata dalle imprese (o dallo Stato), che viene messa da parte. Anticipare in busta paga mensilmente la metà porterebbe circa il 4% in più (lordo) alla retribuzione mensile. In soldoni (stipendio di 1.500 euro lordi) si tratta di un aggiunta di 55 euro al mese. Ma Renzi, ottimista, parla di 100 euro in più da aggiungere agli 80 del bonus. Magari per i redditi oltre i 3mila lordo. Tralasciando i rischi di vedere lievitare anche le tasse (più reddito, più imposte: se si è vicini a 26mila euro lordi il bonus scomparirà?), c’è da attendere e capire come verrà attuato il proposito. E poi oggi il Tfr è tassato in maniera agevolata (in media dal 23 al 28%). Ma se concorrerà al reddito, il 50% anticipato pagherà l’aliquota di fascia? Mistero.

La pensione evapora - Governi, esperti di previdenza, analisti attuariali da decenni ci martellano: “pensa oggi al tuo futuro”. In sostanza: la pensione accumulata (primo pilastro) - con il contributivo - non basterà a garantire lo stesso reddito. Il generoso sistema retributivo garantiva una maggiorazione del 30% rispetto a capitale e rendimenti accumulati. Ma a coprire la differenza ci pensava lo Stato. Dalla riforma Dini (1995), ai lavoratori è stato applicato il meno generoso sistema contributivo: che si basa sugli effettivi versamenti, sugli interessi e su un micragnoso tasso di rivalutazione (ridotto con la riforma Fornero), agganciato alle aspettative di vita. Da questa decurtazione della pensione futura deriva la campagna che invita a costruirsi un secondo pilastro: la previdenza integrativa o complementare, appunto. E per rendere più appetibile questo salvadanaio pensionistico si è concesso una tassazione di favore (all’11%, ma può scendere dello 0,30% l’anno per ogni 12 mesi di adesione fino ad un minimo del 9%). In sintesi: il lavoratore accumula in un fondo (di categoria o privato, bancario, assicurativo), mensilmente una parte dello stipendio (a 1 euro al 12% della retribuzione). Per il sacrificio il fisco gli riconosce una deducibilità dal reddito fino a 5.164,57 euro. Insomma, questi soldi se vengono accumulati (corrispondono ai vecchi 10 milioni di lire), non concorrono ad alzare il reddito e quindi non ci si pagano le tasse. A spanne destinando ad un fondo i 5.164 euro si risparmiano circa 1.800 euro l’anno di imposte.

Peccato che gli italiani (complice anche una classe politica timorosa della rivolta sociale), per decenni non abbiano avuto consapevolezza di quanto prenderanno di pensione. La famosa “busta arancione” (la scheda personale su versamenti, rendimenti e potenziale assegno una volta a riposo), sempre annunciata, non è mai stata recapitata ad alcuno. Meglio oggi non far sapere che avremo trattamenti intorno al 50-55% degli attuali salari.

Morale: solo il 25% degli italiani hanno sottoscritto piani di accumulo, fondi integrativi o similari. Ma versano/versiamo troppo poco per sperare di ottenere un assegno dignitoso. Di più: secondo sempre l’Autorità di vigilanza sui fondi integrativi nel 2013 le posizioni (e quindi i lavoratori), che hanno sospeso i versamenti sono aumentate (nel 2013 circa 1,4 milioni di posizioni individuali non sono state alimentate; oltre 1 milione quelle sospese). Così come sono cresciuti esponenzialmente i riscatti anticipati (si può chiedere fino al 30% del capitale accumulato per spese varie e fino al 70% per l’acquisto della prima casa).

Un buco per l'Inps - Dei famosi 25 miliardi di Tfr accumulati annualmente, circa 6 finiscono all’Inps in un fondo apposito. Se dovesse passare - per come è stata anticipata da Renzi - la proposta di dimezzare i versamenti, l’Istituto di previdenza (già malmesso) avrebbe un ammanco di 3 miliardi l’anno. Buco da coprire, ovviamente con la “fiscalità generale” (tradotto: più tasse per tutti).

Imprese in bolletta - Se i lavoratori hanno (avranno) tanti rischi, e l’Inps vedrà allargarsi il buco, non se la passeranno meglio le piccole e medie imprese. Verrebbe a mancare una fonte importante (alcuni miliardi) di finanziamento. Il quasi 7% della retribuzione differita (che gode di una rendita annuale garantita), è stata sempre utilizzata come “piccola cassa” per fare investimenti, pagare tasse e saldare fornitori. Soldi che si accumulano in bilancio, ma sono parte effettiva della liquidità d’azienda. L’idea del responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, è di supplire a questa mancanza di liquidità attivandosi con la Banca centrale europea (tramite l’Abi). È vero che grandi aziende (come Volkswagen Bank che ha potuto richiesto un miliardo di prestito al tasso dell’1%), hanno attivato linee di credito dirette con Francoforte. Ma alzi la mano chi crede che possano riuscirci anche le nostre Pmi...

Il libro-scandalo di Socci sul Papa: "Vi racconto la verità sul conclave"

"Non è Francesco": Il libro di Socci sul Papa che agita il Vaticano

di Antonio Socci 


«A Joseph Ratzinger, un gigante di speranza». Inizia con questa dichiarazione di appartenenza e di fede il libro dell’intellettuale cattolico e collaboratore di Libero Antonio Socci “Non è Francesco”, edito da Mondadori e in libreria dal 3 ottobre. Dedicato anche «ai cristiani perseguitati in Iraq», il volume ha fatto discutere prima ancora di arrivare sugli scaffali. Niente che Socci non volesse. Lo scopo, scrive lui stesso, è indagare su domande «così destabilizzanti e “proibite” dal mainstream che tutti evitano di dirle in pubblico». Non sono parole esagerate. «Quali sono», chiede infatti Socci, «i motivi tuttora sconosciuti della storica rinuncia al Papato di Benedetto XVI? Qualcuno lo ha indotto a ritirarsi? Ma soprattutto: è stata una vera rinuncia? Perché non è tornato cardinale, ma è rimasto “Papa emerito”?». Socci affronta pure un’altra questione dirompente: se durante il Conclave che elesse Bergoglio siano state violate - come a lui pare - le norme della Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis. La giornalista argentina Elisabetta Piqué ha infatti svelato che Bergoglio fu eletto nella quinta votazione del 13 marzo (la sesta in totale), con una serie di procedure che avrebbero trasgredito quanto previsto dalla Costituzione apostolica, rendendo così «nulla e invalida l’elezione stessa». Questioni gravi, che meritano chiarimenti approfonditi. Qui i lettori di Libero troveranno ampi stralci tratti dalla premessa del libro, laddove Socci racconta la propria delusione per un papa, Francesco, che pure aveva accolto «a braccia spalancate, come era giusto fare ritenendolo il Papa legittimamente eletto». (F.C.)

Ammetto di essere uno dei tanti che hanno accolto Bergoglio - il 13 marzo 2013 - a braccia spalancate, come era giusto fare ritenendolo il Papa legittimamente eletto. E anche per una serie di amicizie comuni (a me molto care), che mi avevano indotto a nutrire benevole speranze nel nuovo Pontefice. Gli comunicai perfino (e convintamente) che - fra tanti altri - poteva contare pure sulla preghiera mia e della mia famiglia, e sull’offerta delle nostre croci per il compimento della sua alta missione.

Mi piaceva quel suo stile dimesso. I giornali lo rappresentavano come il vescovo che girava per Buenos Aires con i mezzi pubblici, che abitava in un modesto appartamento anziché nel palazzo vescovile, che frequentava i miseri quartieri delle periferie come un padre buono, desideroso di portare ai più infelici la carezza del Nazareno. 

Tutto questo poteva essere una formidabile ventata di aria fresca per il Vaticano e per l’intera Chiesa. Ho sostenuto papa Francesco come potevo, per mesi, da giornalista, sulla stampa. Mi sembrava un apostolo del confessionale, devoto della Madonna. L’ho difeso dalle critiche affrettate di alcuni tradizionalisti e continuo a trovare ancora oggi assurde le polemiche di coloro che prendono a pretesto le dichiarazioni di papa Francesco per attaccare in realtà il Concilio Vaticano II, Joseph Ratzinger e Giovanni Paolo II, (...) che nessuna responsabilità hanno nelle scelte di Bergoglio. Da questo punto di vista sono ben contento di essere fra coloro che Roberto De Mattei considera «i difensori più accaniti del Vaticano II». 

Sono infatti convinto, con Benedetto XVI (con Giovanni Paolo II e con Paolo VI), che il Concilio è un evento molto prezioso. Ma il vero Concilio, quello che sta nei documenti e fa parte del magistero della Chiesa. Ben altra cosa (opposta) è quello «virtuale» costruito dai mass media, quello che per esempio si trova teorizzato dalla storiografia progressista. (...)

Sostenere oggi che le dichiarazioni di Bergoglio a Scalfari (per fare un esempio) in fin dei conti sono in continuità con Benedetto XVI, con Giovanni Paolo II e con Paolo VI, ovvero che Bergoglio «incarna l’essenza del Vaticano II» (De Mattei), è assurdo. (…). Purtroppo, oggi io sono uno dei tantissimi delusi (un sentimento che dilaga sempre più tra i cattolici, seppure non raccontato dai giornali). (…).

Diversi cardinali avevano votato Bergoglio con la speranza che egli continuasse l’opera di rinnovamento e purificazione intrapresa da Benedetto XVI, che irrompesse nella Curia vaticana e (metaforicamente) la rovesciasse come un calzino, quasi col fuoco di Giovanni Battista. Invece bisogna amaramente riconoscere che poco o nulla è stato fatto (solo qualche rimozione, in certi casi anche ingiusta).

Va bene andare a vivere nel residence di «Santa Marta», può essere anch’esso un segnale positivo, anche se non è proprio una povera cella monastica. Io, in un mio libro avevo addirittura sognato un Papa che andava a vivere in una parrocchia di borgata. In ogni caso apprezzo il messaggio.
Ma poi il problema è il governo di quella cosa complessa che è il Vaticano e - per esempio - dello Ior, che qualcuno ha pure prospettato di chiudere, non essendo chiara la sua utilità per la Chiesa, ma che Bergoglio non ha chiuso affatto. Al contrario, dicono gli osservatori più informati, Bergoglio ha moltiplicato commissioni, burocrazie e spese. (…)

Ci si aspettava una ventata di rigore morale nei confronti della «sporcizia» (anche del ceto ecclesiastico) denunciata e combattuta dal grande Joseph Ratzinger. Ma come dobbiamo interpretare il segnale dato al mondo di lassismo e di resa nei confronti dei nuovi costumi sessuali della società e dello sfascio dei principi morali e delle famiglie?

Come interpretare il rifiuto di papa Bergoglio di opporsi alle questioni etiche, come hanno fatto eroicamente i suoi predecessori, o anche solo di «giudicarle», cioè di contrastare culturalmente quella rivoluzione dei rapporti affettivi che distrugge ogni serio legame e ha lasciato tutti più soli e infelici, schiavi dell’istinto? San Paolo affermava «l’uomo spirituale giudica ogni cosa» (1Cor 2,15) e non «chi sono io per giudicare?». E perché non opporsi a quella cultura della morte che non riconosce più nessuna sacralità all’essere umano o a quell’ondata di anticristianesimo e antiumanesimo che, sotto diverse bandiere, pervade ormai il mondo? (...).

C’erano da confutare coloro che, nella Chiesa, buttano alle ortiche la retta dottrina cattolica e che - pure da cattedre potenti - demoliscono il cuore della fede, invece si sono visti «bastonare» i buoni cattolici, quelli ortodossi che vivevano veramente la povertà, la castità, la preghiera e la carità.
Anzi, papa Bergoglio si scaglia proprio su chi usa «un linguaggio completamente ortodosso» perché così non corrisponderebbe al Vangelo (Evangelii Gaudium n. 41). Cosa mai vista e mai sentita in tutta la storia della Chiesa.

Per non dire di quando lo stesso Bergoglio si avventura nelle sue sconcertanti affermazioni, tipo «se uno non pecca non è uomo», una tesi sorprendente che nemmeno si avvede così di negare di fatto l’umanità di Gesù e Maria, i quali furono esenti dal peccato e proprio per questo sono il modello ideale supremo dell’uomo e della donna. 

O quando ha attribuito erroneamente a san Paolo la frase «mi vanto dei miei peccati» (Omelia di Santa Marta del 4 settembre 2014), un’enormità su cui il sito vaticano www.news.va ha ritenuto addirittura di fare il titolo «Perché vantarsi dei peccati». Evidentemente in Vaticano, e in particolare a Santa Marta, non si conosce quanto afferma san Tommaso d’Aquino: «È peccato mortale quando uno si vanta di cose che offendono la gloria di Dio».

Si sperava davvero che si soccorressero le vittime più indifese e inermi nelle periferie più sperdute del mondo, invece - lo ricordo con dolore - papa Bergoglio ha ostinatamente evitato di alzare la sua voce, nell’estate 2014, in soccorso dei cristiani massacrati nel Califfato islamico del Nord Iraq, limitandosi a poche dichiarazioni, senza mai pronunciare una vibrata invettiva (come quelle che ha fatto su argomenti politically correct) o un vigoroso appello alla comunità internazionale perché intervenisse a disarmare i carnefici e difendere gli inermi massacrati.

Mai si è rivolto verso un mondo islamico che in genere umilia ogni minoranza, mai una sferzata contro il terrorismo islamista, mai ha chiesto esplicitamente quell’«ingerenza umanitaria» (concepita specialmente da Giovanni Paolo II) che disarmasse, anche con la forza, i carnefici e impedisse massacri come pure imploravano i vescovi dell’Iraq. 

I quali patriarchi hanno gridato a gran voce che le proprie comunità venissero difese, con la forza, dal massacro incombente e hanno mosso una critica esplicita alla reticenza del Papa chiedendogli «un uso più audace della propria influenza per la causa dei cristiani iracheni». Ma Bergoglio è stato cauto e reticente, barcamenandosi senza esporsi. Siamo sicuri che di fronte alla tragedia dei cristiani (e delle altre minoranze) in Iraq non potesse assumere un atteggiamento più deciso come quello dei suoi predecessori o come il suo su altri temi? (…).

Non si è vista nemmeno un’opera di vera sensibilizzazione della Chiesa intera, che mobilitasse la preghiera di tutti, che sollecitasse veglie, novene, digiuni (sono queste le armi dei cristiani) e un grande aiuto umanitario. Che controindicazioni c’erano su questo? Non se ne vedono davvero.

C’era bisogno di dare conforto e aiuto concreto ai tanti cristiani perseguitati, umiliati, incarcerati, massacrati, ma papa Bergoglio invece ha continuato a confidare in un dialogo senza condizioni e senza precauzioni, esponendosi a dolorosi incidenti come quello dell’8 giugno 2014, quando ha chiamato a pregare in Vaticano, fra gli altri, un imam che, lì sul suolo bagnato dal sangue di tanti martiri cristiani, infischiandosene dei discorsi concordati, ha invocato Allah perché aiuti i musulmani a schiacciare gli infedeli («dacci la vittoria sui miscredenti»). (...).

C’era bisogno di dire almeno una parola in difesa di giovani madri - come Meriam o Asia Bibi - condannate a morte nei regimi islamici per la loro fede cristiana o almeno si poteva chiedere di pregare per loro, ma papa Francesco non lo ha mai fatto, non ha nemmeno risposto all’appello mandatogli da Asia Bibi, mentre ha scritto personalmente un lungo messaggio di auguri agli islamici che digiunano per il Ramadan auspicando che esso porti loro «abbondanti frutti spirituali». (...).

Si è venuti a scoprire peraltro che al tempo del discorso di Ratisbona di Benedetto XVI (quello che è passato alla storia per aver fatto infuriare i musulmani), il portavoce dell’allora cardinale Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, criticò pubblicamente papa Ratzinger. Newsweek pubblicò le sue parole sotto il titolo «L’Arcidiocesi di Buenos Aires contro Benedetto XVI».

Il portavoce dopo qualche tempo fu sollevato dall'incarico, ma molti si sono chiesti se e quando vi sia stata una sconfessione pubblica da parte del vescovo Bergoglio e un suo appoggio aperto al discorso pronunciato da Ratzinger a Ratisbona. (...). Alla luce di questi fatti si spiega l’atteggiamento attuale di papa Francesco nei confronti dell’Islam e degli islamisti del Califfato iracheno (carnefici di cristiani e di altre minoranze).

Bergoglio, sempre così critico con i cattolici, non si contrappone mai nemmeno alle lobby laiciste sui temi della vita, del gender, dei principi non negoziabili che papa Benedetto individuò come pilastri della «dittatura del relativismo». (...). C’era (e c’è) bisogno di far accendere una luce per una generazione che è stata gettata nelle tenebre del nichilismo, che non sa più nemmeno distinguere il Bene dal Male perché le hanno insegnato che non esistono e che ognuno può fare quello che gli pare. Purtroppo papa Bergoglio rischia di assecondare proprio questa tragica deriva dicendo anch’egli che «ciascuno ha una sua idea di bene e di male» e «noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il bene».

C’era e c’è bisogno di annunciare Cristo, nostra speranza e vera felicità della vita, a una generazione che non sa nemmeno più chi è Gesù e non sa che farsene della propria giovinezza e dell'esistenza. E rischia di essere fuorviante sentir dire da papa Bergoglio che «il proselitismo è una solenne sciocchezza» e che lui non ha «nessuna intenzione» di convertire i suoi interlocutori. Certo, ha ragione quando ricorda che il cristianesimo si comunica «per attrazione», ma l’ardore missionario ci è stato testimoniato dai santi e «fare proselitismo» è il comandamento di Gesù ai suoi apostoli: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20). 

Non si può dimenticare questo precetto evangelico, che indica il vero, grande compito della vita, per avere il plauso dei ricchi e potenti salotti snob e anticattolici della Repubblica. Dove tutti ora esultano ritenendo di avere finalmente un Papa «scalfariano». C’è un gran bisogno di portare la carezza del Nazareno a chi è solo, malato, sofferente o disperato ed è molto doloroso veder «saltare» all’ultimo momento la visita del Papa all’ospedale Gemelli con i malati in attesa sotto il sole (loro, le cui piaghe sono le piaghe di Cristo), mentre si trovano facilmente ore da dedicare a Scalfari, o si trova il tempo per telefonare a Marco Pannella o a Maradona e andare di persona a Caserta solo per incontrare l’amico pastore protestante. (…)

Bergoglio - secondo i suoi fan più sfegatati - sarebbe un rivoluzionario che intende sovvertire la Chiesa cattolica, eliminando i dogmi della fede e buttando alle ortiche secoli di magistero. Cosa significherebbe e cosa comporterebbe tutto questo? Se fosse vero la Chiesa sarebbe alla vigilia di una drammatica esplosione. È così? Vorrà scongiurarlo, padre Bergoglio? Vorrà tornare sulla strada dove un giorno, da giovane (lo ha raccontato una volta e mi ha commosso), incontrò gli occhi di Gesù? Vorrà ricercare quel suo sguardo e in Lui ritrovare tutti noi?

mercoledì 1 ottobre 2014

DE MAGISTRIS AL CAPOLINEA Il prefetto lo mette alla porta Sospeso da sindaco di Napoli

Napoli, il prefetto sospende dalla carica di sindaco Luigi De Magistris




Dopo una settimana di polemiche sta per arrivare la decisione del prefetto: Luigi De Magistris sarà sospeso dalla carica di sindaco di Napoli. Il destino dell'ex magistrato è nelle mani del prefetto della città, Francesco Antonio Musolino. Luigi De Magistris dovrà lasciare palazzo San Giacomo.  Musolino ha ricevuto da poco, in via ufficiale, gli atti relativi alla sentenza che condanna a un anno e tre mesi per abuso d’ufficio Luigi de Magistris. Il sindaco coinvolto nello scandalo da giorni ribadiva che non aveva intenzione di dimettersi dalla carica. E di recente aveva anche ricevuto il sostegno del “popolo arancione” di Napoli. 

"Mi ricandido" - Il caso de Magistris approda anche alla Camera. Il governo, nel corso del question time, risponderà a un’interrogazione sulle iniziative per la sospensione dalla carica di sindaco di Napoli di Luigi De Magistris e gli intendimenti per la possibilità di differire l’elezione del consiglio metropolitano. E sul caso De Magistris è stato chiaro anche il ministro degli Interni, Angelino Alfano: "Oggi il prefetto procederà agli adempimenti previsti dalla legge" e cioè alla sospensione da sindaco condannato. Intanto l'ex pm prepara la contromossa e reagisce così: "Dai mali si può ripartire e ci si può rigenerare: se verrò sospeso farò il Sindaco di strada e sarò così più vicino ai cittadini. Penso che mi ricandiderò, farò la campagna elettorale contro tutti, anche contro Cecchi Paone”. Infine De Magistris ha già un piano "b" qualora non dovesse tornare a palazzo San Giacomo: "Se non farò più il sindaco, farò il giocatore di basket". La battuta è arrivata, durante la presentazione della squadra di basket Ginova, in sala giunta a palazzo San Giacomo. "Sarà certamente più piacevole". 

D'ALEMA DICE ADDIO AL PD? La voce su Baffino: "Farà un partito" Ecco quanto prenderebbe...

L'indiscrezione sul Pd: "D'Alema pronto a fondare un nuovo partito"




Dopo la resa dei conti nella direzione Pd sulla riforma del lavoro, al Nazareno la minoranza si prepara per ribaltare il tavolo cercando strade alternative al renzismo. L'attacco di Massimo D'Alema e Pier Luigi Bersani al premier ha lasciato una coda di polemiche. Il partito di fatto è spaccato e la guerra sulla riforma del Lavoro e dell'articolo 18 agita ancora le acque del Pd. Cuperlo, Baffino e Bersani fanno blocco contro i renziani e in Parlamento preparano l'imboscata. Ma gli sgambetti a quanto pare non saranno solo in Aula, i ribelli dem starebbero portando avanti anche un piano che prevede la scissione. In pubblico D'Alema e Bersani negano questa ipotesi, ma di fatto come più volte ha ricordato Pippo Civati "se Renzi non cede sulla riforma del lavoro non è possibile scartare alcune soluzioni...". 

Un partito per Baffino - La mossa a sorpresa, ovvero la scissione, secondo quanto racconta il Foglio, potrebbe arrivare proprio da Massimo D'Alema. Secondo i rumors riportati dal quotidiano diretto da Giuliano Ferrara, Baffino starebbe pensando ad un partito tutto suo, indipendente dal Pd ormai feudo di Renzi. "Un autorevole esponente della cosiddetta sinistra radicale - si legge su ilFoglio - raccontava qualche giorno fa di aver incontrato D’Alema che gli ha detto scherzosamente una frase del tipo: a questo punto potremmo anche fare un partito insieme". L'ipotesi viene presentata come una boutade, ma a quanto pare al Nazareno, sponda Baffino, si fanno già i calcoli su quanto potrebbe valere in termini di consenso un ipotetico partito di sinistra guidato da D'Alema e Bersani.

Quanto vale il partito - Sempre secondo le indiscrezioni raccolte da il Foglio, un soggetto del genere potrebbe comunque prendere intorno all’otto per cento. Ma un ostacolo blocca il piano secessionista dei ribelli dem: la nuova legge elettorale. Se dovesse passare al partito dalemiano servirebbe almeno il 5 per cento per entrare in Parlamento, quota più realistica se si mettono da parte le suggestioni dei sondaggisti che parlano appunto dell'otto per cento. Così la minoranza dem preferirebbe andare al voto con il Consultellum, l'attuale legge elettorale in vigore dopo la bocciatura da parte della Consulta del Porcellum. 

La legge elettorale - Con un proporzionale puro il partito di D'Alema avrebbe più peso in Parlamento e dunque gioco facile nel tenere a bada il Pd renziano. Insomma l'ipotesi di una scissione appare in questo momento remota, ma dopo la direzione Pd e il regolamento di conti gli avvertimenti delle scorse settimane e le minacce a Renzi da parte di Civati, Cuperlo, D'Alema e Bersani potrebbero trasformarsi in una frattura che potrebbe ribaltare tutti gli equilibri politici. Non solo a sinistra. 

Effetti collaterali del patto del Nazareno: super sconto a Rai e Mediaset

Frequenze tv, per Rai e Mediaset maxi sconto




Viale Mazzini e il Biscione festeggiano. L'Agcom ha infatti regalato a Rai e Mediaset un maxi sconto sulle frequenze tv: Raiway e Elettronica Industriale, pagheranno ciascuna 13 milioni l’anno a partire da quest’anno per l’uso dei 5 multiplex che hanno in concessione per la durata di 18 anni. Con l’attuale sistema, che calcola il fatturato editoriale delle società e non le frequenze che utilizzano, Rai e Mediaset versano per il canone delle frequenze tv circa l’uno per cento del fatturato, per cui insieme pagano circa 50 milioni. Ma il sistema è stato, appunto, modificato con il passaggio dal sistema analogico al digitale: la legge n.44 del 2012 che ha convertito il decreto legge ’Semplifica Italia' indica che a pagare il canone per le frequenze siano gli operatori di rete, mentre prima pagavano le società televisive sulla base dei fatturati. La base per la valorizzazione dei mux è stata la cifra pagata da Umberto Cairo nella recente asta delle frequenze per un multiplex (31 milioni). Il calcolo di quanto lo Stato è di come 103,7 milioni di euro nei prossimi sette anni. L'Agcom assicura che verranno recuperati altrove. Dove? Nessuno lo sa. Di certo c'è che la Rai risparmierà almeno 113 milioni e Mediaset almeno 67.

Il canone - Nel provvedimento dell’Agcom si ipotizza anche un ’glide path’ ovvero un percorso di riduzione del canone per quei soggetti che sono considerati ’nuovi entranti'. Come a dire che lo Stato potrà scalare la somma dovuta nei 18 anni di durata della concessione garantendo un trattamento agevolato, se lo riterrà, rispetto a soggetti considerati ’incumbent’ come Rai e Mediaset. Lo scorso 6 agosto l’Autorità per le comunicazioni aveva esaminato i nuovi criteri per il canone annuale delle frequenze, dovuti dagli operatori di rete e non più dalle emittenti, ma aveva deciso di non procedere all’approvazione della delibera, sospendendo di fatto la decisione. L’Agcom aveva indicato ad agosto come motivazione del rinvio l’intenzione del Governo di «adottare modifiche al vigente assetto legislativo della materia nel prossimo mese di settembre». E in effetti non è escluso un intervento del Governo sul canone delle frequenze tv in via legislativa: lo strumento potrebbe essere il decreto sulle materie televisive (incluso il canone di abbonamento alla Rai) che l’esecutivo potrebbe varare per la metà di ottobre. E sono in molti a pensare che ci sia anche questo nel misterioso patto del Nazareno.

Il Cav confessa il suo errore: "Ecco dove ho sbagliato"

Berlusconi: "Il mio più grande errore? Non fingermi di sinistra"

di Salvatore Dama 


L’uveite all’occhio non è ancora passata. Ma, nel complesso, ai dirigenti ricevuti ieri a Palazzo Grazioli, Silvio Berlusconi è apparso in forma. Tonico. Tanto che in serata si concede un’uscita. In realtà, un semplice giro dell’isolato per inaugurare la biennale dell’antiquariato allestita dentro Palazzo Venezia. Ad aspettarlo c’è il finto Renzi di “Striscia la notizia”, interpretato da Ballantini. Silvio gli stringe la mano divertito. Il vero Matteo, l’altra sera, è stato bravo a mettere in riga “l’antiquariato” del Pd. I vari D’Alema, Bersani. Però il giudizio dell’ex premier sulla riforma del lavoro rimane sospesa. «Scendere a patti con la minoranza interna vuol dire annacquare la riforma dell’articolo 18», riflette Berlusconi. Tra le varie alternative che aveva davanti, Renzi ha scelto quella «meno coraggiosa». Ora bisogna vedere il testo che arriverà in Senato. Se la maggioranza è capace di votarselo con le proprie forze, «vuol dire che avranno avuto la meglio i mediatori». E allora Forza Italia non offrirà i suoi voti. «Io non sono di sinistra. E forse ho sbagliato. Se lo fossi stato, mi avrebbero portato in giro come la Madonna...». Ma meglio l’italia che la Turchia, dice Silvio, dove il suo ex amico «Erdogan sta facendo passi indietro terribili, dal laicismo spinto all'islamismo. È stato fatto un editto gravissimo: le ragazze possono andare all’università solo con il velo e non possono truccarsi».

Cose turche - Però arrivano cose turche anche dal Pd. Paolo Romani spiega qual è la linea azzurra: wait and see. «Fino a quando non avremo un testo chiaro, la legge delega resta confusa e imprecisa». Con la relazione in direzione Pd, nota il presidente dei senatori forzisti, «Renzi ha forse realizzato un obiettivo, tentare di ricomporre il dissenso all’interno del suo partito, ma ne ha mancato un altro: dare regole certe al mondo del lavoro». Mantenere la possibilità del reintegro anche dopo un licenziamento disciplinare «lascia che sia sempre un giudice a decidere». Insomma, il rischio è di lasciare la situazione inalterata. Peggio, di rimettere in discussione anche la riforma Fornero: «Non è chiaro se Renzi voglia fare un passo in avanti o indietro».  Ma anche la mediazione all’interno dei dem lascia il tempo che trova. Perché, spiega Renato Brunetta, «Renzi controlla la maggioranza del partito, ma non controlla i gruppi parlamentari». Per cui, secondo il capogruppo di Fi a Montecitorio, «il compromesso» di lunedì sera «sa tanto di imbroglio». Che Matteo abbia deluso le aspettative azzurre, lo si capisce anche dal commento di Giovanni Toti: «Riforma del lavoro, tanto rumore per nulla?», il tutto mentre «i giovani disoccupati aumentano». Il Jobs act è «ancora un compromesso al ribasso, si fa finta di cambiare ma non cambia nulla», attacca Annagrazia Calabria. A chiacchiere, attacca Raffaele Fitto, il capo del governo «si è espresso in modo coraggioso», ma nei fatti «ha annacquato il testo della delega». 

Non c’è Jobs act che tenga, invece, per gli ex dipendenti del Pdl. E per quelli di Forza Italia che potrebbero essere licenziati nei prossimi mesi per motivi economici, dal momento che il partito non ha più un soldo in cassa. Domani è in programma la riunione al ministero del Lavoro per decidere sulla concessione della cassa integrazione al personale ex pidiellino. Che sarà assistito, nella trattativa, dalla UilTucs.