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lunedì 30 giugno 2014

Pansa: povera Rai ai piedi di Floris, un cortigiano da Festa de L'Unità

Pansa: povera Rai ai piedi di Floris, un cortigiano da Festa de L'Unità

di Giampaolo Pansa


La tv di Stato pronta a cedere alle richieste esose del conduttore di "Ballarò". Per lui, la spending review non vale


Se davvero Matteo Renzi rimetterà all’onor del mondo le Feste dell'Unità, a cominciare dalla più grande, la mitica Festa nazionale, il primo a doversene rallegrare sarà Giovanni Floris. Il conduttore di Ballarò, programma cult della Rete Tre, creata per garantire anche al Pci un lotto della Rai, è il cortigiano perfetto per le cerimonie rosse. A scanso di equivoci, ricordo che la parola usata in questa circostanza non ha un significato sessuale come accade per la versione femminile. Secondo i più accreditati dizionari della lingua italiana, il cortigiano è il gentiluomo di corte del Principe, l’uomo di fiducia, un signore che sa stare al mondo e in molti casi assai importante.

L’importanza del Floris nel caos odierno della Rai, incalzata da Renzi affinché non butti via i milioni di euro incassati grazie al canone, la si è constatata in questi giorni, nei complicati dibattiti sui programmi da offrire nella stagione 2014-2015. Ci sarebbe stato ancora il Ballarò floriesco oppure no? Il rebus nasceva dalle richieste del conduttore. Floris voleva allargarsi, far durare Ballarò sino alla mezzanotte, in modo da coprire l’intera serata di martedì. Non solo: chiedeva di avere uno strapuntino sulla Rete Uno, ossia una striscia di dieci minuti tutti i santi giorni, per poter intervenire con tempestività sull’attualità politica quotidiana. Infine, ma su questo i gossip non concordano, pretendeva un aumento del proprio compenso.

A riprova che l’Italia è un paese davvero strano, questa faccenda del tutto irrilevante se messa a confronto con questioni che angosciano l’esistenza dei cittadini tartassati, ha tenuto banco sulla carta stampata per giorni e giorni. Le richieste di Floris verranno soddisfatte? Ballarò continuerà a imperare sulla Rete Tre? Le finestre saranno concesse o no? Mentre scrivo il Bestiario, sembra che non esista ancora una risposta ufficiale dal super comando di viale Mazzini. Ma gli esperti di faccende tivù giurano che il barometro tenda al bello per il conduttore. Avrà persino la striscia, sia pure sulla Rete Tre. Perché Floris risulta così importante per la tivù di Stato? I motivi sono molti e tutti diversi. Per essere equanimi, c’è il successo di Ballarò e la pubblicità che attira il talk show. Ma esiste una ragione assai più pesante che nasce nel marasma interno alla sinistra italiana. Qui siamo dentro un campo di battaglia caotico, dove sta accadendo di tutto. L’origine del caos è la comparsa sulla scena di Matteo Renzi, un politico dalla determinazione feroce, che si è proposto di cambiare verso all’Italia, ossia di riformarla da capo a piedi, costi quel che costi.

Ma per attuare la sua rivoluzione, il Grande Fiorentino ha bisogno di conquistare un potere che nessun presidente del Consiglio ha mai posseduto. Deve piazzare donne e uomini di assoluta obbedienza in tutti i posti che contano. E deve farlo mostrandosi sprezzante, autoritario, capace di mordere sul collo chi intralcia a sua marcia. In questi giorni di mondiali del calcio, qualche buontempone ha sostenuto che Renzi è tale e quale l’uruguayano Luis Suarez che ha morsicato Giorgio Chiellini. Anche gli incisivi del premier, quelli che mostra il perfido comico Maurizio Crozza, possono diventare un’arma micidiale. Senza che nessuna Fifa gli commini la sanzione adeguata.

Nel Ballarò del 13 maggio, in piena campagna elettorale, l’ardimentoso Floris, durante un’intervista alla fine del programma, ha battibeccato con Renzi a proposito dei tagli per 150 milioni da imporre alla Rai. In quel caso il prode Giovanni ha gettato alle ortiche le sue attitudini di cortigiano, rinfacciando a Renzi che quel salasso finirebbe per favorire la Mediaset del nefando Berlusconi. Il premier gli ha risposto attraverso Twitter ricordando che nell’Italia del 2014 tutti dobbiamo fare sacrifici e che la Rai non è proprietà dei conduttori di talk show televisivi.

Nel caso specifico, il Bestiario pensa che Renzi avesse mille ragioni. Ma tanto è bastato per regalare a Floris l’aureola di nemico del premier. Persino i bambini sanno che dentro il Partito democratico sono in tanti a masticare amaro per lo strapotere che sta accumulando il presidente del Consiglio. E per i suoi modi ruvidi di mettere nell’angolo chi gli sta sul gozzo e non è disposto a inchinarsi dinanzi al nuovo Uomo della Provvidenza. Per questo l’obiettore Floris è diventato il simbolo di una seconda Resistenza, non più contro i nazifascisti, bensì contro il Fiorentino pigliatutto.

Dopo il duetto a Ballarò, molti si sono chiesti se Floris non fosse un bersaniano, ossia un militante della fazione di Pier Luigi Bersani. In realtà il vero quesito dovrebbe essere il seguente: il clan bersanista esiste ancora o è soltanto il fantasma del tempo che fu? Eppure la domanda sul Floris adepto di Bersani circola di nuovo. A dimostrazione che una prova del declino italico è la nostra disgraziata abitudine a ripresentarci sempre gli stessi interrogativi e a strologarci sopra sino allo sfinimento. Infatti all’inizio di questo giugno 2014 è stata ricordata una faccenda accaduta nel 2013. Visto che nel piccolo mondo dei media siamo abituati a citarci tutti, la brava Marianna Rizzini del Foglio che ha fatto? In una paginata dedicata a Floris, «l’antipatico ecumenico di successo che si è messo in testa di sfidare il bullo Renzi», ha ripescato quello che aveva scritto Marco Travaglio a proposito di un’intervista del conduttore di Ballarò al Bersani ancora alla guida del Pd e nel pieno del potere. E adesso il Bestiario, per non apparire distratto, citerà la Rizzini che citava Travaglio. Dunque, Floris e Bersani parevano due compari che si ritrovano al bar dopo tanto tempo. E il più cazzaro dei due racconta all’altro che lo voleva la Juventus come centravanti, ma lui ha rifiutato perché merita di meglio. Una sola volta Bersani ha detto qualcosa di vero. Lui conosce chi sono i 101 parlamentari del Pd che, nella corsa a eleggere il nuovo presidente della Repubblica, hanno tradito Romano Prodi e il partito, però non intende svelare chi fossero. Floris ha lasciato pietosamente cadere la questione. Meglio non mettere troppo in imbarazzo l’ospite. Meglio servirgli assist spiritosi, del tipo: è più facile governare con Angelino Alfano o con Gianroberto Casaleggio?

Mi rendo conto che parlo di cose da nulla. Ma sul fondo di queste facezie si nasconde un problema mica da poco. Provo a ridurlo al nocciolo: perché nella televisione pubblica e privata la cultura rossa sopravvive anche dopo la scomparsa del vecchio Pci? Per quale motivo dominano sempre i Michele Santoro, i Giovanni Floris, i Fabio Fazio, le Lilli Gruber e i tanti loro compagnucci? Gente tosta che fa quello che gli pare, segando le gambe a chi non la pensa come loro? La risposta è una sola: perché gli altri, quelli che rossi non sono, si comportano come i bambini del Belgio durante la Prima guerra mondiale. Povere anime che, secondo mia nonna Caterina, non si accorgevano neppure che i tedeschi del Kaiser gli tagliavano la mano destra. Per impedirgli, una volta diventati adulti, di impugnare un fucile. Mi illudo che la Rete Tre rifiuti di ospitare le strisce quotidiane del cortigiano Floris, roba vecchia da destinare alle Feste dell’Unità. Piuttosto continui a mandare in onda i vecchi film in bianconero di Yvonne Sanson, la brunona dal corpo giunonico che turbò gli adolescenti degli anni Cinquanta come il sottoscritto.

PAGAMENTI, CAMBIA TUTTO Obbligo di Pos sopra i 30 euro Quando usare la carta o i contanti

Pos, dal 30 giugno bancomat obbligatorio per pagamenti sopra i 30 euro



Rivoluzione pos. Dal 30 giugno scatta l'obbligo del pagamento bancomat sopra i trenta euro. Da domani infatti in tutti i negozi, presso artigiani e professionisti scatta l’obbligo di accettare pagamenti tramite Pos. Il provvedimento, voluto dal governo, serve ad assicurare la tracciabilità dei pagamenti e di contrastare l'evasione fiscale, imprese e professionisti dovranno dare la possibilità ai loro clienti di effettuare pagamenti tramite bancomat, carte di credito o prepagate attraverso postazioni Pos. Sul fronte degli esercenti cambia tutto. Dal ristoratore al dentista, dall'idraulico all'elettricista se spendete più di 30 euro avete il diritto di pagare col bancomat. 

Come pagare - Naturalmente sempre che l'esercente sia fornito di Pos. E nel caso in cui non lo sia si può pagare in contanti. Per il momento infatti non è prevista alcuna sanzione. Insomma, se un elettricista viene a casa vostra, dovreste sperare che sia dotato di Pos. Diversi operatori telefonici e gruppi bancari stanno offrendo soluzioni tecniche innovative che consentono di sfruttare il proprio smartphone o tablet collegato ad uno speciale lettore di carte. Ma è ancora presto per un diffuso utilizzo. Insomma il rischio è che la rivoluzione Pos possa finire prima di cominciare. 

domenica 29 giugno 2014

LA RABBIA DELL'EX BADANTE ROSI "Da Bossi neanche una telefonata ma io sono pulita, gli altri..."

Rosi Mauro attacca Bossi:  "In due anni neanche una telefonata ma io..."


Sono più di due anni che tace il telefono dell'ex vicepresidente leghista del Senato Rosi Mauro. La Procura di Milano la ha assolta dopo quasi 30 mesi di indagini sul caso Belsito. La sindacalista del Sinpa, il sindacato una volta legato alla Lega, era accusata anche di aver comprato i diamanti dall'Africa con i soldi del partito, ha resistito alla vicepresidenza a palazzo Madama convinta della sua innocenza, come racconta in un'intervista a Panorama.it mentre tutto il partito, a partire dal segretario dell'epoca Roberto Maroni, le urlava di dimettersi.

Nessuna telefonata - Se ogni tanto squilla il telefono della Mauro è solo per le telefonate dei pochi veri amici e militanti leghisti che non se ne sono mai allotanati. Il cerchio magico ha esaurito il suo incantesimo, dopo che la Mauro ne è stata un pilastro indispensabile, tanto da farle guadagnare da Umberto Bossi quello che a suo modo era un complimento: "Tu per me sei un vero uomo" diceva alla sindacalista il Senatur, eclissatosi come tutti gli altri nomi noti della Lega, compreso il suo ex collega al comune di Milano e oggi segretario leghista Matteo Salvini: "Nessuno di loro mi ha chiamata - dice al sito di Panorama - né ora né in questi orribili due anni e due mesi". Che ci sia stata una regia dietro le accuse di Belsito alla "badante", dai più vista male anche per le origini salentine, lei stessa non può escluderlo: "Qualcuno dice che non è stato un complotto, io oggi continuo a dire: è stato un compltto. E questa è la cosa che mi provoca dolore".

Il cerchio - Secondo la Mauro il cerchio magico era un'invenzione giornalistica, è vero anche, le ricorda Panorama, che è riuscita a non dimettersi dalla carica in Senato fino alla fine, resistendo anche alla visione in diretta a Porta a Porta del congresso leghista con le ramazze verdi agitate da Maroni, con la presenza anche di Bossi piangente: "Mi dissi: addesso mi sveglio - continua la Mauro - perché questo è un incubo". Da vice di Renato Schifani ha concluso la legislatura, è stata espulsa all'unanimità dal partito e dopo poco il suo sindacato non solo l'ha riconfermata segretario, ma senza un voto contrario ha deciso compatto di non avere più nulla a che fare con il partito leghista: "E adesso attendo il decreto di archiviazione". Sorte diversa invece per Umberto Bossi, i figli Riccardo e Renzo e altre sei persone, per le quali è stato richiesto il rinvio a giudizio: "Ho letto le dichiarazioni in cui afferma: siamo innocenti - commenta la Mauro - Io dico: buon per loro, se hanno le prove dimostrerano la propria innocenza, come io ho dimostrato la mia".

L'ULTIMO DELIRIO GRILLINO E' SERVITO "Vietiamo le bistecche per legge"

L'ULTIMO DELIRIO GRILLINO E' SERVITO: "Vietiamo le bistecche per legge"


di Luciano Capone 


«Gli italiani hanno fame e voi gli avete tolto il pane agli italiani!», gridava con voce rotta dall’emozione Alessandro Di Battista del M5S contro Roberto Speranza del Pd in una lite recitatissima davanti alle telecamere a Montecitorio. Ora “Diba” (così lo chiamano i fan) agli italiani vuole togliere il prosciutto. Ma anche la mortadella, gli hamburger e il petto di pollo, insomma ogni tipo di carne. La crisi ha costretto le famiglie ad una drastica spending review sulla lista della spesa, ma non basta, bisogna eliminare del tutto la carne. L’obiettivo di Diba, che si definisce «dipendente del popolo italiano», non è quello di affamare i propri datori di lavoro, ma bloccare l’immigrazione. In un post su Facebook confessa la sua conversione al vegetarianesimo: «Vi scrivo dal Cairo, ho scoperto che alcuni scafisti che conducono i migranti verso le nostre coste sono ex-pescatori costretti al contrabbando di uomini dall’impoverimento del mare egizio».

Secondo Di Battista, mangiando pesce impoveriamo il mare e togliamo quindi lavoro ai pescatori che sono costretti, poverini, a diventare scafisti. La tesi è affascinante e va seguita, perché c’è dell’altro: «Le monocoltivazioni di cereali rivolte agli allevamenti intensivi sono una delle cause dell’abbandono delle campagne da parte dei contadini che si riversano nelle periferie degradate delle città per poi fuggire in direzione Ue o Usa». Inoltre mangiare l’arrosto non solo crea disoccupazione, ma, sempre a causa degli allevamenti intensivi, è responsabile «dell'effetto serra e di quei cambiamenti climatici che producono siccità e desertificazione». Non finisce qui, perché costate e insaccati provocano anche povertà, miseria e guerre per controllare le risorse idriche. Insomma per la pace nel mondo bisognerebbe bandire salami e bresaole.

Di Battista è colpito dalla folgorante illuminazione sulla via del Cairo, dove è in missione con la commissione Affari Esteri per incontrare il presidente egiziano Abdelfattah Al-Sisi. Si tratta del capo del governo contro cui Diba pochi mesi fa scagliava parole di fuoco per la repressione contro i Fratelli Musulmani: «Chi ha ordinato la strage va processato da organismi internazionali come è avvenuto in Serbia – scriveva su Facebook – Il governo dei militari va disconosciuto senza alcun distinguo. Nuove elezioni vanno indette al più presto». Uno si immagina che Diba le canti in faccia allo «stragista», ma quando se lo trova davanti fa la foto ricordo con il generale.

Non ce l’ha fatta, non se l’è sentita. E così fa anche con la carne: «Non riesco ad essere vegetariano del tutto. Riesco a rinunciare alla carne per mesi ma poi, puntualmente, ci ricasco». Diba è così, se deve salire sul tetto di Montecitorio lo fa ad occhi chiusi, ma non riesce a rinunciare a una fettina di culatello. Il pasionario pentastellato non cerca scuse, sa che è difficile per tutti privarsi di una bistecca, quindi c’è bisogno di una legge: «Mangiare meno carne è una scelta politica che ognuno di noi deve fare. E per questo il legislatore deve trattare urgentemente la questione». Questa non è una scelta individuale di Diba, ma una battaglia politica dei 5 Stelle. Chi invece è favorevole alle bistecche e all’allevamento si iscriva al Movimento 5 Stalle.



PASCALE E FELTRI CON ARCIGAY Una tessera per Francesca e Vittorio "Ecco perchè ci siamo iscritti..."

Pascale e Feltri si iscrivono a Arcigay



"Francesca Pascale e Vittorio Feltri annunciano la loro iscrizione all'arcigay poiché ne condividono le battaglie in favore dell'estensione massima dei diritti civili e della libertà". E' quanto si legge in una nota della segreteria di redazione de "Il Giornale". L'editorialista e la fidanzata del Cav hanno scelto di aderire all'associazione che difende i diritti degli omosessuali per mostrare la loro vicinanza al mondo omo. Francesca Pascale già qualche giorno fa aveva rilasciato un'intervista al Corriere del mezzogiorno in cui ha lanciato un vero e proprio appello al mondo del centrodestra perchè difenda i diritti del mondo omosessuale soprattutto sul fronte delle unioni civili.

La campagna di Francesca - "Lo dico da cristiana, da cattolica, da donna che vive nella condizione di coppia di fatto: sì alle unioni civili, sì al rispetto per la libertà individuale. Cristo ha detto: ama il prossimo tuo come te stesso. Non ha insegnato a fare differenza tra gay ed etero. Ecco, mi piacerebbe se il centrodestra aprisse i suoi orizzonti e affermasse: siamo liberali fino in fondo e non soltanto quando ci interessa o quando ci fa comodo. Va bene rispettare ciò che dice la Chiesa, ma la Chiesa deve rispettare anche la libertà di uno stato laico e non confessionale, altrimenti si sconfina nella discriminazione di chi non è cattolico", aveva detto la fidanzata di Silvio Berlusconi.

La scelta di Feltri - Anche Vittorio Feltri ha detto sì all'arcigay e spiega la sua scelta così: “Noi – rileva l’editorialista del Il Giornale – siamo per la libertà, senza discriminazioni, convinti che sia necessario superare i pregiudizi che generano equivoci, banalità, insulti noiosi e stupidi. Quando si tratta di trasformare i diritti in fatti concreti si trovano tutti in difficoltà. Renzi ha fatto tanti annunci e poi è finito in un sistema istituzionale che rende difficile qualsiasi iniziativa. Ogni volta che ci ha provato Berlusconi si è trovato il mondo addosso. Finché si tratta di chiacchiere – dice – sono tutti d’accordo, quando è l’ora di trasformarle in fatti concreti si incontrano gli ostacoli”. Per Feltri non è un problema l’iscrizione a un’organizzazione da sempre schierata a sinistra: “quando si tratta di diritti civili non esistono destra o sinistra. Il nostro – conclude – è un gesto simbolico, speriamo che contribuisca ad ottenere qualche risultato”.

sabato 28 giugno 2014

L'ITALIA CHE NON TI ASPETTI Il Sud più ricco del Nord: leggi perché

Stipendi, al Sud sono più alti



E’ un’Italia assolutamente diversa da quella solita: infatti è un Paese alla rovescia quello che viene fuori da una ricerca degli economisti Tito Boeri della Bocconi, Andrea Ichino dell’Istituto universitario europeo ed Enrico Moretti dell’Università californiana di Berkeley di cui dà conto il Corriere della Sera che sarà presentata domani 27 giugno a Roma dalla Fondazione Rodolfo Debenedetti.

Dalla ricerca emerge che le province più ricche sono quelle del Sud: al primo posto Caltanissetta, poi Crotone, Enna, Siracusa, e solo al sesto posto appare una del Nord come Pordenone. Le più povere sono tutte al Settentrione e al Centro: Savona, Roma, Imperia, Rimini, Genova. La domanda è : come mai? Il punto è che anche se il reddito disponibile delle famiglie è circa la metà di Milano e la disoccupazione è tre volte più alta, il costo della vita in Sicilia è di gran lunga più basso. Un esempio: un cassiere di banca ragusano con cinque anni di anzianità ha uno stipendio del 7,5% inferiore al suo collega milanese.

Ma se si tiene conto del differente costo della vita, allora si scopre che la sua busta paga è più alta del 27,3%. Non solo: per avere lo stesso potere d’acquisto del cassiere di Ragusa, il bancario di Milano dovrebbe guadagnare addirittura il 70% in più. Nel settore pubblico le differenze a favore dei dipendenti meridionali sono ancora più evidenti. Il salario di un insegnante di scuola elementare con cinque anni di anzianità è uguale in tutte le Regioni italiane: 1305 euro al mese.

Un retribuzione che però in base al diverso prezzo di indice al consumo vale 1051 euro reali a Milano e 1549 a Ragusa. Con un vantaggio del 47% a favore della città siciliana. Su banco degli imputati della ricerca salgono “l’apparente equità della contrattazione nazionale” che determina “distorsioni, inequità ed inefficienze”. Secondo gli autori bisognerebbe legare in modo più stretto le retribuzioni alla produttività con gli accordi locali che dovrebbero prevalere su quelli nazionali.

Spending review Madia: "Altri 60mila statali presto assunti"

Pubblica amministrazione: ""Assumeremo altri 60mila statali"


di Antonio Castro



«I nuovi ingressi saranno 60mila nei prossimi tre anni». Miracoli dell’Italia dell’era renziana: inizialmente le nuove assunzioni per gli statali, se sfogliamo la prima bozza dei decreti e ddl di riforma della Pubblica amministrazione, erano 10mila. Poi Matteo Renzi - in diretta tv e a favore delle telecamere dei tg - annunciava 15mila assunzioni. O meglio: all’interno della riforma ci sono «norme su ricambio generazionale, che permettono di creare 15mila posti con la modifica dell’istituto del trattenimento in servizio». 

Martedì mattina il sottosegretario Angelo Rughetti (che abbiamo provato ad intervistare ma era “impantanato” in commissioni parlamentari fino a sera), ha confidato a «Repubblica» che «i nuovi ingressi saranno 60mila nei prossimi tre anni». Chissà cosa ne penserà il commissario straordinario alla spending review, Carlo Cottarelli, che proprio oggi deve intervenire in commissione Affari costituzionali della Camera (audizione prevista per le ore 14), e che giusto a marzo aveva ipotizzato 85mila esuberi tra il personale della macchina statale. Certo, i travet ministeriali (ma ci sono anche i dipendenti di enti locali, scuola e sanità), dovranno andare in pensione, e poi - vista l’età media (la metà del personale ha oltre 50 anni, dati Aran; giugno 2013) - un cambio generazionale appare necessario. Se non fosse per quegli odiosi vincoli imposti dalla riforma delle pensioni (legge Fornero), che trattiene in servizio il personale pubblico e privato, salvo scappare anticipatamente e rimetterci però fino all’8% della pensione (anticipo con penalità del 2% annuo). 

Tra ministeri, ospedali, scuole, tribunali, caserme, enti locali e enti di ricerca lo Stato italiano è il più imponente datore di lavoro d’Italia: oltre 3.238.474 dipendenti a tempo indeterminato (Conto annuale del Tesoro 2012). Poi c’è la marea multiforme dei contratti a tempo, dei contratti atipici, dei precari insomma (altri 300mila persone), che rischiano di maturare la pensione (?), saltando da un contratto all’altro in attesa della promessa stabilizzazione. Se è vero che lo Stato datore di lavoro non paga molto - in media 34mila euro lordi, secondo i dati della Ragioneria generale dello Stato - c’è almeno la certezza della stabilità: insomma, il famoso posto a vita che tutti gli altri lavoratori si sognano (soprattutto di questi tempi).

Guadagneranno mediamente poco, ma tirando la somme si tratta di uscite fisse per 161 miliardi (circa il 10% del Prodotto interno lordo), e solo per gli stipendi. Il problema non è tanto quanto incassano, ma il numero. Tre milioni e mezzo di dipendenti ai quali aggiungere una marea di consulenti. Alcuni sono professoroni che concedono il proprio sapere a ministri e ministeri, enti locali e Asl, ma tanti, tantissimi sono “partite Iva”, precettate direttamente dai dirigenti per affrontare un problema, stendere un rapporto o per funzioni e competenze che nel “perimetro” della pubblica amministrazione non è possibile svolgere in altro modo che cercando professionisti esterni. 

La famosa mobilità («entro i 50 chilometri»), che in teoria dovrebbe risolvere il problema dei vuoti d’organico in alcune amministrazioni travasando da quelle strapiene di personale quello eccesso/esubero, è come un’aspirina per un malato intubato. 
La storia poi delle assunzioni che lievitano a seconda di chi ne parla, sembra aver fatto infuriare pure i solitamente placidi sindacalisti della Uil che per sono quelli più rappresentativi proprio nel pubblico impiego (insieme alla Cisl). 

A quasi due settimane dalla presentazione delle norme un po’ vaghe e confuse, tanto da aver fatto arricciare più di qualche naso anche al Quirinale, i sindacalisti (poco coinvolti nella riscrittura), ora cominciano ad averne abbastanza: «Le illusioni continuano», attacca a muso duro il segretario confederale della Uil, Antonio Foccillo, «infatti, il sottosegretario alla funzione pubblica sostiene, che ci saranno nuove assunzioni per 60.000 giovani in tre anni. Ogni giorno che passa si aumenta il numero: da 10.000 nel testo iniziale a 15.000 nella conferenza stampa, ai 60.000 di Rughetti». Foccillo, una vita passata nel mondo sindacale, non ne può veramente più: «Ma veramente qualcuno può immaginare che qualche anziano che va via o che l’esonero non concesso, o la mobilità possano cambiare la macchina amministrativa e favorire l’occupazione? Certamente è la fiera dei sogni. Hanno il coraggio di chiamarla riforma della Pa», ironizza il dirigente dell Uil: «Ma riforma di cosa? Se sono vere le anticipazioni dei mass media è un semplice affastellamento di norme inconciliabili fra di loro e di nessuna organicità». Certo i sindacati sono infuriati per non essere stati coinvolti, però ora a 2 settimane dall’annuncio televisivo servirebbe almeno un testo “vero” sul quale discutere, litigare, magari scannarsi. E invece no. «Qualcuno, ancora», prosegue Foccilo, «dovrebbe spiegare qual è il carattere d’urgenza di questo provvedimento». Che teme un voto di fiducia per far passare una riforma “affastellata”. «Magari», ipotizza malizioso il sindacalista, «forse per limitare ancora di più, anche in Parlamento, la discussione, si approverà il decreto con un voto di fiducia». E un sospetto, che le lungaggini nel partorire un testo pubblico siano dovute alle resistenze (e all’attività di riscrittura) per far contenti i papaveri ministeriali. Ma Renzi non doveva fare fuori i potenti mandarini padroni della macchina pubblica?