Venezia, chiudono la moschea dei jihadisti. Gli islamici: "Datecene un'altra o blocchiamo la città"
di Tommaso Montesano
Se entro mercoledì prossimo il Comune di Venezia non avrà individuato un luogo transitorio dove consentire ai fedeli della comunità islamica bengalese di pregare il venerdì, i musulmani scenderanno in strada. «Siamo cittadini come tutti: o ci danno una sede o fermeremo i ristoranti di Venezia, Fincantieri, le scuole», minaccia il portavoce della comunità bengalese, Kamrul Syed.
All'origine della protesta c'è la chiusura, in calendario domani mattina, della sala preghiera di via Fogazzaro, in cui si radunavano anche alcuni kosovari della cellula jihadista scoperta nei giorni scorsi. La comunità islamica non l'ha presa bene. «Se non ci forniscono una soluzione immediata, venerdì scenderemo in strada: non andremo al lavoro, manifesteremo prima in via Fogazzaro, poi in stazione, poi bloccheremo treni e tram. Siamo migliaia. Lo faremo venerdì, poi il venerdì dopo e se non basta tutti i giorni», fanno sapere gli esponenti della comunità bengalesi. «Siamo cittadini tanto quanto quelli che protestano per il rumore», sostiene il portavoce Kamrul Syed. Quindi «il sindaco deve pensare a loro come a noi. Mercoledì devono darci un'alternativa». In caso contrario, inizierà la mobilitazione.
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Il clima è teso. Mercoledì è in programma una riunione tra Polizia locale, Comune e Regione per trovare una soluzione. Simone Venturini, assessore alle Politiche sociali di Venezia, ha replicato via Facebook: «Scioperino pure, non accettiamo ricatti né velate minacce. Le regole valgono per tutti, anche per la comunità islamica. I toni usati dai rappresentanti musulmani in questa vicenda sono inaccettabili. Senza rispetto reciproco e umiltà non ci può essere dialogo».
Il Comune di Venezia sostiene che in otto anni di tempo più una proroga, la comunità islamica poteva attrezzarsi e individuare una nuova sistemazione. I bengalesi, invece, pensano che l'amministrazione, una volta decisa la chiusura, dovrebbe mettere a disposizione un luogo transitorio per continuare a praticare il culto. Una richiesta ritenuta irricevibile dal Comune. «Devono sacrificarsi anche loro in qualche modo. Hanno avuto una proroga, sapevano di dover ottemperare, adesso accelerino il passo», taglia corto Giorgio D'Este, assessore alla Sicurezza.
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