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lunedì 8 settembre 2014

Matteo "gentleman" con la Boldrini: "Quando sento parlare Laura..."

Salvini: "Boldrini mi fa dormire". Lei "Solito gentleman"




I due, più diversi, non potrebbero essere. Lei di sinistra, la classica radical chic approdata quasi per caso alla politica: e mica in un posto qualsiasi, ma direttamente alla presidenza della Camera, dalla quale rifila spesso i suoi sermoni politically correct. Lui leghista da quando ancora andava a scuola una vita in politica, campione nel dire cose scomode e sempre all'attacco dei luoghi comuni. Laura Boldrini e Matteo Salvini, un faccia a faccia vero e proprio non lo hanno mai avuto. Ma oggi il segretario del Carroccio, a Cernobbio per portare anche al Forum Ambrosetti la sua battaglia anti-euro, ha parlato anche della presidente di Montecitorio: "Quando la sento parlare mi fa dormire". E lei, di rimando: "Salvini? E' il solito gentleman". 

Al Bano: "Viva Putin". E la Rai manda il suo concerto in prima serata

Record di ascolti per il concerto di Al Bano e Romina




Il ritorno della coppia Al Bano e Romina fa bene anche agli ascolti della Rai. Felicità, il concerto evento di Al Bano e Romina Power dal Crocus City Hall di Mosca, riproposto venerdì 5 settembre, da Rai1 vince la prima serata con 3 milioni 478mila spettatori e il 15.89 di share. La coppia (che nella vita privata ha ritrovato il dialogo e l'armonia, ma non è tornata insieme) ha molto successo all'estero, e in Russia in particolare. Polemiche per la messa in onda dello spettacolo, al termine del quale il cantautore di Cellino San Marco ha elogiato Putin, proprio nei giorni dello scontro tra Russia e Ucraina e delle sanzioni decise dalla Nato (Italia compresa) a carico di Mosca.

Per Roberto la vita è bella: grazie a mamma Rai che lo strapaga la sua società fa soldi a palate

Benigni, la sua società raddoppia gli utili

di Franco Bechis 


C’è una coppia che ha superato brillantemente la crisi. Non quella coniugale - che non è mai risultata. Quella economica, che come tutti gli italiani hanno dovuto affrontare anche due star del cinema come Roberto Benigni e Nicoletta Braschi.

La coppia è azionista pariteticamente della società che produce i film e gli spettacoli del comico toscano (e talvolta anche della consorte), sfruttandone poi la commercializzazione: la Melampo cinematografica. Depositato da qualche giorno, il bilancio 2013 del gruppo ha evidenziato un sorprendente raddoppio dell’utile netto, che passa a 2,74 milioni di euro da, 1,15 milioni dell’anno precedente.

L’utile per altro era già raddoppiato l’anno scorso, visto che nel 2011 ammontava a 569.358 euro (comunque in crescita rispetto ai 418.310 euro del 2010). Un successo notevole, decisamente in controtendenza rispetto all’andamento delle principali società italiane, anche nel settore dello spettacolo e dei diritti tv e cinema. Tanto è che la coppia Benigni-Braschi ha deciso di non avere bisogno di tanti soldi in tasca. Quei 2,7 milioni di euro sono stati portati a riserva utili a nuovo. E dal patrimonio della società sono stati distribuiti ai due azionisti 1,29 milioni di euro prelevati dalle riserve disponibili della società.

Visto che la tassazione dei capital gain (in questo caso prima ancora dell’aumento deciso da Matteo Renzi) incide assai meno di quella sul reddito delle persone fisiche, la coppia Benigni ha potuto contare quest’anno su circa 500 mila euro netti a testa. Non male, anche per un comico di successo nel cui reddito per altro entrano compensi di vari natura legati sia a gli investimenti che alle prestazioni professionali. Come indica la nota integrativa al bilancio per altro la Melampo ha anche pagato un extra a ciascuno dei due soci. Alla Braschi 50.375 euro «a titolo di prestazione artistica e di rimborso spese». A Benigni 54 mila euro «a titolo di canone di affitto dell’immobile che costituisce la sede legale ed operativa della società».

Come si spiega il boom dei conti Melampo nel 2013, visto che da tempo i Benigni non sfornano nuovi film e la commercializzazione dei diritti dei vecchi risente ovviamente dei numerosi passaggi già avuti nelle varie library tv che li hanno acquisiti? Soprattutto con uno spettacolo: «Dante Firenze» 2013, che ha venduto un bel po’ di biglietti per le 12 puntate di letture dantesche fatte in piazza, ma soprattutto ha incassato dalla Rai il misterioso compenso pattuito per l’esclusiva dei diritti tv.

I Benigni non spiegano quale importo sia stato loro pagato, e dicono solo di avere «consegnato al committente 9 puntate». La Rai al momento ha trasmesso solo quello che aveva acquistato nell’edizione precedente, e non è stato un grande successo, visto che alcune serate hanno raggiunto livelli bassissimi di ascolto (il 2,5% su Rai Due). Ma lo spettacolo ormai è stato venduto, e questo ha già portato ai Benigni gli utili desiderati. La Rai è infatti buon pagatore, a differenza di altri soggetti istituzionali. In bilancio si lamenta infatti un credito ormai di lunga durata di 261.538 euro vantato dall’«Onorevole Teatro Casertano per lo spettacolo Tradimenti», che vedeva protagonista la Braschi. Il 2013 comunque è stato un anno fortunato, perchè finalmente si è svegliata dal lungo sonno anche una società partecipata (insieme a Cinecittà), quella Papigno dove fu registrato Pinocchio e che è restata bloccata per lunghi anni da problemi con la burocrazia umbra.

Marchionne bastona Montezemolo "Non vince da 6 anni. Tutti utili ma..."

Marchionne su Montezemolo: "Nessuno è indispensabile"




Marchionne dopo aver dato 3 consigli a Renzi, a margine del Forum parla anche di Luca Cordero di Montezemolo.  "Io e Luca Cordero di Montezemolo siamo grandissimi amici ma quando ho letto le dichiarazioni, ho pensato che sono cose che non avrei mai detto su me stesso. Mi considero essenziale ma sono comunque al servizio dell’azienda. E conclude: "Ognuno è utile, nessuno è indispensabile. Marchionne ha continuato spiegando che "crearsi una posizione o farsi delle illusioni al di fuori delle regole della dipendenza che esiste tra azienda e management è una cavolata che non esiste". In particolare, "Montezemolo ha fatto un grandissimo lavoro sui risultati economici della Ferrari. Poi c’è il tema dei risultati sportivi: sono tifoso da anni e vedere la Ferrari in queste condizioni pur avendo i migliori piloti del mondo, box efficienti, ingegneri veramente bravi e non vincere niente dal 2008...". C’è allora sul tavolo l’avvicendamento al vertice, gli è stato chiesto. E Marchionne si è limitato a ribadire che «c’è un problema da risolvere, va bene vendere macchine ma bisogna vedere anche la Ferrari vincente in Formula Uno. Non voglio più vedere le nostre macchine in settima o un undicesima posizione, mi dà un fastidio enorme».

Feltri: "Sì al veneto indipendente, poi tocca alla Lombardia"

Feltri: "Sì al veneto indipendente, poi tocca alla Lombardia"

intervista a cura di Matteo Mion



È un Vittorio Feltri in grande spolvero e prepotentemente indipendentista quello intervenuto venerdì sera alla conferenza inaugurale della Festa dei veneti che si tiene annualmente a Cittadella in provincia di Padova. Più di un migliaio le persone presenti che sono esplose in un’ovazione, quando Feltri è sbottato: «Cari veneti, dell’Italia ne abbiamo tutti le palle piene, andate avanti con il referendum per l’indipendenza». Ne abbiamo approfittato per chiedere al nostro fondatore, che per l’occasione sfoggiava un leone di S. Marco dorato all’occhiello della giacca, la sua opinione sull’indipendenza veneta.

Buongiorno Vittorio, ricordi che Bergamo, la tua città natale, apparteneva alla Repubblica Serenissima?

«Certo che sì, infatti ho grande simpatia per Venezia e i Veneti. Bergamo è piena di leoni di San Marco, ovunque mi giro ne vedo uno, quindi non posso dimenticarmi di essere serenissimo».

A Bergamo si parla un dialetto quasi identico a quello veneto?

«È vero sono molto simili. Oggi c’è un recupero dei dialetti, anni fa parlare il dialetto era erroneamente considerato segno d’ignoranza. Quando scrivo un articolo, lo immagino in bergamasco, poi traduco in italiano, togliendo le ostie». 

Cosa ne pensi del malessere del Veneto nei confronti dello stato centrale?

"Penso che in Italia sarebbe necessaria una rivoluzione, mentre è iniziata un’inarrestabile involuzione. Il governo ha abolito le Province che erano l’istituzione più vicina ai cittadini, mentre deve sopprimere o almeno accorpare le Regioni che sono un disastro: ad esempio, la regione Molise è territorialmente più piccola di molte province italiane. Una macroregione indipendente Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino Alto Adige sarebbe in grado di funzionare benissimo. Sicuramente meglio dello Stato italiano, dove la politica è allo sfacelo e nessuno è più in grado di esprimere una politica seria, ma subiamo passivamente i diktat di Furher Merkel».

Tra qualche giorno la Scozia vota il referendum per l’indipendenza e gli indipendentisti sono in testa nei sondaggi, che dici?

«Deve fare un referendum così anche il Veneto, ma con la promessa che in caso d’indipendenza mi accetti come residente. Semmai compro 2-3 stanze qui a Cittadella che ci sono delle mura splendide come a Bergamo. A proposito è ora che anche Bergamo si ricongiunga alla madrepatria e i leoni facciano ritorno a casa. Se lo fate, io vi scrivo l’inno, perché m’intendo un po’ anche di musica. Promesso».

Quindi sei favorevole all’indipendenza del Veneto?

«Io sono favorevole e amo l’indipendenza di tutti…soprattutto la mia! Battute a parte, l’indipendenza per il Veneto è un’esigenza d’animo e di portafoglio, l’alternativa è il suicidio. I veneti non devono spaventarsi, ma andare avanti nel percorso referendario e votare tutti per l’indipendenza, perché dell’Italia ne abbiamo tutti pieni i coglioni».

Insomma consigli la secessione ai veneti?

«Dico che devono dimenticarsi le divisioni politiche interne: Renzi e Berlusconi, destra e sinistra. Prima bisogna essere padroni a casa propria, tutto il resto viene dopo, una volta ottenuta la libertà».

Ritieni che il Veneto riuscirà a raggiungere l'indipendenza?

«Sono certo che i veneti andranno avanti, perché la storia non si può cancellare». 

Il resto d’Italia come reagirà a un’eventuale indipendenza veneta?

«Mi auguro che le altre regioni seguano l’esempio del Veneto a iniziare dalla Lombardia. In Italia non mancano i posti di lavoro, ma c’è la crisi della voglia di lavorare, cosa che non accade ai veneti notoriamente laboriosi».

Insomma, se tu fossi residente in Veneto, al referendum sull'indipendenza della regione voteresti si?

«Senza dubbio. Sono sempre stato indipendentista».

DIARIO SEGRETO DI PALAZZO CHIGI L'ingorgo del governo tutta colpa di una vigilessa

Dispetti, testi riscritti e bocciati: Palazzo Chigi è un bordello

di Franco Bechis 


Anche questa volta, come accade ormai da mesi, l’ultimo gioiellino raccontato da Matteo Renzi - quel decreto sblocca Italia prima annunciato, poi decalogato, slidato, e perfino approvato in Consiglio dei ministri, per i lunghi giorni successivi non ha avuto un testo. Per settimane ne ha avuti ben più di uno. Ma alla fine nessun ministro sapeva davvero cosa aveva approvato. Tanto è che il padrone unico di quel testo come di ogni cosa che esce da palazzo Chigi, l’ex vigilessa Antonella Manzione, donna di quadri del Giglio magico di Renzi (quella di cuori è naturalmente Maria Elena Boschi), in extremis ha cercato di infilarci un’ideona. L’ha partorita nella notte fra lunedì e martedì, e se ne è innamorata così tanto da tirare giù dal letto - erano le due del mattino - i più stretti collaboratori. "Ho avuto un’idea straordinaria", ha spiegato ai poveretti distrutti dal sonno, "scriviamo un articolo che dice che i comuni possono decidere di non fare pagare il tributo qualora dei gruppi di cittadini si assumano l’onere della pulizia e della valorizzazione del proprio quartiere".

Siccome la Manzione ha nel sangue la stessa birra di Renzi, detto e fatto in men che si dica. Il mattino ha scritto la norma, e subito convocato d’urgenza un pre-consiglio dei ministri, convocando a palazzo Chigi capi di gabinetto e direttori del legislativo dei ministeri coinvolti. Letto il testo della sua grande idea, la Manzione si attendeva applausi e hurrà. Invece silenzio, glaciale. L’ex vigilessa ha cercato con gli occhi la sponda del più potente dei convitati, il capo di gabinetto del ministero dell’Economia e delle Finanze, Roberto Garofoli. Niente. Nemmeno un sospiro, un "oh" di meraviglia, un occhiolino. Silenzio e occhi subito abbassati. Il mondo è pieno di gufi, è evidente. La Manzione mica si è fermata davanti a qualche menagramo. La sua bella norma è stata inserita nel decreto, e inviata al Mef insieme a tutte le altre per avere l’ok di compatibilità ai fini della relazione tecnica. Quella e tutte le altre dello sblocca-Italia divenuto ormai il "Manzione-sblocca tutto" sono state massacrate come raramente si è visto dal ministero dell’Economia. Interi capitoli cassati, cancellati. L’ideona della Manzione no, anche per non scatenare una guerra mondiale. Ma il risultato è stato pressochè identico. Al suo fianco i tecnici di Pier Carlo Padoan hanno inserito un numerino: 14. E in calce la relativa nota di una quindicina di righe, che faceva a pezzi il testo: "Scusi, a che tributo si riferisce? Quali categorie di cittadini sarebbero interessate? Come fa il Comune ad esentarli e a controllare cosa hanno fatto?...", e così via. Insomma, cassata anche quella.

La Manzione ha mandato sms a Renzi che le ha detto di tenere duro, contro quei gufi della Ragioneria. La grande idea è stata aggiunta al decreto con una formula del tutto generica che non metta in discussione le entrate (non ha relazione tecnica). Di fatto diventa uno spot, inapplicabile. I cittadini dovranno mettersi d’accordo con il proprio comune che stabilirà caso dopo caso se scontare un po’ di Tari a chi si fa le pulizie da solo. Forse in un piccolissimo comune si può, in una città metropolitana è impensabile. Resterà una slide come gran parte del programma Renzi. Che cova ancora più rabbia verso i tecnici dell’Economia. Che fanno il loro mestiere. D’altra parte chi la fa poi deve aspettarsela di ritorno. E la Manzione l’aveva appena fatta.

Per lunghe settimane infatti il decreto sblocca Italia era girato di ministero in ministero, arricchendosi di norme e di relazioni di accompagnamento. Quello che è arrivato in mano al Giglio magico (unico esterno ammesso, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio) la sera del mercoledì che precedeva il Consiglio dei ministri era ormai di quasi 300 pagine. L’hanno discusso, esaminato, emendato con alcune osservazioni della Boschi, la sola del gruppo che può dettare legge a Renzi, e poi sospeso. Perchè alle 23 il premier febbricitante non ce la faceva più: bandiera bianca, a letto con una buona dose di tachipirina. Il mattino dopo quel testo un po’ emendato, un po’ sospeso, è apparso sul tavolo di una riunione interministeriale con Padoan, Maurizio Lupi e i rispettivi staff. Qualche limatura, qualche aggiunta, e il più era fatto. Almeno pensavano loro. Perchè invece nel pomeriggio (a meno di 24 ore dal Consiglio dei ministri che avrebbe dovuto approvarlo), il testo dello sblocca Italia è approdato, quel pomeriggio di giovedì, a un pre-consiglio dei ministri convocato e presieduto dalla Manzione. Lei ha guardato in faccia i colleghi degli altri ministeri e sventrato il testo iniziale, bollandolo come un lavoro malfatto. Chissà dopo il massacro cosa è davvero approdato poi il giorno dopo a palazzo Chigi. Ma è destino dello sblocca-Italia che anche dopo l’approvazione ufficiale nei giorni successivi ha perso per strada parecchi capitoli, anche norme chiave espressamente annunciate alla vigilia (come quelle sulla banda larga improvvisamente fattesi strettissime).

Regna il caos a palazzo Chigi, e in quel caos c’è molto della spiegazione della nebulosa in cui è ripiombata l’Italia, nonostante le ben diverse premesse dell’avvento del giovane Renzi a Palazzo. Il premier che fa tutto lui e tutto in fretta si è ben presto consegnato in mano alla burocrazia contrapponendole al massimo qualche fragile petalo del Giglio magico e la volenterosa vigilessa, con il risultato di aggiungere caos a caos. Deciso ad andare in fretta e a non contornarsi di veri collaboratori, Renzi per le prime settimane a palazzo Chigi ha pensato davvero di potercela fare da solo. Scriveva lui i testi, e prescindeva dal ministero dell’Economia grazie al librone che si era fatto preparare: una riclassificazione del bilancio di previsione 2014 dello Stato italiano secondo i criteri dei bilanci comunali che lui conosceva meglio. Bell’idea non fosse che conciato così il bilancio dello Stato non significa un fico secco: lo leggi per competenza con cifre del tutto illusorie (sono quelle sperate, non quelle reali), e non hai alcuna indicazione di cosa davvero c’è in cassa. La nasata è dietro l’angolo. E difatti il povero Matteo è andato avanti di nasata in nasata.

La prima gliela ha fatta sbattere il ferreo Giorgio Napolitano. Al Quirinale avevano saputo per vie informali che Renzi non faceva mai i pre-consigli dei ministri con i vari capi dei ministeri coinvolti. Li teneva all’oscuro e li faceva trovare davanti al fatto compiuto in Consiglio dei ministri. Napolitano ha raccolto i malumori (perfino il decreto sugli 80 euro era stato approvato così) e inviato una letteraccia di richiamo al povero sottosegretario Delrio, che quei pre-consigli avrebbe dovuto presiedere. Così facevano prima di lui i vari Filippo Patroni Griffi, Gianni Letta, Enrico Letta, Enrico Micheli e Marco Minniti.

Incassato il colpo, Renzi ha dovuto chinare il capo e riprendere la vecchia tradizione dei pre-consigli per mettere a punto con gli altri le norme legislative. Ma per rispondere da par suo, a presiedere i pre-consigli non ha mandato Delrio, come sarebbe stato prassi, ma la sua fedelissima ex vigilessa. In quella sede si affrontano temi tecnici, e non era certo pane della Manzione (pesciolino in mare infestato da pescecani, e quello con i denti più aguzzi è il Garofoli dell’Economia, vicinissimo a Massimo D’Alema). Ma si devono anche dare direttive politiche, e ancora più strana per questo è sembrata la scelta della Manzione. Renzi però aveva il suo uovo di Colombo: quando la vigilessa presiede il pre-consiglio dei ministri, lo fa sempre in diretta sms con il premier. Guarda il telefonino e poi taglia corto con i convenuti: «Il presidente ha deciso così...». D’altra parte Renzi di lei si fida, e di pochi altri.

domenica 7 settembre 2014

Gaetano Daniele: Ecco chi ha ucciso Davide Bifolco, il 17enne di Napoli

Gaetano Daniele: Ecco chi ha ucciso Davide Bifolco, il 17enne di Napoli 

di Gaetano Daniele 

Gaetano Daniele
Amministratore il Notiziario 

Ormai è chiaro, la morte prematura del giovane Davide Bifolco ha smosso sia il mondo intellettuale che non. Ci sono due scuole di pensiero che circolano in questi giorni sui Social Network e sui giornali nazionali, a mio avviso propagandistiche. Il primo pensiero, quello istituzionale, il solito ritornello stonato: "non si gira alle 03.00 di notte in tre su uno scooter, soprattutto in compagnia di un latitante". Specialmente non si forza un posto di blocco. (Giustissimo). Ma nel momento in cui, le stesse istituzioni devono assumersi le loro responsabilità, nel rilanciare crescita sociale e culturale di tali ambienti, vengono meno, uso una provocazione: quasi come se gli convenisse.

La Politica propagandistica - La Politica propagandistica, sfrutta direttamente ed indirettamente la buona fede e l'ignoranza di quella gente. Come riabilitare un delinquente? Sbatterlo in galera!. Come riabilitare un errore di gioventù? Toglierci i diritti civili, mica reintegrarlo nel tessuto sociale e lavorativo, No?!. Per l'amor di Dio, figuriamoci, non c'è lavoro per i laureati, si immagini per i poveri disgraziati, che a volte poveri non sono, anzi tutt'altro. sia chiaro!. Poi, per detta di qualche professorino, li premiamo pure? No, lasciamoli pure alla mercè dell'antistato,.. Conviene di più, altrimenti le cronache e l'informazione spazzatura vanno in cassa integrazione. 

L'altra scuola di pensiero - Ma c'è l'altra scuola di pensiero, quella che viene dalla strada. Quella scuola senza principio se non fatta di regole personali. Lì, tutto è consentito, appunto girare alle 03.00 di notte in tre su di uno scooter, senza casco e forzare, perchè no, anche un posto di blocco. L'arte dell'arrangiarsi. Sopravvivere alla giornata. Cercare di farsi strada controcorrente. Lo Stato è assente? Ci pensa l'antistato. Loro ci considerano di più, almeno per detta di quei pochi ignoranti che credono ancora a determinate metodologie preistoriche, peccato che il loro spirito di protagonismo li spinge oltre, innanzitutto a non leggere le percentuali dei tanti morti ammazzati, e del sovraffollamento delle carceri, dati che fanno rabbrividire la pelle. 

Chi vince? A vincere è lo Stato e l'antistato. A perdere sono ragazzini come Davide Bifolco, vittime di un sistema sbagliato ma che conviene. Ma a perdere non è solo Davide Bifolco, a perdere è anche l'appuntato dei Carabinieri che, pur facendo dignitosamente il proprio dovere, in un contesto sociale particolare, nella speranza di ritornare a fine servizio a casa sano e salvo, è caduto, disgraziatamente nella trappola dell'antistato.

 Ecco chi, secondo me ha ucciso Davide Bifolco, lo Stato assente e l'antistato che, quotidianamente si nasconde dietro ragazzini come Davide Bifolco.