Matteo Renzi, la leggina per strapagare gli amici
Il premier Matteo Renzi è molto attento alla questione dei salari. In particolare a quelli dei suoi più stretti collaboratori. Tanto da far ritoccare il decreto Madia sulla pubblica amministrazione più volte. Anche durante la conversione in Parlamento. Si sa, però, che il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi e così piano piano le presunte astuzie di Renzi stanno venendo a galla, insieme a qualche malumore. Infatti nell’esercito dei fedelissimi c’è chi sale e chi scende e non è facile accontentare tutti.
Il tema di questo articolo è un piccolo comma inserito a giugno nel decreto Madia per poter retribuire come dirigenti degli enti locali anche i collaboratori senza laurea, di cui il premier si è sempre attorniato, a costo di pagare il fio davanti alla Corte dei conti. Proprio per questo il cavillo ha pure un’altra utilità: sanare le irregolarità del passato e schivare l’eventuale mannaia dei giudici contabili. Secondo una fonte di Libero, assai vicina al Giglio magico renziano, il casus belli sarebbe stato lo stipendio di Marco Agnoletti, ex portavoce di Renzi sindaco e attuale capo ufficio stampa del nuovo primo cittadino fiorentino Dario Nardella.
Agnoletti, privo di titolo accademico, con Renzi era dirigente e con Nardella, più ligio alle regole, è stato degradato a funzionario (sebbene di categoria D3 e non C, come gli sarebbe toccato); un’altra delusione per il bravo e infaticabile portavoce, già escluso dal dream team che Renzi ha portato con sé a Palazzo Chigi. Per addolcirgli la pillola è stato chiesto ai tecnici di trovare il modo di non abbassargli lo stipendio di 78 mila euro lordi. Ma gli esperti, calcolatrice alla mano, hanno scoperto che per arrivare a quella cifra non bastava raddoppiare il salario base da funzionario con una cospicua indennità, ma che occorreva triplicarlo. Un’idea poco percorribile secondo i ragionieri interpellati da Nardella & c.
L’ AZZECCAGARBUGLI
A questo punto, giura la fonte di Libero, gli azzeccagarbugli di Renzi avrebbero ideato una norma ad hoc, aggiungendo all’articolo 11, comma 3 del decreto sugli Enti locali del 2000, nella parte in cui tratta la questione dei collaboratori, il comma «3 bis»: «Resta fermo il divieto di effettuazione di attività gestionale (per i collaboratori ndr) anche nel caso in cui nel contratto individuale di lavoro il trattamento economico, prescindendo dal possesso del titolo di studio, è parametrato a quello dirigenziale».
La soluzione del problema che da anni perplime il premier è ben nascosta in un contorto periodo ipotetico, dove nella protasi una manina ha inserito en passant la locuzione «prescindendo dal possesso del titolo di studio». Perciò anche chi non ha la laurea dal giugno scorso può essere ufficialmente pagato come un dirigente, nonostante le decine di sentenze che sino a oggi avevano stabilito il contrario. Con Libero Agnoletti, 40 anni e una carriera costruita all’interno del Pd, si schermisce: «Io mi stimo e mi ritengo importante ma che il governo faccia una norma per l’Agnoletti mi pare un po’ troppo».
La chiacchierata è franca, ma pacata e Marco a un certo punto ammette: «In questo momento storico la Corte dei conti rispetto al passato controlla tutti gli atti delle amministrazioni, cosa che per anni non ha fatto. Ha aperto fascicoli in tutta in Italia, anche contro il comune di Firenze. Per questo non c’è dubbio che senza il decreto Madia sarebbe stato più complicato darmi uno stipendio alto». In verità il «comma Agnoletti» non avrebbe risolto tutti i problemi, visto che Nardella non sembra pensarla come il predecessore in materia di collaboratori: «L’orientamento di Dario è quello di assumerne meno e pagarli un po’ meno di quanto facesse Matteo». Il portavoce non pare soddisfatto del nuovo corso o per lo meno di come l’ufficio del personale fiorentino abbia recepito la nuova legge: «C’è una norma che ti dice che io posso essere pagato come un dirigente e i miei uffici che cosa hanno fatto? Per sentirsi giuridicamente più tranquilli hanno preferito dire: “Tu nun c’hai la laurea e nun ti posso inquadrare da dirigente”, ma è una cazzata perché se no il governo non faceva una legge che dice il contrario. Così per arrivare a darmi più o meno la stessa cifra dell’anno scorso hanno preferito assegnarmi la paga base da funzionario e un’indennità più alta».
Quindi Nardella è stato un po’ troppo cauto? «Gli uffici. La legge fa paura a tutti. Io ho fatto riunioni con il personale visto che la questione mi riguardava. La legge dice che posso essere pagato come un dirigente, ma non c’è giurisprudenza e nessuno intendeva rischiare. Io non volevo mandare davanti alla Corte dei conti né Dario né qualche dirigente che firmava. Sebbene ci fossero diversi pareri che dicevano che avrebbero potuto darmi lo stipendio base da dirigente, altrimenti non si faceva una legge che diceva che io…». Il discorso è chiaro: il governo di Renzi ha messo a punto una norma ad hoc e a Palazzo Vecchio non se la sono sentita di applicarla in toto. E così hanno scelto una toppa peggiore del buco: un’indennità doppia dello stipendio base. Quasi una mostruosità contrattuale.
Agnoletti è sconfortato per l’attenzione riservata alla sua vicenda: «In Italia se mi fermo alla mia misera categoria e digito su Google “portavoce senza laurea”, posso fare la lista. Una volta mi sono messo a guardare così per scrupolo e ne ho trovati a quintali». Per esempio c’è quello del sindaco di Torino Piero Fassino, Giovanni Giovannetti, ex inviato del Messaggero, che prende 187 mila euro lordi. «All’inizio Fassino l’aveva fatto non solo dirigente, ma direttore, se no non si giustifica quello stipendio. Come siano riusciti a darglielo non lo so, visto che la base tabellare dei dirigenti è uguale per tutti. Significa che lui ha un’indennità da 100 mila euro; e gli amici contestano i miei 50…».
L’elenco non si ferma a Giovannetti: «È senza laurea non solo l’Agnoletti, ma anche quella che c’era prima dell’Agnoletti a Firenze». Nome? «Alessandra Garzanti». Altri esempi? «L’attuale portavoce del presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, uguale». Come si chiama? «Remo Fattorini. E l’ex sindaco Pd di Pistoia Renzo Berti è stato condannato in primo grado per falso ideologico (in realtà è stato richiesto il suo rinvio a giudizio per abuso d’ufficio ndr) perché ha nominato capo di gabinetto uno a cui mancavano tutti i requisiti di legge». La Corte dei conti per questo ha chiesto a Berti di restituire 240 mila euro. Esistono casi analoghi tra i sindaci di centro-destra? «Chi ci è rimasto in Italia di centro-destra?». E tra i presidenti di Regione? «Non sono così preparato, io conosco gli affari intorno a me».
Nonostante qualche parziale ammissione, Agnoletti non accetta che il comma «3 bis» abbia in filigrana solo il suo nome: «Tieni conto di una cosa che qui sanno un po’ tutti: nella precedente amministrazione (quella di Renzi sindaco ndr) di dirigenti senza laurea non c’era solo l’Agnoletti. Con Matteo ce n’erano tanti, c’era Giovanni Carta, c’era l’attuale sottosegretario all’editoria Luca Lotti che ha una laurea triennale e tu sai che per la legge non vale, c’era Bruno Cavini…».
L’INCUBO DEL PASSATO
E dunque? «Allora se vogliamo essere maliziosi, ma io non credo nemmeno a questo, posso immaginare che qualcuno a Roma pensi che cambiare questa norma serva a migliorare la situazione passata». In pratica a mettere Renzi al riparo dagli artigli della Corte dei conti che lo ha già condannato per aver arruolato nel suo staff, ai tempi in cui era presidente della Provincia, diversi non laureati, inquadrati, però, come dirigenti. Da sempre Matteo punta sui collaboratori a chiamata e a tempo determinato (i cosiddetti articoli 90 e 110) per l’ossatura della sua squadra di governo. Un rapporto che ricorda quello tra patronus e clientes dell’antica Roma. «Prima i 110 (quelli altamente qualificati ndr) potevano essere al massimo il 10 per cento della pianta organica, grazie al decreto Madia ora possono essere il 30 per cento. Ne sono sicuro, in questi mesi ho studiato molto» chiosa Agnoletti.
E gli articoli 90, i non dirigenti? «C’era una norma dell’ex ministro Renato Brunetta che poneva un tetto al loro monte stipendi. Ora quel limite è sparito. L’abolizione non era nel decreto legge, ma è arrivata con la conversione in Parlamento. Adesso tu (amministratore ndr) puoi spendere per i collaboratori quanto diavolo ti pare». La notizia è questa: nell’Italia arciclientelare di Renzi non serve laurearsi e perdere tempo con i master o magari accantonare una buona pensione con una vita di sacrifici. Molto meglio legarsi al carro di un politico e affidarsi alla sua prodigalità. Così, senza concorso.