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mercoledì 11 gennaio 2017

Renzi, così vuole ribaltare i vertici Pd: al (vecchio) big dà una poltrona / Foto

Renzi, così ribalta i vertici del Pd: a questo (vecchio) big regala una poltrona


di Elisa Calessi



Sarà un ritorno senza gran clamore, per quanto possibile. L'altro ieri, per dire, ancora non si sapeva se Matteo Renzi dormirà al Bristol Hotel di piazza Barberini, dove era di casa prima di trasferirsi a Palazzo Chigi, o se sceglierà un altro albergo per evitare gli appostamenti dei giornalisti. In ogni caso si fermerà a Roma solo per qualche giorno. Giovedì dovrebbe già far ritorno a Pontassieve.

Non sono previsti appuntamenti ufficiali, men che meno pubblici. Ma i dossier di cui dovrà occuparsi sono noti: legge elettorale e riorganizzazione del partito. Sulla prima in teoria sono sul tavolo tante ipotesi: dal Mattarellum a vari tipi di proporzionale. In realtà, spiegano ai piani alti del Nazareno, «non si muoverà nulla fino al 24 gennaio», cioè fino al giorno in cui la Consulta pronuncerà la sentenza sull' Italicum. A seconda di cosa ci sarà scritto, si deciderà la strategia da adottare. Prima di allora, «è tutta fuffa», per dirla con un dirigente di primissimo piano.

L'unica traccia su cui si lavora - e su cui Renzi lavorerà anche oggi - sono, perciò, gli spifferi che arrivano dalla Consulta. E che riguardano, in realtà, due sentenze. Quella sull'Italicum, ma anche quella di domani sul Jobs Act. I più attendibili prevedono che la corte presieduta da Giuliano Amato sia pronta a bocciare solo il ballottaggio, mantenendo premio di maggioranza per chi arrivasse al 40%, liste corte, capilista bloccati e persino le pluricandidature (secondo altri, invece, verrebbero cassate anche queste).

A quel punto la Camera dei Deputati avrebbe un sistema elettorale funzionante. Per il Senato, Renzi avrebbe due scelte: lasciare il Consultellum oppure fare una legge simile a quella prodotta dai giudici per la Camera. Quello che al Pd hanno battezzato «l'Italicum modificato». Dal punto di vista dei tempi è meglio la prima via, perché permetterebbe di accelerare e provare ad andare a votare perfino ad aprile. Per quanto riguarda il contenuto, l'opzione preferita da Renzi e i suoi è la seconda, perché un Italicum modificato anche al Senato darebbe più garanzie di governabilità.

Andare a votare il prima possibile, comunque, resta la priorità. E qui si incrociano le attese sull'altra sentenza, quella di domani. Se la Consulta dovesse ammettere tutti e tre i quesiti promossi dalla Cgil sul Jobs Act, compreso quello sull'articolo 18, crescerebbe la spinta per andare a votare in primavera. Con la disoccupazioni ai livelli registrati ancora ieri dall' Istat, l'Italia non si può permettere un irrigidimento del mercato del lavoro, cosa che comporterebbe la restaurazione dell' articolo 18 in caso di vittoria del referendum. Il voto rinvierebbe tutto. Per questo, si dice, anche nel governo c'è chi (Delrio) sta facendo pressing su Amato perché ammetta il quesito. Ma c' è anche chi spinge per il contrario (Franceschini), proprio per togliere un incentivo alla corsa verso le urne.

La data delle elezioni, insomma, è il vero snodo. Anche se le incognite sul dopo sono tante. Non è detto che dalle urne esca un vincitore. Si potrebbe tornare a votare oppure rassegnarsi a governare un' altra volta con Berlusconi. E chi l' ha detto, ci si interroga nel Pd, che a guidare un simile esecutivo sia Renzi? Forza Italia potrebbe chiedere che a Palazzo Chigi non vada il candidato premier del Pd, ma un nome di compromesso.

L'unica nota positiva è che con Paolo Gentiloni, per ora, c'è sintonia. Proprio oggi che Renzi torna a Roma, caso vuole che il premier parta per una serie di missioni internazionali. Una staffetta simbolica: ciascuno fa il suo, senza intralciare l' altro, ma nella lealtà reciproca. A preoccupare Renzi non è «Paolo», ma semmai il presidente Mattarella, oltre alla Consulta. Sono loro il possibile freno al voto.

L'altro dossier che lo impegnerà oggi e domani è il reset del Pd. Tra la fine di questa settimana e la prossima presenterà la nuova segreteria. Dovrebbe essere composta in gran parte da sindaci, con alcune eccezioni. Un nome certo pare sia quello di Piero Fassino, come responsabile Esteri. Non a caso oggi rappresenterà il Pd ai funerali di Mario Soares, l'ex presidente portoghese. Il nuovo patto di sindacato ruoterà attorno ai Giovani Turchi di Matteo Orfini e alla sinistra di Maurizio Martina, il quale potrebbe diventare vice-segretario. Il capitolo programma, invece, è affidato a Tommaso Nannicini, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio e autore del Jobs Act. A lui l'immane compito di trovare una chiave vincente dopo lo schiaffo del referendum.

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