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domenica 21 settembre 2014

L'INTERVISTA - "IL PAPA' DI RENZI MI HA RAGGIRATO" Il prestanome: la verità sulla società fallita

Il prestanome del papà di Renzi: "Mi hanno tirato in mezzo"



Tiziano Renzi, il babbo di Matteo Renzi, presidente del Consiglio

A Masone, paese al confine tra la Liguria e il Piemonte, in un vicoletto a pochi passi dal torrente Orba, vive il personaggio chiave dell’inchiesta per bancarotta fraudolenta della procura di Genova a carico di Tiziano Renzi. Si chiama Gian Franco Massone, ha 75 anni ed è originario di Castelletto d’Orba (Alessandria). È lui il presunto prestanome a cui Renzi senior avrebbe ceduto un ramo pieno di debiti dell’azienda di famiglia, la Chil srl, poi ribattezzata Chil post. Libero lo ha intervistato qualche settimana prima che diventasse di pubblico dominio l’inchiesta sul padre del premier. Massone, un uomo alto e distinto, è appena tornato, con tanto di sciarpa al collo, dalla partita della Sampdoria. «Vado allo stadio anche se il cardiologo me lo ha sconsigliato, perché devo evitare le forti emozioni. Ma io non frequento i bar, non bevo, non gioco a carte, non fumo, l’unica cosa che mi è rimasta è la partita. Devo evitare quelle più tese e prendere delle gocce prima di andare». Ieri il nome di questo pensionato un po’ malandato è finito su tutte le prime pagine dei giornali in veste di indagato. In realtà a essere sotto inchiesta è suo figlio Mariano. Lui, per la procura, è solo una vittima. 

Signor Massone che cosa mi può dire della Chil post?
«La Chil che?»

La Chil post. Lei risulta essere il socio unico. Prima era di Tiziano Renzi.
«Non ne so proprio niente».

Magari qualcuno ha usato il suo nome perché alla sua età non si va in galera…

«Questo non lo so. Ma ora io a questi signori dirò: io ho un nome da difendere, arrangiatevi».

In questa storia l’ha coinvolta suo figlio Mariano?

«Sì. Io, dopo aver ricevuto un raccomandata, sono andato con un avvocato dal curatore fallimentare e lui mi ha detto: ha fatto bene a presentarsi, ma lei non c’entra».

L’hanno messa in mezzo?

«È così». 

Ufficialmente Tiziano Renzi le quote della Chil post le ha vendute a lei. Secondo l’accusa l’hanno coinvolta in un fallimento pilotato.

«Io dovrei andare a bastonare chi mi ha fatto questo scherzo. Mi dovevano almeno dire il perché e non hanno fatto neanche questo».

L'ITALIA E' UN CAMPO PROFUGHI Ecco perché la tolleranza non serve

L'Italia è un campo profughi

di Filippo Facci 


Nelle città italiane non è in aumento il numero complessivo dei reati e degli omicidi: ma è in aumento, paradossalmente, la violenza, la tensione, il degrado, i crimini degli stranieri, soprattutto la percezione del pericolo per le strade del centro e delle periferie. Prima ancora di dividersi sulle politiche di accoglienza da seguire - locali o nazionali o europee - andrebbe ammesso perlomeno questo: che la situazione si è fatta veramente critica, problematica, preoccupante, mettetela come volete, resta il fatto che questa percezione è già ben nota a tanti cittadini ma sembra meno compresa dalla classe dirigente che dovrebbe occuparsene. Quello che Libero propone in queste pagine non è un censimento dei profughi siriani in Italia (veri, presunti e falsi) e nemmeno un listino degli omicidi o della cronaca nera che avvolge il Paese: sono esempi di un marasma in cui si rischia di non cogliere più le dovute differenze, e la vera intolleranza rischia di cominciare da qui. 

I due albanesi trucidati a Milano, durante una sparatoria che ha terrorizzato un intero quartiere in un’atmosfera da Far West, rischiano di sovrapporsi al pakistano che l’altra notte è stato ammazzato a Torpignattara, a Roma. Le immagini dei bambini siriani che dormono per terra alla Stazione Centrale (e che qualcuno ha osato fotografare, il problema sembra questo) rischiano di fare tutt’uno con la concentrazione di profughi eritrei che un chilometro più in là, a Porta Venezia, aumentano a botte di 80/90 al giorno. Milano, a forza di tendopoli, sta diventando un campeggio al pari di tanti altri snodi del Paese che fungono da punti di passaggio per i migranti, i quali vengono ospitati e poi smistati in altri centri di accoglienza o se ne partono verso altri paesi europei (alcuni per davvero, altri lo dicono e basta) in un clima di eterna provvisorietà in cui i falsi profughi e i veri criminali hanno gioco facile. Famiglie con bambini in fuga da guerre e persecuzioni si mischiano a professionisti della malvivenza che si dicono profughi da vent’anni, a seconda delle guerre che sono in corso per il mondo. 

L’abbiamo scritto: in Veneto arrivano a colpi di 300-500 al giorno, solo mercoledì ne sono sbarcati 900 a Reggio Calabria, diretti a Nord, il Palasharp di Milano è ormai un palazzetto-accoglienza, al parco di Bresso ne passano un centinaio a notte, le strutture non bastano mai, e in Veneto, che per molti è solo terra di passaggio ma per altri è un improbabile bengodi, i nuovi arrivi di immigrati o profughi sono nell’ordine delle 150mila unità. Tanti amministratori locali, peraltro, non hanno nessuna voglia di requisire immobili per ospitare disperati e quindi sopperire alle mancanze di chi ha voluto l’operazione Mare Nostrum. 

La prospettiva di terrificanti campi-profughi, insomma, è dietro l’angolo. Ci sono poliziotti e loro sindacati che già manifestano contro «questure trasformate in Cie per l’identificazione dei profughi» senza contare che al Brennero, dove si accodano i tanti diretti nei paesi del Nord, non mancano respingimenti come quelli che l’Austria riserva anche a siriani e eritrei e irakeni: tutti rispediti in Italia dopo una breve assistenza. 
«Milano come Lampedusa» era il titolo di un dossier preparato nel luglio scorso da Pierfrancesco Majorino, assessore al Welfare inutilmente fumantino che voleva polemizzare con la Regione e col ministro dell’Interno, tutta gente di diversa casacca politica. 

Forse Majorino pensava che quella titolazione, «Milano come Lampedusa», non gli sarebbe ritornata addosso, e che le vergogne di Milano, indipendentemente dalle colpe, non si sarebbero riflesse anche su chi la amministra. Il risultato, pochi mesi dopo la pubblicazione del dossier, sono quei bambini siriani che dormono per terra alla Stazione Centrale, e questo è un fatto, e resta un fatto anche a dispetto dei tanti che a Milano si impegnano perché questo non accada. L’altro fatto è che maggioranza e opposizione litigano, l’Unicef bastona cordialmente il sindaco, Bruno Vespa e Giuliano Pisapia si beccano via twitter. Su Milano e sulla Stazione Centrale, intanto, è cominciato a piovere. 

sabato 20 settembre 2014

Voce Pd: "Vogliono un altro premier" Mezzo Nazareno prepara la congiura contro Renzi Ecco chi vogliono a Palazzo Chigi...

Pd, l'indiscrezione sul Nazareno: "La minoranza dem vuole Visco al posto di Renzi"




La cena dei veleni voluta da D'Alema per fare il punto con la sinistra Pd è stato un campanello d'allarme. Matteo Renzi è tornato nel mirino della sinistra Pd. Baffino, secondo quanto ha raccontato il Corriere della sera qualche giorno fa, avrebbe criticato aspramente il premier accusandolo di non aver mantenuto i patti: "A me aveva detto determinate cose, sia sulla composizione del governo che sulla nomina europea dell'Alto rappresentante e poi non ha tenuto fede alla parola data. Prima o poi qualcuno dovrà raccontare le bugie che dice quello lì". Parole pesanti che hanno riacceso i riflettori sulla faida interna al Nazareno cominciata nel momento in cui Renzi è arrivato alla segreteria. Così con un parlamento poco fedele al premier e marcatamente orientato su posizioni bersaniane, Renzi ha mandato un messaggio chiaro a chi vorrebbe dargli una spallata: "Non esistono alternative a questo governo, l'unica alternativa possibile è il voto". 

Le mosse del Nazareno - Ma a quanto pare, secondo quanto racconta Francesco Verderami sul Corriere della Sera, la minoranza Pd che va da Civati a Bersani, passando per D'Alema, prepara la mossa per ribaltare il tavolo di palazzo Chigi. I rumors parlano di "un'operazione tipo Monti, una soluzione di riserva". Insomma un altro premier che sostituisca Matteo e possibilmente tecnico come lo era il Prof bocconiano. "Nel Pd c'è chi discute di questa eventualità", come afferma Civati, ma nessuno esplicitamente fa il nome del panchinaro che si scalda a bordo campo. Ma qualcuno, come Maurizio Sacconi e qualche dirigente del Pd, si spinge oltre e fa un nome: Ignazio Visco. Il governatore di Bankitalia era nella rosa dei probabili ministri di un esecutivo Bersani che però naufragò davanti alle larghe intese. 

Gli avvertimenti - Insomma al Nazareno si lavora senza sosta alle spalle di Renzi. Anche Gianni Cuperlo non nasconde l'ipotesi di un cambio della guardia a palazzo Chigi: "Ragionevolmete dopo Matteo c'è solo il voto, anche se la politica a volte ti mette di fronte a degli scarti imprevedibili". Fassina è più prudente: "Lavoro per cambiare l'agenda del governo, non il governo". Insomma dentro il Nazareno ci sono diverse correnti, non una novità dalle parti del Pd, ma la minoranza che prepara qualche sorpresa amara per il premier preoccupa e non poco i renziani. Insomma Matteo non riesce ancora a tenere saldamente il partito dalle sue mani. Un partito che ormai ha un solo obiettivo: fare opposizione al premier pur essendo in maggioranza. 

Retroscena sull'incontro Renzi-Cav: c'è già la data per il voto anticipato

Il retroscena su Renzi e Berlusconi: al voto a febbraio 2015




Voto anticipato. Sarebbe questa la parola d'ordine a palazzo Chigi. Matteo Renzi prepara il suo piano per portare alle urne gli italiani già a febbraio del 2015. Secondo alcune indiscrezioni raccontate da Dagospia, il premier sarebbe pronto a rovesciare il tavolo per chiedere il voto tra meno di 5 mesi. La situazione di Renzi è sempre più delicata. Il premier, va detto, in questi sei mesi di governo non ha realizzato nessuna delle riforme che aveva annunciato. Il risultato dell'esperienza di governo parla chiaro: l'esecutivo ha regalato 80 euro con il bonus Irpef ma ha aumentato le tasse sulla casa che negli ultimi quattro anni sono aumentate del 200 per cento. Il Paese è piegato sotto i colpi della recessione e la deflazione ha di fatto eroso i consumi. Insomma il quadro che appare dopo l'arrivo di Renzi a palazzo Chigi è terrificante. E così adesso il premier comincia a pensare all'ipotesi di un colpo di mano che porti alle elezioni. 

Gli ostacoli - La fronda bersaniana si stringe attorno al collo di Matteo. In commissione lavoro, snodo nevralgico da cui passerà la riforma è composta per metà da ex sindacalisti rossi e palesemente anti-renziani. Insomma il premier vorrebbe tornare al voto per piazzare in Parlamento e non solo lì truppe più affidabili dato che tra Camera e Senato a farla da padrone è la sinistra Pd. Se si votasse con questa legge elettorale, il Pd non potrebbe governare da solo ma avrebbe bisogno dell'appoggio di altre forze tra cui anche quello di Forza Italia. E così, sempre secondo quanto racconta Dagospia, l'incontro di mercoledì sera tra Cav e Renzi sarebbe servito a definire la via che porta al voto. 

"Ostacolo Re Giorgio" - C'è un solo ostacolo: Giorgio Napolitano. Re Giorgio sa bene che sciogliere le Camere significa, probabilmente, consegnare il Paese alla Troika. Sarebbe l'ammissione di un fallimento maturato durante questa legislatura che testimonierebbe come le forze politiche avrebbero fallito nel portare avanti l'agenda di riforme chieste dall'Europa. Così quando Matteo Renzi nel suo discorso alla Camera poi al Senato di qualche giorno fa ha lasciato intravedere la possibilità del voto in primavera, il Colle ha mandato un messaggio molto chiaro:"Io non sciolgo le Camere, piuttosto mi dimetto. Alle elezioni semmai vi porterà il mio successore". Inoltre come raccontano fonti vicine a Libero il Quirinale rischia di ritrovarsi con le armi spuntate. Se ci si trova davanti ad un premier dimissionario e non si vuole chiudere la legislatura, l’unica soluzione è mettere in piedi un altro governo, ma le condizioni affinché questo Parlamento possa esprimere la fiducia ad un governo contro il Pd non si vedono. 

Allarme terrorismo: "Il Papa nel mirino" Raddoppiata la sicurezza in Vaticano

Allarme terrorismo: "Il Papa nel mirino" Raddoppiata la sicurezza in Vaticano




Dopo l'allerta su possibili atti terroristici contro il Papa o il Vaticano, il dispositivo di sicurezza attorno a piazza San Pietro è stato raddoppiato. Lo apprende l'ANSA da fonti qualificate. Già mercoledì scorso, nell'udienza generale di metà settimana, a tutela del Santo Padre erano state schierate, oltre alla Guardia Svizzera e all'intero ispettorato di polizia vaticano, anche pattuglie della Digos romana e della squadra mobile.

L'allerta dell'ambasciatore iracheno - Tra i luoghi sensibili ad alto rischio per il terrorismo islamico ci sono in particolare i luoghi di culto, con Piazza San Pietro e la Basilica in special modo. "Il Papa del resto è un bersaglio e la strategia dell’Isis punta sul clamore mediatico - spiega a Il Messaggero l'ambasciatore iracheno in Vaticano, Habeeb Al Sadr - basta vedere le immagini raccapriccianti delle decapitazioni veicolate con lo scopo di fare paura, fare parlare, fare scalpore". Al quotidiano romano, il diplomatico iracheno spiega di aver contattato responsabili della Santa Sede per informarli del pericolo rappresentato dai terroristi di Isis. Al Sadr, inoltre, riferisce di aver invitato il Santo Padre a recarsi in Iraq: "Mi ha detto che accettava volentieri l’invito senza però precisare altro. Dipende dalla sua volontà politica e dalla sua agenda."

Lavoro, la Camusso attacca Renzi: "Togli la libertà, sei come la Thatcher"

Jobs Act, Susanna Camusso: "Renzi è come la Thatcher"




"Mi sembra che il presidente del Consiglio abbia un po’ troppo in mente il modello della Thatcher". Lo ha detto il segretario della Cgil, Susanna Camusso, parlando della riforma del lavoro, durante l’inaugurazione della nuova sede regionale del sindacato a Milano. "La sfida che lanciamo noi - spiega Camusso - è fatta dall’idea che si può fare lo statuto dei lavoratori, ma bisogna fare sì che tutti abbiano gli stessi diritti con contratti a tempo indeterminato". Secondo la sindacalista, ci vuole "coerenza tra le riforme e l’impianto della Costituzione, per la quale a uguale mansione deve corrispondere uguale retribuzione, non ci può essere retribuzione diversa tra uomini e donne e non ci possono essere discriminazioni. Noi - conclude - guardiamo alla Costituzione per costruire un impianto nuovo di cui c’è bisogno per creare un lavoro con diritti, uguaglianza e libertà".

"Noi siamo uno strumento" - "Non capisco perché lo sciopero generale sarebbe un rischio. E’ una delle forme di mobilitazione possibili del sindacato", sottolinea il segretario della Cgil rispondendo ad una domanda sull’ipotesi di ricorrere allo sciopero generale contro le scelte del governo. Anche perché, per ora, non ci sono incontri in programma con Renzi: "Non mi pare", ha precisato ironica la leader del sindacato, che ne ha approfittato per difendersi anche dalle accuse di conservatorismo: "Quella conservazione è il miglior frutto della storia democratica e - ha aggiunto - noi a quella storia non ci rinunciamo. C’è chi dice che se si cancella l’articolo 18 si dà un colpo al sindacato. Ma noi non stiamo difendendo noi stessi - ha proseguito Camusso - noi siamo uno strumento, per cui chi cancella quell’articolo sta cancellando la libertà dei lavoratori".

La risposta di Renzi - E alla Camusso risponde Matteo Renzi: "A quei sindacati che vogliono contestarci chiedo, dove eravate in questi anni quando si è prodotta la più grande ingiustizia, tra chi il lavoro ce l’ha e chi no, tra chi ce l’ha a tempo indeterminato e chi precario perché si è pensato a difendere solo le battaglie ideologiche e non i problemi concreti della gente". Insomma lo scontro è aperto, e intanto gli italiani continuano ad attendere una riforma del lavoro seria che rilanci l'occupazione. 

Bruno Vespa umilia il sindaco Pisapia: "Vergogna, i bimbi sui cartoni...". E' rissa...

Bruno Vespa contro Giuliano Pisapia: "Vergogna per i bimbi che dormono sui cartoni". E il sindaco sbrocca




Necessaria premessa: mercoledì mattina il consigliere di Milano, Silvia Sardone, ha pubblicato alcune foto scattate alla stazione Centrale che ritraevano dei bimbi che dormivano in mezzo alla sporcizia, come letto un cartone. L'elegante reazione del Comune di Giuliano Pisapia? La seguente: "Infame". Almeno così è come l'assessore Alessandro Majorino ha bollato la collega. Le foto, però, erano inequivocabili: simbolo di degrado ed abbandono, tanto che anche l'ex ministro Cécile Kyenge le ha rilanciate su Twitter. Poi è arrivato anche un duro commento dell'Unicef, che ha parlato di "violazione dei diritti dei bambini". In parallelo, contro gli insulti alla Sardone, è scesa in campo Forza Italia, in particolare Mariastella Gelmini e Mario Mantovani, governatore regionale.

Botta e risposta - E Giuliano Pisapia, che dice? Per scatenare il sindaco arancione di Milano ci voleva Bruno Vespa. Ma che c'entra mister Porta a Porta? C'entra, perché ha voluto dire la sua su Twitter, dove ha scritto, citando Pisapia: "Nessun bambino di qualunque origine può dormire sui cartoni alla stazione centrale di Milano". Il sindaco reagisce in maniera scomposta: "E' una vergognosa forzatura di un dramma. 12.000 bambini accolti in un anno. Verificare le fonti non è più prassi giornalistica?". Il sindaco, insomma, vuole spiegare a uno dei decani del giornalismo italiano come deve fare il suo lavoro (il tutto mentre l'evidenza delle foto alla Stazione Centrale è sotto gli occhi di tutti). Non pago, Pisapia rincara: "Comunque grazie per la sensibilità dimostrata: volontari e operatori del Comune di Milano ti aspettano per un tuo contributo sul campo". E i bambini, nel frattempo, aspettano che Pisapia gli offra qualcosa di meglio rispetto a un cartone.