Vittorio Feltri: "Perché il bullo Beppe Grillo è caduto"
di Vittorio Feltri
Grillo ha commentato la catastrofe elettorale del Movimento 5 stelle con una frase sorprendente: la nostra - ha detto - è una lenta crescita. In realtà è stato un rapidissimo crollo in un momento che pareva favorevole ai grillini, sempre presenti nel dibattito politico. Vari editorialisti sostengono che il terreno amministrativo non è mai stato favorevole ai pentastellati.
Anche questo non è vero. Lo scorso anno infatti a Roma - non a Velletri - essi vinsero con le mani in tasca, imponendo con largo margine di consensi Virginia Raggi in Campidoglio. Identico successo registrarono a Torino dove batterono di brutto Fassino eleggendo la Appendino. Due sindaci che in maniera diversa si sono rivelati incapaci di ricoprire decentemente il ruolo assegnato loro. Probabilmente la sconfitta di ieri è dovuta in buona parte al sostanziale fallimento delle due signore insediatesi tra l’entusiasmo generale.
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Se aggiungiamo che Grillo ha perso l’appoggio del defunto Casaleggio senior e che si è distinto per bullismo, guidando con mano malferma i suoi epigoni, da Di Maio a Di Battista (per tacere altri nomi) non mi pare difficile capire le ragioni della catastrofe alle urne. Può darsi che il partito fondato dall’ex comico si riprenda, nessuno può saperlo, ma è un dato che da quest’ultima consultazione esso ne sia uscito con le ossa rotte. Il centrodestra invece esulta perché è andato al ballottaggio in 77 comuni, alcuni importanti. Auguriamo a Berlusconi che ciò sia il preludio di un prossimo trionfo alle politiche. Tuttavia nei suoi panni saremmo cauti. D’altronde Silvio non può ignorare che Forza Italia non è in grado di sfondare se non si allea con Salvini e con la Meloni.
Bisogna che questo tipo di coalizione rimanga intatto, il che è difficile (non impossibile), anche in futuro, quando si tratterà di rinnovare il Parlamento. Il leader dei nordisti è stato chiaro: per cementare l’alleanza è necessario che si adotti il sistema maggioritario, altrimenti non se ne farà niente. Identico problema si presenta al centrosinistra. Per ora il Pd è ancora in vantaggio, però non in misura tale da garantire una maggioranza di governo. Quindi anche Renzi bisogna che rimetta insieme i cocci progressisti se intende essere competitivo. Siamo alle solite. La politica italiana o rinuncia alla propria vocazione a spezzettarsi, e si rassegna a trovare unità di intenti in gruppi solidi e compatti, oppure seguiterà a generare caos e incertezze.
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