Paragone: Mario Monti ci fregherà ancora, con l'eurotassa
di Gianluigi Paragone
Cosa sta facendo Mario Monti? Il senatore a vita? Ah ah ah… Mentre noi dibattiamo su come arginare lo strapotere dell’Europa tecnocratica, Bruxelles va avanti imperterrita, non curante di Brexit, di Trump, dell’avanzare di nuovi sentimenti nazionali e anche un po’ nazionalistici. Va avanti e sta mettendo a bersaglio un progetto nato nel febbraio del 2014 per costruire un’autonomia impositiva a favore dell’Unione europea. Gli unici che se ne sono accorti sono i tedeschi: hanno capito che se finora avevano la golden share dell’Europa, con l’autonomia di bilancio il loro potere sarà ridotto.
A Bruxelles lo chiamano così: un Gruppo di alto livello che dovrà studiare come fornire la Ue di risorse proprie nel suo bilancio. Siccome, tanto più in questo momento, se testi i cittadini sul loro sentimento europeista costoro ti mandano bellamente a quel Paese (e vorrei ben vedere!), Monti e soci si sono affrettati a precisare che «Non è una maniera per mettere nuove tasse ma per trovare nuovi concetti per finanziare le istituzioni». Una bella frase che messa in controluce odora del solito eurolessico, cioè di fregatura.
Questi, le eurotasse, le metteranno eccome. Perché il progetto vero prevede un vero e proprio ministero del Tesoro, una autonomia fiscale tout court e un ulteriore ingabbiamento dei governi così da neutralizzare eventuali spinte anti-Ue dopo il successo della Brexit. Un successo, si badi bene, che sta smentendo le cassandre. Ricordate no? In caso di uscita dall’euro - dicevano - l’economia di Londra subirà perdita di posti di lavoro, la nostra economia subirà un disastro e balle di questo tenore. Alla fine resta solo il mea culpa del capo degli economisti della Banca d’Inghilterra, Andrew Haldane: «Ormai non siamo più credibili. È dal 2008 che sbagliamo previsioni. Siamo come i metereologi». E pure l’ammissione del capo del Labour Party, Jeremy Corbyn: «Con la Brexit staremo meglio».
Insomma le chiacchiere stanno a zero, l’Europa si sta sfaldando sotto l’evidenza dei primi dati reali legati all’opzione «exit». I quindici anni all’insegna dell’austerità non hanno portato a nulla di buono, tanto che pure in Germania non è più un tabù mettere in discussione la rigidità di bilancio se poi la ricaduta è «portare la Le Pen o Farage alla vittoria». Il 2017 sarà un anno cruciale da un punto di vista elettorale: voteranno la Francia, la Germania, l’Olanda, forse l’Italia; in America Trump userà la luna di miele per mostrare il proprio passo e in Gran Bretagna la Brexit entrerà nel vivo del suo procedimento burocratico. Insomma Bruxelles teme fortemente che anche a livello politico vi sia lo stesso raffreddamento di consenso già in corso tra i cittadini; questo rovinerebbe i piani delle lobby e dei tecnocrati che ad esse rispondono.
Per questo il 2017 sarà anche l’anno cruciale del progetto «Un fisco autonomo per l’Europa», in grado di superare la fase attuale per cui sono i singoli Stati a conferire indirettamente l’obolo a Bruxelles. L’idea di avere un vero e proprio Bilancio europeo dunque costituirebbe un ulteriore stretta sulla sovranità dei Paesi membri. Le tasse europee, al di là dei giri di parole di oggi, arriveranno e Bruxelles si comporterà coi governi centrali usando le stesse parole con cui oggi i governi centrali giustificano i tagli agli enti locali e al welfare: tagliate, gli sprechi sono sotto gli occhi di tutti. I giornali continueranno con le loro campagne di denuncia degli sprechi locali (siamo in pochi a guardare anche nelle schifezze che combinano le banche e Bruxelles) e la gente si convincerà che in fondo a Bruxelles hanno ragione. Così ci ritroveremo a pagare, cioè a mantenere, sia Roma che il baraccone europeo. Non fatevi fregare e tenete gli occhi aperti.
Nessun commento:
Posta un commento