Giampaolo Pansa: Andiamo alla guerra guidati da un gelataio
Immaginate di essere un turista straniero capitato a Roma in un pomeriggio qualsiasi, per esempio quello di venerdì 29 agosto 2014. Non sapete nulla del nostro paese, anche se qualche italiano brontolone vi ha spiegato che siamo in crisi nera. Voi vi domandate: sarà vero o no? Poi arrivate sulla piazza davanti a Palazzo Chigi e che cosa vedete? Un premier che ha convocato il carrettino di un gelataio rinomato, ha ordinato un grande cono di crema e limone e se lo mangia con soddisfazione golosa. Al tempo stesso si rivolge a una troupe televisiva e mette in scena il suo solito show: risate, battute, piroette. Con la faccia di sempre: un ganassa paffuto con i dentoni da latte all’infuori.
Si è comportato così Matteo Renzi, nel pomeriggio di venerdì. Siamo davvero in un clima da Bestiario. L’Italia rischia la deflazione, un pericolo peggiore dell’inflazione. Il capo degli industriali, Giorgio Squinzi, ripete per l’ennesima volta che la situazione è drammatica. E lo sconsiderato ragazzone fiorentino brandisce il gelato per rimproverare a un settimanale inglese, l’Economist, di averlo sfottuto con una vignetta in copertina. Per di più, lo fa gloriandosi della trovata di entrare a Palazzo Chigi leccando il suo cono.
Viene inevitabile chiedersi: ma Renzi lo è o ci fa? L’unica risposta che riesco a darmi è la seguente: sono bastati appena sei mesi e mezzo di governo per obbligare anche gli analisti più imparziali a domandarsi se lui sia il premier giusto per un’Italia alle prese con una condizione mai sperimentata prima, salvo l’epoca terribile delle Brigate rosse. Purtroppo per Renzi, e soprattutto per noi, si consolida il sospetto che sia “unfit”, inadatto all’incarico, come i perfidi inglesi avevano sentenziato per Silvio Berlusconi.
Perché “unfit”? Perché è un parolaio e non uno statista o almeno un normale uomo di governo. Perché sparacchia a tutta forza una serie infinita di programmi che non riuscirebbe a realizzare neppure in dieci anni di Palazzo Chigi. Perché continua a fingere che le emergenze difficili da affrontare non esistano. Un caso esemplare è lo sbarco inarrestabile dei clandestini in arrivo dall’Africa del nord. Renzi ha chiuso gli occhi su quanto avveniva dapprima in Sicilia e adesso nel resto del Mezzogiorno. Oggi non sa più da che parte voltarsi. E spera in un aiuto dall’Europa che quasi di certo non arriverà nella misura necessaria.
Ma in questa fine dell’estate 2014, Renzi si trova alle prese con un’altra emergenza ben più drammatica. È quella della Terza Guerra mondiale, evocata da Papa Francesco e combattuta in più di un territorio. I fronti rischiosi per l’Italia sono tre. La Libia, il paese di fronte a noi, sull’altro lato del Mediterraneo, che le milizie islamiste stanno conquistando. L’Ucraina, con la Russia di Putin che è pronta ad annetterla e minaccia l’Occidente, noi compresi, di non fornirci più il gas. E infine la polveriera tra l’Iraq e la Siria, un’area diventata la testa di ponte del Califfato islamico, un impero di orrori consumati all’ombra della sua bandiera nera.
A proposito di questo cancro da estirpare (Obama dixit), continuiamo a parlare di terrorismo, usando una parola insufficiente a spiegare quanto stia accadendo. Ci avvisa dell’errore un politico che stimo da molti anni: Marco Minniti, con una lunga esperienza nei governi D’Alema, Amato e Prodi. Oggi è uno dei sottosegretari di Renzi, con la delega ai servizi di sicurezza. In un’intervista a Daniele Mastrogiacomo, un nostro collega rapito nel 2007 in Afghanistan dai talebani, ci ha spiegato con chiarezza che cosa sia già oggi il Califfato islamico.
Siamo di fronte, dice Minniti, a una minaccia senza precedenti, per due motivi. Il primo è che dobbiamo opporci a un vero esercito con armi tradizionali, impegnato in una guerra simmetrica contro altri Stati. Ma anche in grado di condurre una guerra asimmetrica, con azioni di terrorismo difficili da contrastare. «Dovremo fare i conti con questi combattenti almeno per dieci anni» è la raggelante previsione di Minniti.
Il perché è chiaro. L’Isis, ossia l’Organizzazione dello Stato Islamico, sta dimostrando di saper costruire uno Stato. Amministra un territorio molto vasto. Controlla una quindicina di pozzi petroliferi e i relativi impianti. Grazie al petrolio incassa ogni giorno due milioni di dollari. Ma il denaro non gli manca. Quando i soldati del Califfo sono entrati nella città irachena di Mosul hanno svuotato i caveau delle banche, dove c’erano cinquecento milioni di dollari in contanti.
Ecco un esempio di capitalismo arcaico e feroce. Fondato su una fanatismo religioso che lo rende ancora più brutale. Le altre religioni e i civili che le praticano sono da distruggere. Non c’è pietà per i prigionieri catturati in combattimento. La loro sorte è la decapitazione o la crocifissione. Le donne vengono rapite e poi vendute ai bordelli del Medio Oriente.
L’Occidente non sa decidere quale strategia usare per opporsi all’avanzata del Califfato. Si discute se sia conveniente un’alleanza militare temporanea con il dittatore siriano Bashar Assad, che guida un regime sanguinario, responsabile di un’infinità di nefandezze. Il Bestiario non è in grado di affrontare problemi strategici di questa portata. Tuttavia vuole ricordare un precedente storico.
Quando si trattò di fermare e sconfiggere le armate di Hitler che voleva estendere all’intera Europa il dominio del nazismo, che cosa fecero due grandi democrazie come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti? Si allearono con Stalin, un tiranno comunista che aveva creato una dittatura bestiale, con milioni di fucilati o di uccisi nei gulag sovietici, responsabile di carestie e di orrori politici con un’infinità di morti. Ma senza l’Unione sovietica di Stalin, forse Hitler non sarebbe stato battuto e la storia dell’Europa, non avrebbe cambiato verso, per usare uno dei motti sbandierati da Renzi a proposito della nostra repubblica.
In questo scenario apocalittico, che rischia di irrompere nelle nostre vite con qualche sanguinosa operazione terroristica, un nuovo 11 settembre, l’Italia conta come il due di picche. Sotto questo aspetto il premier Renzi è davvero un personaggio patetico, che la questione del gelato sta mutando in una macchietta. Il presidente del Consiglio ha un solo interesse: allargare di continuo il proprio cerchio magico e collocare nei posti più delicati i suoi amici.
Volete una previsione? Prima o poi si sbarazzerà del ministro dell’Economia, il tecnico Pier Carlo Padoan, che mostra già una faccia stravolta dalla fatica di rincorrere tutte le spese progettate da Renzi senza curarsi delle coperture adeguate. Poi farà a meno di Graziano Delrio, un flemmatico privo del fisico da velocista che Matteo ama. E ora che ha collocato in Europa, in un incarico da nulla, la sua Federica Mogherini, dovrà decidere a chi affidare il ministero degli Esteri, una posizione molto delicata in quest’epoca connotata da un groviglio di guerre.
Il male minore sarebbe Lapo Pistelli, il vice ministro di oggi. Un amico di Renzi, poi suo avversario nelle primarie per il sindaco di Firenze, vinte da Matteo. Ma non è escluso che il premier si tenga l’interim degli Esteri. L’appetito vien mangiando. E infatti Renzi ingrassa a vista d’occhio. Stia attento ai gelati e alla voglia di potere personale. Prima o poi lo fregheranno.