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giovedì 24 aprile 2014

Marò, l'Italia avvia la procedura internazionale

Marò, l'Italia avvia la procedura internazionale


di Chiara Sarra



Dopo due anni l'Italia chiede che il processo a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone non sia più bilaterale. Il ministro Pinotti: "Non accettiamo un processo indiano di cui non riconosciamo la validità"


Per Massimiliano Latorre e Salvatore Girone "si apre una fase nuova, la procedura internazionale". Lo ha detto Federica Mogherini annunciando che in merito è stata già inviata una nota verbale al governo indiano.

Si tratta di un primo passo che, se non darà esiti, sfocerà nel ricorso a strumenti internazionali, quali l’arbitrato. "Il 18 aprile scorso l’Italia ha inviato una nota verbale alle autorità indiane, la quinta in due mesi, ricevuta da Delhi il 21 aprile, in cui si riconferma il richiamo all’immunità funzionale dei due fucilieri di marina e al diritto internazionale", ha spiegato il ministro degli Esteri ricordando che "dopo due anni c’è ancora una divergenza sulla giurisdizione. Divergenza che ho potuto constatare anche all’Aja il 25 marzo scorso".

Con la nota l'Italia chiede "l’avvio di un exchange of views (uno scambio di vedute) sulla disputa e il ritorno dei marò in Italia". "Siamo usciti dall’alveo bilaterale, per innalzare il contenzioso a livello internazionale: siamo ancora aperti a discutere con gli indiani ma non abbiamo altra via che ricorrere all’arbitrato internazionale", ha aggiunto il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, "Non accettiamo un processo indiano di cui non riconosciamo la validità".

Viene "pensionato" quindi Staffan De Mistura, visto che la nuova fase "esaurisce quella in cui ha operato" l'inviato del governo "che voglio ringraziare a nome per la dedizione e l’instancabile impegno con cui ha seguito la vicenda". "Servono figure nuove", ha aggiunto la Mogherini, "Stiamo definendo un collegio di esperti, sotto la guida di un coordinatore".


Magia Renzi: Taglio Irpef, ecco tutte le tasse nascoste nel decreto

Magia Renzi: Taglio Irpef, ecco tutte le tasse nascoste nel decreto



Magia, ecco gli 80 euro in busta paga (almeno fino alla fine dell'anno e, si ribadisce, non per tutti, soprattutto non per gli incapienti e per le partite Iva, almeno per ora). Ma la magia di Matteo Renzi ha un trucco. Un odioso trucco: le tasse. Infatti nelle pieghe del provvedimento con cui è stato disposto il taglio Irpef spuntano una serie di prelievi "nascosti", ai quali insomma la stampa adorante e le televisioni innamorate dell'uomo da Pontassieve non hanno dato importanza. Una serie di balzelli di cui Libero ha dato conto negli ultimi giorni e che vengono riassunti con efficacia da Il sole 24 Ore.

Le imprese - Le tasse riguardano un po' tutti: imprese, famiglie, risparmiatori, banche. Si inizia dalle aziende che hanno già rivalutato i loro asset, e che ora si trovano a dover versare 600 milioni di euro entro giugno in un unico provvedimento. Si tratta della rivalutazione dei beni, una vera beffa contenuta in un comma della legge spuntato all'ultimo minuto: la rivalutazione è al 12% se il bene non è ammortizzabile e al 16% se ammortizzabile. La novità è che l'imposta dovuta allo Stato dovrà essere versata entro metà giugno. Viene così cancellato con un tratto di penna il pagamento in tre rate annuali di pari importo che erano state inizialmente previste nella legge di Stabilità.

Le famiglie - Dunque si passa alla stangata sulle famiglie, che sta nel maxi-prelievo sulle rendite finanziarie al 26% (che arriva al 35-36% considerando tutti i balzelli "periferici" sulle rendite). Una stangata che non risparmierà neppure gli interessi sui depoisiti e sui conti correnti, che vedranno il regime impositivo schizzare anche in questo caso al 26 per cento. Il prelievo sul conto in banca scatterà dal primo luglio. Il rincaro è pesantissimo: si ritorna a sfiorare il 27% che era stato abbassato dal governo Berlusconi, quando decise di rimodulare la tassa al 20 per cento.

Le banche - La terza tassa "nascosta" è quella che colpirà le banche, chiamate a versare entro metà giugno in un'unica soluzione più del doppio di quanto inizialmente stabilito dalla legge di stabilità per la rivalutazione delle quote detenute da Bankitalia. L'imposta schizza dal 12 al 26%, e dovrebbe assicurare all'Erario entro la metà di giugno 1,8 miliardi di euro. Un'operazione che per quanto possa apparire popolare - per una volta, pagano le banche (dopo il regalo ricevuto col decreto Imu-Bankitalia che disponeva la rivalutazione) - comporta alcuni rischi. Gli istituti, infatti, non hanno perso tempo e hanno fatto sapere che a causa del maxi-prelievo le possibilità che famiglie e imprese riescano ad ottenere dei prestiti si riducono ulteriormente.


Satira

Forza Italia: Sì Senato elettivo, ma con patto

Forza Italia: Sì Senato elettivo, ma con patto


Senatore Paolo Romani (Forza Italia)

Sì a un Senato elettivo, ma mantenendo il patto sulle riforme tra Berlusconi e Renzi che invece escludeva questa soluzione. Lo ha proposto in Commissione Affari costituzionali del Senato, durante il dibattito sulle riforme, il presidente dei senatori di Forza Italia, Romani, e il capogruppo in commissione, Bruno. Secondo Romani e Bruno sta emergendo in commissione una maggioranza trasversale in favore del Senato elettivo, mentre il ddl del governo prevede che esso venga eletto dai consigli regionali. Forza Italia rilancia poi sulla legge elettorale, primo punto del programma Renzi, ad oggi ancora irrisolto. 

mercoledì 23 aprile 2014

La Cgil ordina, Renzi obbedisce

La Cgil ordina, Renzi obbedisce


di Alessandro Sallusti


Sulla riforma del lavoro, cambiata dalla sinistra Pd, Alfano supera il ridicolo: non mi piace, ma lo voto. E Padoan adegua le tasse all'Ue solo se aumentano



Sono pochi i temi che devono segnare un solco invalicabile tra centrodestra e centrosinistra. Le politiche in materia di lavoro sono tra queste. La sinistra da una parte (quella del controllo dello Stato e dei sindacati) i liberali dall'altra (meno Stato, più libertà di impresa e di lavoro). Così sul fisco: la ricchezza e la proprietà privata (vedi le tasse sulla casa) beni del diavolo da tartassare per la sinistra, beni da difendere e proteggere come lievito del benessere generale per chi è di centrodestra. Su queste diversità si gioca la partita del consenso. È una partita che non ammette ambiguità, si deve stare con chiarezza da una parte o dall'altra. Chi sceglie la via mediana - un po' di qua è un po' di là - fa il male del Paese, avallando soluzioni intermedie che non servono a nessuno se non ad allungare la vita politica di chi le vara.

Sul tema del lavoro Renzi aveva speso molte parole, gradite anche in campo liberale. Il suo progetto di riforma non solo conteneva spunti per noi interessanti, ma per la prima volta sembrava scritto in autonomia dall'ala comunista della sinistra e dai sindacati. Ma ancora una volta l'uomo non è stato di parola. Al dunque ha fatto ancora una volta retromarcia correggendo il testo in modo da accontentare Vendola e la Cgil. Siamo alle solite: neppure Renzi è capace di riformare nei fatti quel mondo arcaico che è la sinistra italiana. Se la fa sotto, tanto da porre oggi la fiducia sulla legge del lavoro per evitare di cadere in Aula come una pera cotta. Camusso ordina, Renzi obbedisce. E obbedisce, e qui siamo tra il patetico e il ridicolo, pure il Nuovo centrodestra di Alfano, che dopo avere sbraitato si adegua e voterà sì come i soldatini stupidi. Col voto di oggi Alfano mette nelle mani della Cgil la sopravvivenza delle piccole e medie imprese per mantenere le sue modeste poltrone di governo.

Questa vicenda del lavoro, sommata alla truffa della nuova tassazione sulle rendite finanziarie, mette una pietra tombale sulla remota possibilità che Renzi potesse in qualche modo, prima o poi, diventare un punto di riferimento anche per noi liberali. Non è e non potrà essere l'uomo che si stava cercando per sostituire un domani Silvio Berlusconi. A lui, come ad Alfano, l'unico lavoro che interessa è quello del politicante, non avendo entrambi (e non è un caso che si siano alleati) mai lavorato un giorno in vita loro.

L'sms di Alfano che salva Renzi: "Non fate cadere il governo"

L'sms di Alfano che salva Renzi: "Non fate cadere il governo"


di Sergio Rame

Scontro tra Pd e Ncd sul decreto Lavoro. Ma Alfano allunga la vita al governo Renzi (per non perdere la poltrona)



In un lungo vertice alla Camera, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti prova a mediare tra le posizioni del Pd e di Ncd, ma il governo si vede ugualmente costretto a blindare il provvedimento con la fiducia. Ncd e Sc annunciano che diranno sì per un senso di responsabilità ma già promettono battaglia al Senato. Tocca al ministro dell'Interno Angelino Alfano salvare la vita a Matteo Renzi e prolungare l'agonia all'esecutivo. Lo fa con un sms inviato ai propri capigruppo: "Sarò in aereo per un paio d'ore, evitate nel frattempo di fare cadere il governo". Sventa così una crisi di governo: le truppe di Ncd serrano le fila, chinano il capo e rimandano le proteste a Palazzo Madama. "#angelinostaisereno", assicura Nunzia De Girolamo scimmiottando Renzi. Il governo è salvo (per ora), le poltrone dei ministri Ncd pure.

"Sui dettagli discutano quanto vogliono, ma alla fine si chiuda l’accordo", dice il premier. Che assiste da Palazzo Chigi allo scontro tutto interno alla sua maggioranza. Le polemiche, osserva in serata in un’intervista al Tg1, sono "tipiche di un momento in cui si fa campagna elettorale". Ma, incalza, "con rispetto della campagna elettorale, noi vogliamo governare". E "non è accettabile non affrontare il dramma della disoccupazione. Stiamo discutendo se le proroghe debbano essere cinque o otto, sono dettagli. Con tutto il rispetto per chi deve fare campagna elettorale, noi pensiamo agli italiani". Il governo è assolutamente convinto dell’urgenza di condurre in porto il testo varato un mese fa in Consiglio dei ministri. E verso l’ora di pranzo convoca un vertice alla Camera con i capigruppo della maggioranza, cui partecipano i ministri Maria Elena Boschi e Giuliano Poletti.

Nel pomeriggio è previsto l’inizio delle votazioni in Aula ma Ncd e Sc alzano barricate contro il testo uscito dalla commissione: ad alfaniani e montiani non sono gradite le modifiche apportate dal Pd, con il via libera del governo, al testo uscito dal Cdm. E così il ministro del Lavoro si presenta ai capigruppo con una proposta di mediazione in tre punti. Poletti propone di trasformare in sanzione pecuniaria (come chiede Ncd) l’obbligo di assunzione introdotto per i datori di lavoro che superino il tetto del 20% di lavoratori a termine. E propone che sia possibile scegliere tra la formazione per l’apprendistato aziendale o regionale. "Ncd - racconta Maurizio Sacconi - sarebbe favorevole alla proposta Poletti". Ma il Pd chiede a quel punto che si riducano da cinque a quattro i rinnovi possibili per i contratti a termine senza causale. "Avete ragione, abbiamo ragione - dice Poletti a Sacconi in una telefonata - vorrà dire che cambieremo il testo...". Nel frattempo, però, gli alfaniani devono calare le braghe.

Il braccio di ferro va avanti per due ore e mezza. Poi, quando in Aula sta per iniziare la seduta, al governo non resta che prendere atto che una mediazione non è possibile. La discussione sulle modifiche si riaprità al Senato. Il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi annuncia la fiducia, mentre viene bocciata per appena 22 voti la richiesta del M5S di riportare il testo in commissione. Ncd depone le armi: "Voteremo la fiducia per senso di responsabilità ma ci impegneremo al Senato affinchè questo testo migliori ancora". Sacconi si dice ottimista che al Senato le richieste di Ncd saranno accolte, per i diversi equilibri nella maggioranza. Ma se gli alfaniani accusano la sinistra Pd di essersi imposta e impedire una mediazione, Cesare Damiano replica: "Gli emendamenti in commissione sono stati sostenuti da tutto il Pd, con il via libera del governo". Ad ammettere quello che Alfano e i suoi si rifiutano di vedere ci pensa il presidente del deputati azzurri Renato Brunetta: "Il governo non ha più la maggioranza e i numeri per governare".

Renzi, trappola sui risparmi. La tassa sulle rendite finanziarie può essere retroattiva

La tassa sulle rendite finanziarie può essere retroattiva 

di Tobia De Stefano 



Nei meandri delle coperture trovate da Renzi per sbandierare la sua #svoltabuona si nascondo tre notizie per i risparmiatori italiani. La prima è positiva e prevede la possibilità (fornita dalla legge) di «scansare» l’aumento delle aliquote su azioni, fondi, obbligazioni, Etf ecc. dal 20 al 26% a partire dal prossimo primo di luglio. La seconda è che questa eventualità (in gergo tecnico si chiama affrancamento) possa rivelarsi una grande trappola. La terza, invece, è un dato di fatto: a oggi non è stato trovato nessun meccanismo che eviti la retroattività del salasso che andrà a gravare anche sui guadagni maturati negli scorsi anni. Insomma, è il caso di star attenti e non farsi ingannare dalle soluzioni in apparenza più vantaggiose.

Questo il ragionamento. Nel giro di pochi anni (il precedente aumento risale al 2012 con Monti) la tassazione sui capital gain di quasi tutti i prodotti del risparmio (sono esclusi i titoli di Stato) è passata dal 12,5 al 26%. Più che raddoppiata. Lo Stato, così, attraverso la procedura dell’affrancamento ha voluto offrire al contribuente la possibilità di scegliere cosa gli convenga fare. Se lo valuta opportuno può realizzare una sorta di cessione figurativa della partecipazione senza smobilizzare i titoli cha ha in portafoglio. Risultato: le plusvalenze saranno assoggettate all’imposta sostitutiva vigente fino a quel momento, cioè il 20%, mentre per il periodo successivo il nuovo valore di carico di azioni, obbligazioni ecc. sarà uguale a quello che il mercato ha rilevato al 30 giugno 2014. Attenzione, però, perché il termine ultimo per agganciarsi all’operazione di affrancamento è il 30 di settembre. Questo significa che chi arriva a ridosso della scadenza vedrà applicarsi la nuova aliquota del 26% sul plusvalore che matura a partire dal primo luglio.

Avvertenze a parte la norma ha una spiegazione molto evidente. Da una parte il legislatore ha voluto evitare vendite in massa nei giorni precedenti all’entrata in vigore delle nuove aliquote e dall’altro ha offerto una via d’uscita, come del resto era successo con il precedente rialzo di fine 2011, rispetto alle evidenti penalizzazioni nel passaggio da un regime più favorevole a uno sfavorevole.

Detto questo, resta da evidenziare che si tratta di un’operazione molto rischiosa. E qui arriviamo alla trappola nascosta. Potrebbe succedere, infatti, che le plusvalenze al primo di luglio diventino delle minusvalenze nei mesi a seguire. E che quindi per eccesso di zelo anche il più oculato dei risparmiatori si trovi a pagare il 20% per cento di tasse su un guadagno che al momento dell’effettivo smobilizzo dell’investimento non c’è stato.
Morale della favola: se entro il 30 settembre il risparmiatore decidesse di non avvalersi del cosiddetto affrancamento si troverà a pagare nei mesi a venire una tassa retroattiva sui guadagni passati (perché il 26% vale anche per i guadagni maturati negli scorsi anni) senza che sia previsto nessun meccanismo correttivo per neutralizzare l’effetto inflazione che in alcuni casi potrebbe anche azzerare i guadagni. Se invece esercita l’opzione che gli garantisce il legislatore rischia di perdere i
suoi soldi se il titolo in futuro dovesse subire un brusco calo.

Una grave distorsione del sistema che va ad aggiungersi a quelle già evidenziate a più riprese da Libero negli scorsi giorni. Succede, infatti, che se sei un socio qualificato (nelle società per azioni i titolari di oltre il 20% dei diritti di voto nelle assemblee ordinarie, percentuale che scende al 2% per le società quotate) non sei soggetto alle nuove aliquote volute da Renzi, ma paghi l'Irpef solo sulla metà di quanto hai guadagnato (per la precisione il 49,72%). E così per un dividendo di 1.000 euro lordi, il socio non qualificato pagherà 260 (il 26% di 1.000), mentre quello qualificato si fermerà al massimo a quota 213,8 euro, considerando che i mille euro di guadagni vanno divisi per due e poi assoggettati all'aliquota massima del 43%.

Del resto, è sbagliato considerare la nostra tassazione sul risparmio troppo bassa rispetto alla media dei Paesi Ocse. Nel fare questi calcoli, infatti, si omette di dire che di recente abbiamo introdotto anche una mini-patrimoniale sugli investimenti che nel 2014 è passata dall’1,5 al 2 per mille all’anno. Il famoso bollo che non si applica sui guadagni, ma sul capitale. Che sommato agli altri balzelli porta, nei casi peggiori, il carico fiscale sul risparmio poco sotto il 50%.

Il "trucco" di Padoan: adegua le tasse alla Ue solo se sono più alte

Il "trucco" di Padoan: adegua le tasse alla Ue solo se sono più alte


di Gian Maria De Francesco


Il ministro difende la nuova aliquota sulle rendite: è nella media europea. Ma fa finta di non vedere il minor carico fiscale globale degli altri Paesi



L'innalzamento della tassazione sulle rendite finanziarie al 26 per cento? «È un adeguamento alla media europea e non ci risulta che l'attrattività finanziaria dell'Italia possa venire intaccata». Parola del ministro Pier Carlo Padoan che ieri a Radio anch'io ha decantato le magnifiche sorti e progressive in tema di fiscalità del governo di Matteo Renzi. Più che dell'Italia il titolare del dicastero di via XX Settembre ha parlato di un luogo dell'immaginario collettivo. «Siamo in una situazione in cui gli investitori guardano con estremo interesse all'Italia», ha detto riferendosi ai esempio ai titoli di Stato (ieri nuovi minimo per lo spread tra Btp e Bund), alle dismissioni dei beni pubblici (sempre in cantiere) e, in generale, agli investimenti.

Ma le cose stanno veramente così? O, piuttosto, quella che viene raccontata è una storia che differisce molto dalla realtà? Partiamo proprio dall'adeguamento dell'aliquota sulle rendite finanziarie (Btp esclusi, sui bond governativi il prelievo resterà al 12,5%) dal 20 al 26 per cento. L'obiettivo del governo è rastrellare almeno 2,5 miliardi (2,9 miliardi le stime iniziali) per finanziare in parte il taglio dell'Irap sulle imprese. Come ha detto l'ottimo Padoan si tratta di un «adeguamento alla media europea». E, in effetti, a ben guardare i principali Paesi del Continente il margine per aumentare il «drenaggio» ci sarebbe. In Germania la tassazione è al 26,375%, in Francia si arriva addirittura al 34,5%, mentre in Gran Bretagna e in Spagna il prelievo varia in funzione del reddito e può arrivare a un massimo rispettivamente del 28 e del 27 per cento.

Inutile baloccarsi sul valore costituzionale del risparmio, sul fatto che si tratta di somme che «sopravvivono» ad altre forme di tassazione, eccetera eccetera. Proviamo a ribaltare la prospettiva: chi investe in azioni, titoli e quant'altro è un ricco renditiere che va penalizzato, mentre è più importante la salvaguardia del lavoro e dei suoi frutti, altra architrave costituzionale. Ebbene, come ha reso noto l'Ocse, circa due settimane fa l'Italia è uno dei Paesi più ostili al lavoro. Non solo perché non ci sia ma perché il cuneo fiscale sui dipendenti con due figli è tra i più elevati nel G20.

Lasciamo perdere isole felici come la Svizzera (9,5%), gli Stati Uniti (20,3%) e il Canada (18,7%), bisogna chiedersi perché un nucleo familiare con due bambini a carico in Italia nel 2013 si sia visto «rastrellare» il 38,2% dell'imponibile contro il 33,8% della Germania, il 34,8% della Spagna e il 27% della Gran Bretagna. Aliquote totali che, secondo il Centro studi di Confindustria, salgono al 42,3% per il nostro Paese che in questa lettura sopravanza pure la Francia (38,6% a fronte del 41,6% stimato dall'Ocse). Probabilmente per il ministro Padoan «l'adeguamento alla media europea» è un concetto variabile un po' come le targhe alterne. D'altronde, i tentennamenti sull'estensione del bonus da 80 euro anche a incapienti e lavoratori autonomi o sul rinnovo della cassa integrazione in deroga chiariscono l'impotenza dinanzi al Leviatano dei conti pubblici.
Senza contare che nella classifica della Banca mondiale per aliquota totale sui redditi delle imprese l'Italia ha un primato assoluto: il 65,8% contro il 64,7% della Francia e il 56,8% della Spagna. La Germania è al 49% e la Gran Bretagna al 34. Anche in questo caso i modelli da seguire devono essere ben altri se il promesso taglio dell'Irap verrà effettuato a rate.

E così ai risparmiatori (ma anche alle imprese) toccherà sorbirsi da luglio l'aumento delle aliquote al 26%. Una mossa che scoraggia il risparmio, già fiaccato dalle «bravate» dei governi passati come la Tobin Tax (adesso allo 0,1%) sulle transazioni finanziarie voluta da Mario Monti per compiacere Angela Merkel e l'imposta di bollo allo 0,2% sui conti titoli nonché i 34,2 euro (100 per le persone giuridiche) sui conti correnti tradizionali e di deposito, eredità del governo di Enrico Letta. Sì, è proprio tutta una questione di «adeguamento alla media europea». Detta così non sembra neanche una brutta cosa.