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giovedì 18 maggio 2017

PRIMA DI FARE IL NUMERO... Bechis incastra Matteo Renzi La telefonata con il babbo? Messinscena: ecco la prova

Renzi ha telefonato al padre per farsi ascoltare dai magistrati: ecco perché...


di Franco Bechis


Franco Bechis
Vicedirettore Libero

Ci sarà una ragione per cui il nuovo slogan del Pd è “Mamme”, come ha annunciato Matteo Renzi all’assemblea del partito che lo ha rieletto segretario. Una ci è evidente: la nuova campagna politica non avrebbe mai potuto essere centrata sui “Papà”. Perché quello è il lato debole del Pd: tutti i guai vengono dai babbi. Un po’ se l’è cercata lo stesso Renzi, che ha fondato la sua scalata ai della politica sul parricidio (la rottamazione). Un po’ è rovinata addosso.

Babbi diversi, ma stessi guai. Colorito, irruento, linguaccia che non si tiene a freno, sempre a caccia di nuovi affari e spesso di nuovi guai babbo Tiziano Renzi. Grigio, spentino, mai una parola Pierluigi Boschi, babbo di Maria Elena. Gioca a fare il banchiere al piano nobile di Etruria, e dei banchieri scimmiotta la riservatezza. Ma lontano dai riflettori scopri che in lui c’è il babbo Renzi che non ti saresti aspettato, pronto a brigare, cercare soluzioni, vantare appoggi, strafare e combinare guai.

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Due babbi che sono una spina nel fianco del Partito democratico. E due figli al vertice del partito che ne pagano pegno. In modo diverso: Maria Elena si è immolata al babbo, lo ha difeso e ha cercato di salvarlo, alla fine ne ha dovuto condividere il destino nel silenzio. Il solo modo per non provocare guai è apparire il meno possibile, non alzare troppo la testa che i rischi di una nuova mazzata si moltiplicano, come si è visto nuovamente su Etruria.

Per Renzi non è così: stesso sangue paterno. Non può stare sotto il pelo dell’acqua ad aspettare. Prende babbo, lo difende, e se lo vede finire nei guai lo strattona, lo rimprovera, quasi lo scarica. Poi pacca sulla spalla e via, perché la caciara è un buon anestetico.

«PENA DOPPIA»
Ricordate quando scoppiò il caso Consip, fu arrestato Alfredo Romeo, uscirono intercettazioni e informative su Tiziano Renzi, questi si precipitò in procura di Roma per essere interrogato?

Quella stessa sera (il 3 marzo) il figlio Matteo era ospite da Lilli Gruber in televisione a dire: «Se mio padre è davvero colpevole deve essere condannato di più degli altri per dare un segnale, con una pena doppia». Fece scalpore quel «pena doppia» detto in pubblico: il figlio scaricava il padre. Lo ha fatto anche ieri, quando è stata pubblicata da Marco Lillo sul Fatto quotidiano l’intercettazione di una telefonata fra babbo Renzi e figlio che precedeva di ventiquattro ore quella ospitata dalla Gruber. Anche qui il figlio fa un ruvido shampoo al padre che conclude con l’invito: «Babbo devi dire tutta la verità ai magistrati!».

Erano le 9 e 45 del 2 marzo. Matteo quel mattino si è letto tutti i giornali e tutte le agenzie. Non possono essergli sfuggite le intercettazioni al telefonino del babbo. Sapeva dunque che quel telefonino era intercettato. Non solo, i giornali avevano pubblicato anche parti della informativa che davano perfino un suggerimento tecnico. Pagina 541: « (…) al riguardo Bocchino suggerisce a Romeo di fare le chiamate attraverso whatsapp in quanto non sono captabili». Pagina 515, e qui scrivono i carabinieri: «Il Russo effettua una chiamata proprio all’indirizzo del Renzi Tiziano per notiziarlo di essere arrivato sul luogo di un appuntamento precedentemente fissato (ovvero concordato utilizzando applicativi non intercettabili quali ad esempio whatsapp)».

Insomma, il figlio aveva appena letto che il padre era intercettato e che se avesse voluto parlargli in modo riservato, avrebbe dovuto telefonargli via whatsapp. Invece sceglie di parlare a un pubblico più ampio, che comprende sicuramente gli appuntati in ascolto e successivamente chiunque (anche la stampa) avesse potuto avere il brogliaccio di quell’intercettazione fra le mani.

SBAVATURA APPARENTE
Infatti Renzi figlio non sbaglia una parola in quella telefonata. Invita il padre a dire la verità ai magistrati mostrando di fare il suo dovere. Lo pungola, finge di non credergli. Gli dice che davanti ai pubblici ministeri non deve raccontare balle come aveva fatto al povero Luca Lotti (tradotto: nel caso Consip Luca è vittima delle bugie paterne).

C’è perfino una strizzatina di occhio a Papa Francesco. Pochi giorni prima il vescovo di Mostar aveva bollato come «false» le apparizioni della Madonna a Medjugorje, e Bergoglio aveva commissariato il santuario. Matteo si lascia scappare con il babbo: «Devi ricordarti tutti gli incontri e i luoghi, non è più la questione della Madonnina e del giro di merda di Firenze per Medjugorje».

Apparentemente c’è una sbavatura nella telefonata. Babbo Tiziano cerca di ricordarsi se mai in vita sua aveva incontrato Romeo come si dice. Sì, ecco: un ricevimento al Four Season in cui c’era anche la moglie, mamma Lalla Bovoli. Renzi figlio lo ferma: «Non dire che c’era mamma altrimenti interrogano anche lei». Una scivolata per uno che sa di essere intercettato?

Macché: il papà è indagato, ha il diritto a dire quel che vuole e quindi consigliarlo non è istigazione ad alcun tipo di reato. E poi il ricevimento al Four Season era del 2012: all’epoca Alfredo Romeo non stava correndo per la super commessa di Stato, non c’era nessun renziano alla guida della Consip perché Renzi figlio non era ancora presidente del Consiglio, né segretario del Partito democratico (aveva appena perso le primarie contro Pier Luigi Bersani).

Insomma ai magistrati quell’incontro non sarebbe interessato nulla, non avrebbero interrogato proprio nessuno. Ma intanto a chi oggi legge quel passaggio scappa: «Che bravo a difendere così la mamma...». Deve essere nato quel giorno il nuovo slogan del Partito democratico: “mamme...”.

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