Feltri, zittisce così Zagrebelsky: la lezione finale al professore
di Vittorio Feltri
Con molta fatica e al prezzo di qualche sbadiglio sono riuscito a leggermi l'intervista svolta dal Fatto Quotidiano al presidente emerito della Consulta, professor Gustavo Zagrebelsky, un nome che riesco a scrivere, copiandolo, ma non a pronunciare. Succede a noi provinciali. Arrivato in fondo al lungo testo, pieno di cose così interessanti che me le sono già dimenticate, non mi resta che contestare all'illustre docente una visione troppo complicata e sofisticata della realtà, che invece è drammaticamente semplice. Per dirne una: Matteo Renzi ha perso il referendum sulle riforme costituzionali per un motivo banale. Gli italiani non le hanno capite. E non potevano capirle perché sono state presentate in modo assurdo. Prendiamo il bicameralismo. Che non è mai piaciuto a nessuno. Nel senso che il povero popolo non si spiegava e continua a non spiegarsi a che servano due Camere gemelle quando è del tutto evidente che ne basterebbe una buona ed efficiente. Ma l'ex premier non ha osato - e ne ignoro il perché - dire chiaramente che intendeva abolire Palazzo Madama. Nossignori. Ha detto ambiguamente: depotenzierò il Senato ma appena appena. Che cavolo significa cancellare il Senato vecchio istituendone uno nuovo più piccolo che agirà in maniera non ben specificata? Ovvio che la gente di fronte a una iniziativa tanto sballata, e aggiungerei cretina, sia rimasta basita e abbia votato contro di essa. Il rimanente contenuto del plebiscito non è neppure stato preso in considerazione.
Chi aveva deciso per il no ha optato per il no sull'intero fronte delle questioni, e il giovin fiorentino, troppo sfrontato e troppo esposto mediaticamente per risultare simpatico alla massa, è stato fregato alla grande. La qual cosa ha fatto godere una moltitudine di aventi diritto al suffragio, che si è illusa - avendo trombato il bullo - di aver riconquistato una libertà che non aveva mai avuto. Era convinta che il Paese sarebbe finalmente cambiato. Supponeva: a casa Renzi, andremo alle urne per rinnovare il Parlamento, vinceranno i partiti migliori (quali?), ci faremo un governo meraviglioso e vivremo felici e contenti.
Nulla di tutto ciò è avvenuto. Non è possibile aprire i comizi perché non abbiamo una legge elettorale applicabile nei due rami del Parlamento, quindi non è praticabile lo scioglimento anticipato delle Camere, cosicché siamo obbligati a mettere in piedi un esecutivo (passateci il termine) provvisorio con la stessa maggioranza raccogliticcia e litigiosa, in pratica una fotocopia sbiadita del gabinetto Renzi con un presidente, Gentiloni, opaco, una brava persona che dopo 30 giorni di lavoro è scoppiata. Ne valeva la pena di litigare come forsennati per sei mesi per avere quanto abbiamo ora, cioè un pasticcio di cui non c' è anima che si dichiari soddisfatta?
Caro professore, la politica italiana non funziona oggi come non funzionava ieri per le solite ragioni. Abbiamo un impianto burocratico mastodontico che soffoca la democrazia rappresentativa, il nostro sistema si regge sulle coalizioni che somigliano ai condomini, nei quali non esistono due inquilini su cinquanta che vadano d'accordo, i partiti non hanno più una identità e si combattono per questioni di bassa bottega, poltrone incluse. Chi cerca di mutare registro ci rinuncia subito per evitare di essere spodestato. Tiriamo avanti alla carlona come abbiamo sempre fatto, lasciando agli intellettuali o presunti tali il compito di analizzare e di proporre l'improponibile. È pacifico che bisognerebbe mutare spartito, poiché però non riusciamo a mutare nemmeno noi stessi, ci tocca suonare sempre la medesima musica. Renzi o Gentiloni siamo comunque dei coglioni.
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